A partire dagli ultimi anni del secolo scorso, si assiste ad un utilizzo spropositato del termine populismo, il che ha reso il concetto in esame una categoria onnicomprensiva alquanto contraddittoria, suscettibile di essere adattata a diversi fenomeni sociopolitici.
Nella sua accezione originaria, il populismo designa un “fenomeno politico che accetta come unica legittimazione per l’esercizio del potere politico quella derivante dal popolo, unico detentore di valori positivi”[1]. In ciò i concetti di populismo e democrazia non sembrano mostrare sostanziali differenze quanto al loro significato.
A ben vedere i due termini, entrambi di origine greca, hanno una matrice etimologica in comune, ossia demos e popus, cosicché populismo e democrazia condividono la concessione del potere al popolo, differenziandosi tuttavia nella procedura, nella misura in cui il populismo, oltre a nascere con la crisi del patto democratico, si manifesta indifferente alle regole.
L’attuale forma di populismo, conosciuta anche come telepopulismo, fa leva sulla comunicazione mediatica, grazie alla quale i concetti di popolo ed opinione pubblica vengono a coincidere, cosicché il nuovo tipo di populismo si sostanzia soprattutto in uno stile di comunicazione.Ne consegue un rapporto ambiguo tra politica e mass media, il quale da un lato ha modificato il modo in cui il cittadino si relaziona alla vita politico-sociale, dall’altro ha favorito la diffusione del messaggio populista, essendo innegabile la propagazione dello stesso attraverso social network e televisione.
Con specifico riferimento ad Internet, rileva la differenza tra la classe politica tradizionale e i movimenti populisti, nella misura in cui la prima si mostra riluttante nell’utilizzo del linguaggio elettronico, sebbene cerchi di comprenderne la logica e i meccanismi, là dove i secondi trovano nella rete uno strumento di aggregazione e di avvicinamento verso i cittadini.
Il telepopulista è colui che predilige i linguaggi spettacolari rispetto a forme tradizionali degli stessi, al mero scopo di ottenere facilmente ed in tempi celeri le simpatie del pubblico che lo sostiene e lo acclama; egli inoltre sottolinea la sua identità estranea alla corruzione del sistema politico tradizionale, proponendosi come figura trasgressiva e al contempo innovativa rispetto alla classe politica abituale, il che comporta il frequente ricorso a dichiarazioni polemiche ed aggressive.
Il telepopulista si inserisce perfettamente nella spettacolarizzazione della politica, fenomeno incentrato sulla televisione, la quale rappresenta la nuova arena di confronto e dialogo politico pur senza modificare i classici canoni di intrattenimento; ne consegue un discorso politico emotivo, simbolico, accattivante ed attento all’estetica.
Al vertice dei movimenti populisti vi è sempre la figura di un “sovrano carismatico”[2], strumento necessario per il passaggio ad un populismo istituzionale, collante ideologico del popolo e figura nella quale il popolo stesso si identifica; è attraverso la rete mediatica che emerge e si consolida l’immagine del leader populista. Incarnando la volontà ed il sentimento popolare, il leader populista si presenta come una figura forte, determinata e dotata di particolari capacità personali; egli si propone di tutelare i valori e i diritti del popolo, di dare risposte immediate alle problematiche sollevate e di tradurre le promesse di cambiamento in decisioni politiche.
L’attuale forma di populismo appare dunque connotata da un duplice profilo: da un lato la convinzione (o la speranza) che la rete mediatica possa riaccendere la partecipazione e l’interesse alla vita politica, dall’altro la presenza di un leader acclamato dal popolo.
Immigrazione, antieuropeismo, sovranità statale, critica alle élites, rinnovo del sistema politico-istituzionale, sicurezza sociale ed ordine pubblico, educazione e famiglia sono le tematiche che, prestandosi in maniera ottimale al linguaggio mediatico, gli attuali movimenti populisti prediligono maggiormente.
Nello specifico, questi ultimi si proclamano euroscettici e sovranisti sul piano politico ed antiliberisti sul piano economico, il che significa che da un lato manifestano opposizione ed ostilità al processo di integrazione europea, sostenendo la riconquista e la difesa della sovranità statale, dall’altro auspicano la fine del libero mercato e un maggior intervento dello Stato nel sistema economico nazionale; sul piano socioculturale i movimenti populisti supportano il modello tradizionale di famiglia e si manifestano contrari all’immigrazione e all’accoglienza; sul piano interno essi premono per un rafforzamento della difesa e della sicurezza, implementando così le spese militari; sul piano ideologico innalzano l’immagine della patria unita ed enfatizzano la contrapposizione tra il popolo e le istituzioni.
Si è dinanzi ad un periodo di forte instabilità in cui”la politica europea è diventata liquida”[3], il che spiega la facilità con cui i movimenti populisti riescono ad ottenere consensi.
È soprattutto nelle grandi e forti democrazie occidentali che si assiste all’ascesa di tali movimenti, i quali riescono a raggiungere e mantenere il potere politico, imponendo in alcuni casi l’agenda politica ed impadronendosi delle tematiche che i partiti tradizionali non sono più suscettibili di gestire. Ciò induce a rivedere la concezione di democrazia e ribadisce il legame tra populismo e democrazia, nella misura in cui il primo è pur sempre una dimensione, sebbene eterodossa, della seconda.
