La comunità internazionale, guidata dagli Stati Uniti, mantiene il pugno di ferro contro il regime talebano. Ma a quale prezzo per le vite dei cittadini afghani?
Ha perso visibilità nei media, eppure la situazione in Afghanistan continua a degenerare in una delle peggiori crisi umanitarie mai viste, a poco più di cinque mesi dalla presa di potere del nuovo governo. Le Nazioni Unite continuano a stilare rapporti che denunciano omicidi, sequestri e altri reati operati dai talebani nei confronti di coloro che collaborano con militari stranieri o membri del precedente governo. Le violazioni dei diritti umani in Afghanistan sono più che palesi, e la missione dell’ONU si limita a fornire ai cittadini pentole, fornelli, coperte e secchi per prendere l’acqua: il minimo per sopravvivere.
La situazione rimane tragica, e a poco è servito il tentativo di stabilire un dialogo diplomatico tra taliban e Occidente, svoltosi a fine gennaio ad Oslo, in Norvegia.
Dal 24 al 26 del mese scorso, infatti, i rappresentanti di sei Paesi (Stati Uniti, Germani, Francia, Italia, Regno Unito, Norvegia) e dell’Unione Europea sono stati protagonisti di un faccia a faccia con una delegazione talebana, capitanata dal ministro degli Esteri Amir Khan Muttaqi. Il colloquio, come specificato dagli stessi delegati, non implica in alcun modo il riconoscimento e la legalizzazione del regime talebano da parte dell’Occidente, ma funge unicamente come tentativo di mediazione al solo fine di alleviare le sofferenze dei cittadini afghani.
L’incontro si è focalizzato sulla richiesta da parte del governo talebano di scongelare i fondi afghani, dei quali circa 9,5 miliardi di dollari sono bloccati dagli Stati Uniti e altri 450 milioni dal Fondo Monetario Internazionale.
La posizione del regime è chiara: scongelare questi fondi è l’unico modo per risolvere la profonda crisi strutturale sofferta dal Paese, talmente grave da non poter essere attenuata neanche dalle considerevoli donazioni richieste dalle Nazioni Unite al resto del mondo (cinque miliardi di dollari, la cifra più elevata mai proposta per tentare di risolvere una crisi umanitaria).
È proprio il congelamento dei fondi che ha contribuito ad aggravare la situazione dei cittadini afghani, che senza salario si ritrovano in un mercato sull’orlo del collasso, con prezzi elevatissimi, e con l’impossibilità di attingere alle liquidità delle banche. La rivista francese online “Mediapart” ha condotto un interessantissimo reportage sulle condizioni di miseria a cui sono soggetti i cittadini afghani, costretti persino a vendere le figlie per poche centinaia di euro[1]. “Gli afghani sono disposti a morire per mangiare”, scrive la rivista, raccontando l’assalto ai cancelli di Herat da parte di più di mille cittadini per chiedere aiuti alle autorità talebane, le quali si giustificano attribuendo la responsabilità alle sanzioni internazionali che li rendono incapaci di fornire assistenza a tutta la popolazione.
Dalle testimonianze raccolte da Mediapart è chiaro che l’unica cosa che gli afghani desiderano è una condizione di vita che possa soddisfare i bisogni fondamentali di un individuo, come mangiare, lavorare e vivere in pace e sicurezza. Rimane da comprendere se i fondi eventualmente sbloccati verrebbero effettivamente utilizzati dal regime talebano per alleviare la crisi umanitaria.
Anche il New York Times analizza dettagliatamente il problema banche, ricordando che nonostante le sanzioni statunitensi in realtà riguardino solo il regime talebano, numerosissime banche straniere evitano di entrare in contatto con la Banca Centrale Afghana per evitare future rivalse dall’America stessa. Nonostante l’efficacia delle sanzioni nella risoluzione di conflitti internazionali è stata più volte dimostrata, tuttavia, come scrive anche il NYT nell’articolo precedentemente citato, “troppo spesso il loro effetto cumulativo nel tempo non è distinguibile da una punizione collettiva” [2].
È questo uno dei punti più infuocati del dibattito, sia perché ancora una volta le redini dell’intero conflitto vengono impugnate principalmente dal governo statunitense, sia perché l’effettivo scongelamento dei fondi potrebbe rappresentare un rischio molto alto per la crescita del potere del regime talebano, il quale potrebbe facilmente non mantenere fede alla promessa di impiegare il denaro per la crisi. L’unica soluzione rimane tentare di aggirare il blocco statunitense muovendosi su altre vie. Una di queste potrebbe essere quella proposta dall’attivista Fereshteh Forough, conosciuta anche per essere fondatrice della prima coding school per ragazze in Herat. Dopo che numerose banche hanno ripetutamente bloccato i suoi trasferimenti di denaro, Forough ha deciso di utilizzare le criptovalute per fornire alle famiglie l’assistenza economica necessaria per acquistare pasti e coperte. I vantaggi delle criptovalute sono molteplici, dalla possibilità di bypassare il sistema bancario, bloccare eventuali rivendite illegali di pacchetti di aiuti, fino alla possibilità per gli afghani che tentano di lasciare il Paese di non perdere i loro risparmi. L’esempio di Forough sta acquistando sempre più terreno tra le NGOs afghane, tra cui Crypto for Afghanistan, ASEEL (un’applicazione nata come mercato online afghano stile Etsy, che si è recentemente dedicato alla distribuzione di pasti e medicine).[3]
Non resta che continuare a cercare trovare soluzioni alternative al blocco del sistema, tenendo in mente che l’obiettivo prioritario della comunità internazionale deve essere alleviare la crisi umanitaria e ridurre al minimo le conseguenze del regime sulle vite degli afghani.
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Note
[1] “En Afghanistan, la faim provoque le chaos” Mediapart (Jan 2022) https://www.mediapart.fr/journal/international/230122/en-afghanistan-la-faim-provoque-le-chaos
[2] Editorial Board, Let Innocent Afghans Have Their Money, The New York Times, (Jan 2022) https://www.nytimes.com/2022/01/14/opinion/afghanistan-bank-money.html
[3] “Starving Afghans Use Crypto ro Sidestep U.S: Sanctions, Failing Banks, and the Taliban”, The Intercept (Jan 2022) https://theintercept.com/2022/01/19/crypto-afghanistan-sanctions-taliban/
Foto copertina: Armed transport in Taliban-controlled Kabul, August 17 2021 Wikipedia