Cosa sono e per quali saremo chiamati a votare.


Per il numero alquanto elevato dei referendum promossi nell’ultimo anno, e per l’importanza sociale, politica e giuridica delle materie oggetto delle consultazioni popolari, da più parti il 2022 è considerato, per il nostro Paese, l’anno dei referendum. Sono otto i quesiti referendari che l’Ufficio Elettorale Centrale della Suprema corte ha ritenuto ammissibili, rispetto ai nove presentati; di questi “soltanto” cinque hanno superato il vaglio della Corte costituzionale. Procediamo con ordine.

Che cos’è un referendum?

“Il popolo può esercitare la funzione legislativa, oltre che attraverso i suoi rappresentanti in Parlamento, anche direttamente mediante i referendum (…) in tal modo, non soltanto si valorizza il momento della partecipazione popolare al governo dello Stato ma si rende anche operante e concreto il principio della sovranità popolare” secondo il Martines[1].
Pertanto, con l’istituto referendario, i cittadini direttamente partecipano, a determinate condizioni, alla formazione (nel caso del referendum costituzionale) o alla cassazione (nel caso di quello abrogativo) di norme giuridiche.
In particolare, i referendum sui quali gli elettori saranno chiamati ad esprimersi nei prossimi mesi saranno abrogativi, indetti, cioè, ex art. 75 della Costituzione “per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedano 500.000 elettori o 5 Consigli regionali”. Lo stesso articolo chiarisce che il referendum non è ammesso per leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Hanno diritto di partecipare al referendum gli elettori “chiamati ad eleggere la Camera dei deputati”, e cioè l’intero corpo elettorale. Per tali referendum è richiesto un quorum pari alla maggioranza degli aventi diritto: la proposta soggetta a referendum non sarà approvata se non parteciperà alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se non si raggiungerà la maggioranza dei voti validamente espressi.
È la Corte costituzionale a giudicare l’ammissibilità del referendum abrogativo: si ritiene, secondo quanto confermato dalla stessa Consulta nella sentenza n.16 del 1978 ed in altre successive, che siano sottratte all’abrogazione mediante referendum le leggi di revisione costituzionali e le altre leggi costituzionali; i decreti-legge; le leggi-delega; le leggi attuative della Costituzione e di alcuni fondamentali diritti di libertà; mentre si ritiene inammissibile la richiesta quando riguarda diverse disposizioni legislative, prive di una razionale unitarietà; quando riguarda leggi con copertura costituzionale; quando concerne leggi strettamente connesse a disposizioni costituzionali; quando i quesiti sono privi di chiarezza, semplicità e coerenza[2].
Spetta, invece, all’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione un controllo di legittimità: spetta cioè a detto ufficio verificare che siano stati rispettati i requisiti previsti ex art.75 Cost. e, ad esempio, il numero dei sottoscrittori, la validità delle deliberazioni dei Consigli regionali ecc…
Il referendum è, infine, indetto con decreto del Presidente della Repubblica che convoca gli elettori in una domenica compresa fra il 15 aprile ed il 15 giugno; in caso di risultato contrario all’abrogazione non può più “essere proposta richiesta di referendum per l’abrogazione della stessa legge o dello stesso atto avente forza di legge prima che siano trascorsi 5 anni”[3].

I referendum del 2022

Alla Suprema corte sono stati presentati nove richieste di referendum: sei in tema di giustizia, una cd. “sulla cannabis”, una cd. “sull’eutanasia” ed una “sulla caccia”. Proprio il referendum sulla caccia ha subito un arresto già nella prima tappa del percorso verso le consultazioni della prossima primavera: la Cassazione ha infatti affermato che, delle 520mila firme presentate, sono meno di 120mila quelle valide[4].

Il referendum sull’eutanasia

È il referendum sull’eutanasia ad aver raccolto il maggior numero di firme (1,24 milioni). Esso si proponeva di abrogare parzialmente l’art. 579 sull’omicidio del consenziente: secondo il testo risultante dall’abrogazione così promossa, esso sarebbe stato legittimo sempre, ad eccezione dei casi in cui il fatto è commesso contro un minore, contro un incapace (legale o naturale), contro una persona il cui consenso sia stato estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno[5]. Ed è proprio questo il motivo che ha indotto la Consulta a qualificare il referendum, nei termini in cui la formulazione del quesito è così effettuata, inammissibile: “a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili”[6]: così si è espressa la Corte costituzionale nella nota stampa pubblicata alla fine dei lavori lo scorso 15 febbraio.