È soprattutto la debolezza e la poca credibilità dei partiti tradizionali, nonché la presenza di personale tecnico al governo, a favorire e rendere più agevole la nascita e il consolidamento dei movimenti populisti, i quali accolgono il senso di impotenza, insoddisfazione e smarrimento dei cittadini, cercando dunque di colmare il vuoto lasciato dai partiti tradizionali, insuscettibili sia di rappresentare una proposta politica credibile, sia di fronteggiare le attuali sfide sociopolitiche.
Le analisi comparate ed i sondaggi mostrano che“i programmi populisti emergono come reazione ad un periodo prolungato di stagnazione o recessione”[4], come se gli stessi attecchissero meglio là dove le condizioni economiche peggiorino, rilevando così un legame diretto tra ascesa dei movimenti populisti e crisi economica. Al riguardo, non è da sottovalutare l’attuale tendenza ad attribuire incarichi governativi ad un personale tecnico che, allo scopo di fronteggiare gli effetti della crisi economica, ridimensiona il ruolo dei partiti politici.
Si faccia l’esempio del voto Brexit del giugno 2016, circostanza in cui le più alte percentuali di leaving promanavano da circoscrizioni con PIL pro capite basso; delle presidenziali statunitensi del novembre 2016, le quali manifestarono il forte consenso dei programmi populisti riscosso negli Stati che subirono maggiormente la crisi del 2007/2008; delle presidenziali francesi dell’aprile/maggio 2017, in cui furono le regioni ad alto tasso di disoccupazione ad esprimere un voto favorevole ai programmi populisti; delle elezioni del Reichstag del settembre 2017, in cui si assiste per la prima volta all’ingresso in Parlamento di un partito di estrema destra, grazie al consenso riscosso in regioni ad elevata disoccupazione.
Le sfide attuali delle democrazie occidentali promanano dall’emersione dei nuovi movimenti populisti, rappresentando una “patologia congenita dei sistemi democratici”[5]; i movimenti populisti si propongono come una forma inedita di democrazia, incentrata sulla partecipazione diretta dei cittadini, su un aspetto procedurale e su caratteri individualistici e privati: il populismo mediatico non lascia spazio alla sostanza, ai valori comunitari né a forme di rappresentanza e mediazione istituzionale, allorché promesse e seduzione politica tendono a sostituirsi a programmi e competenze.
Sul piano della comunicazione e del consenso si potrebbe quasi affermare che il populismo abbia superato la democrazia, ma finché la politica sarà considerata come “la sfera delle decisioni”6] la democrazia non potrà essere sconfitta, in quanto sistema decisionale di consolidata tradizione storica,il quale garantisce la partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica, nonché il controllo dell’operato politico da parte dei cittadini stessi.
- Mauro Calise, Theodore J. Lowi, Fortunato Musella (a cura di), Concetti chiave. Capire la scienza politica, Bologna, Il Mulino, 2016
- Gianfranco Pasquino, Nuovo corso di scienza politica, Bologna, Il Mulino, 2009
- Treccani, http://www.treccani.it/
- Linkiesta, http://www.linkiesta.it/it/
- ISPI- Istituto per gli studi di politica internazionale http://www.ispionline.it/
- US Bureau of Economic Analysis
- Economist Intelligence Unit, Economist.com/graphicdetail
- CNWES Matin, http://www.cnewsmatin.fr/
- Il Sole 24 ore, http://www.ilsole24ore.com/
Note
[1] Annarita Criscitiello, Concetti chiave. Capire la scienza politica, cap. 15, pp. 192.
[2]Il sociologo Max Weber definì l’autorità carismatica come “fondata sulla devozione all’eccezionale santità, eroismo o carattere esemplare di una singola persona, e dei modelli normativi o ordini rivelati o impartiti da tale soggetto”. L’autorità carismatica è una delle tre forme di autorità esposte nella classificazione tripartita delle autorità di Weber, assieme a quella tradizionale ed alla razionale-legale. Il concetto è divenuto di uso diffuso tra i sociologi.
[3]Yves Mény (Goven, 1943) è un professore universitario francese, studioso di scienza politica. Ha insegnato in diverse università e grande école francesi ed estere. Ha creato e diretto il Robert Schuman Center presso l’Istituto universitario europeo di Firenze dal 1993 al 2001 prima di diventare presidente dell’Istituto (EuropeanUniversityInstitute) dal 2002 al 2009. Dal gennaio 2014 è presidente del consiglio d’amministrazione della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, funzione nella quale è succeduto a Giuliano Amato.
[4] R. Dornbusch e S. Edwards, Macroeconomics of Pupulism in Latin America, 1991.
[5] Alberto Martinelli (Milano, 1940) è un professore di Scienza Politica e Sociologia all’Università degli Studi di Milano, presidente dell’International Social Science Council.
[6] Giovanni Sartori è stato un politologo e sociologo italiano. È considerato uno dei massimi esperti di scienza politica a livello internazionale e il più importante scienziato politico italiano. In Italia si deve a lui la nascita della scienza politica come disciplina accademica. Autore di fondamentali volumi tradotti in una molteplicità di lingue, Sartori ha scritto di democrazia, di partiti e di sistemi di partito, di teoria politica e di analisi comparata, di ingegneria costituzionale. È stato insignito di otto lauree honoris causa e nel 2005 ha ricevuto il prestigioso Premio Principe delle Asturie, considerato il Nobel delle scienze sociali. Dal 1979 al 1994 ha ricoperto la prestigiosa cattedra Albert Schweitzer Professor in the Humanities alla Columbia University ed è stato professore emerito di Scienza politica all’Università di Firenze.
Copertina : The Pied Piper of Hamelin by ChrisRawlins