Il referendum sulla cannabis

Il referendum “sulla cannabis”, invece, ha raccolto 630mila firme esclusivamente online (è utile ricordare che, per la prima volta, le firme per tali referendum sono state raccolte anche attraverso il sistema SPID, il che semplifica estremamente il processo di raccolta, anche se “ai comitati referendari una firma con lo Spid richiede la spesa di circa un euro”[7]). L’esito positivo del referendum avrebbe depenalizzato l’utilizzo della cannabis: il quesito fa riferimento, infatti, al Testo Unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, “andando a depenalizzare la coltivazione per uso personale con l’eliminazione di tutte le pene detentive, ad eccezione dei casi legati al traffico illecito. Era prevista, inoltre, l’eliminazione del ritiro della patente per uso di sostanze stupefacenti, sebbene permaneva la sanzione in caso di guida in uno stato di alterazione psicofisica”[8]. Anche questo referendum è stato ritenuto inammissibile dalla CC, poiché “si pone in contrasto con le Convenzioni
internazionali e la disciplina europea in materia, difetta di chiarezza e coerenza
intrinseca ed è, infine, inidoneo allo scopo”, considerando, in particolare, che “l’eliminazione della parola ‘coltiva’ dal primo comma
dell’articolo 73 del Testo unico sugli stupefacenti – oggetto della prima parte del quesito referendario – farebbe venir meno la rilevanza penale anche della
coltivazione delle piante da cui si estraggono le droghe pesanti (papavero sonnifero e foglie di coca), e ciò sebbene la richiesta referendaria, secondo le intenzioni dei promotori dichiarate in giudizio, mirasse a depenalizzare le sole condotte di coltivazione “domestica” e “rudimentale” delle piante di cannabis”[9].

I referendum sulla giustizia

Infine, dei sei referendum presentati dalla Lega e dal Partito Radicale, soltanto cinque hanno superato il vaglio della Consulta: quello che mira ad abrogare la parte della cd. Legge Severino che prevede l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza automatica per parlamentari, membri del governo, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali nel caso di condanna per reati gravi; quello relativo al blocco delle cosiddette “porte girevoli”, impedendo al magistrato durante la sua carriera la possibilità di passare dal ruolo di giudice a quello di pubblico ministero e viceversa; quello che intende eliminare l’obbligo di un magistrato di raccogliere da 25 a 50 firme per presentare la propria candidatura al Consiglio Superiore della Magistratura; quello che propone l’eliminazione della “reiterazione del reato” dai motivi per cui i giudici possono disporre la custodia cautelare in carcere o i domiciliari per una persona durante le indagini e quindi prima del processo; e, infine, quello che intende attribuire agli avvocati, parte di Consigli giudiziari, la possibilità di votare in merito alla valutazione dell’operato dei magistrati e della loro professionalità[10]. Insomma, l’unico referendum ritenuto inammissibile è quello relativo alla responsabilità diretta dei magistrati, poiché, come ha spiegato il Presidente della Consulta Giuliano Amato, “essendo sempre stata la regola per i magistrati quella della responsabilità indiretta, (si cita lo Stato che poi esercita la propria rivalsa su magistrati), l’introduzione della responsabilità diretta renderebbe il referendum più che abrogativo, “innovativo”. L’effetto finale sarebbe quello di introdurre una regola che prima non c’era (e non di abrogare una norma per fare espandere una preesistente)”[11].


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Note

[1] T. Martines, Diritto Costituzionale, Giuffrè Francis Lefebvre, XV edizione, pag. 343
[2] Per i limiti alla ammissibilità, cfr. T. Martines, Diritto Costituzionale, Giuffrè Francis Lefebvre, XV edizione, pag. 346-347, 
[3] T. Martines, Diritto Costituzionale, Giuffrè Francis Lefebvre, XV edizione, pag. 351
[4] https://ilmanifesto.it/referendum-ok-dellufficio-centrale-a-cannabis-e-fine-vita-no-a-caccia/
[5] Cfr. https://referendum.eutanasialegale.it/il-quesito-referendario/
[6]https://www.cortecostituzionale.it/documenti/comunicatistampa/CC_CS_20220215193553.pdf
[7] https://www.diritto.it/la-corte-costituzionale-sui-referendum-2022/#_ftn9
[8] https://www.diritto.it/la-corte-costituzionale-sui-referendum-2022/#_ftn9
[9]https://www.cortecostituzionale.it/documenti/comunicatistampa/CC_CS_20220302111603.pdf
[10] Cfr. https://www.diritto.it/la-corte-costituzionale-sui-referendum-2022/#_ftn12
[11] https://www.altalex.com/documents/news/2022/02/17/referendum-sulla-giustizia-ammessi-5-quesiti#p6


Foto copertina: Scheda referendum 2022