Gli Accordi di Varsavia del 2016 segnano un momento di transizione della NATO che viene considerato da numerosi storici e accademici un segnale di svolta definitiva col passato ed un ridimensionamento effettivo dell’organizzazione in questione. Gli avvenimenti politici del secondo millennio, unitamente a dinamiche geopolitiche che hanno intrinsecamente modificato le priorità e gli equilibri di paesi membri NATO e non solo, hanno determinato l’urgenza di nuovi assetti politici che vadano ad interessare gli Stati membri dell’organizzazione, ma che riguardino, ovviamente, anche i territori nei quali la NATO interviene tuttora o quelli dove deciderà di inviare dei contingenti militari al fine di realizzare potenziali missioni.
§I. Introduzione – §II. La nascita del progetto NATO – §III. Lo sviluppo della NATO dalla sua istituzione ad oggi – §IV. Le circostanze determinanti gli Accordi di Varsavia
Introduzione
Gli accordi di Varsavia costituiscono un punto di svolta fondamentale nello studio delle relazioni internazionali poiché rappresentano un elemento chiave che ha voluto simboleggiare il rilancio del progetto del Trattato Nord Atlantico proprio nel luogo che storicamente vide nel 1955 siglare il Patto di Varsavia che determinava l’egemonia del potere sovietico su tutta l’area dell’Europa orientale. Un’area geografica che tuttora si trova di fronte ad un’ evidente contraddizione. Da un lato, infatti, i Paesi dell’Est Europa sentono il bisogno di maggiore sicurezza, dovuta per grossa parte agli interessi storici dei russi sull’area, mai sopiti nel tempo. Dall’altro, di pari importanza, è la preoccupazione di questi Paesi a contingentare (se non ostruire radicalmente) il flusso di migranti che essi si vedono arrivare dal vicino Medio-Oriente e dal territorio dei Balcani. Tentati a chiudersi a riccio all’interno delle loro frontiere, si trovano però a constatare la necessità di un dialogo con le due organizzazioni internazionali che garantiscono sicurezza e pace – anche se più concretamente contingenti militari e forze inter-alleate – sul loro territorio. Per queste ragioni, nel seguente lavoro verranno esaminati tali Accordi, in particolar modo i prerequisiti sostanziali che sono alla base di Varsavia, che funge da spartiacque tra la NATO, nata in seguito all’avvento della Guerra Fredda e quella dei nostri giorni. Varsavia, inoltre, costituisce un punto di svolta fondamentale per un continente come quello europeo, dominato da interrogativi e riflessioni che oscillano tra il futuro dell’Europa in bilico tra una crisi di identità ed il rilancio dei suoi valori fondativi, e la partnership con i vicini americani, alla luce della politica nazionalista e dai toni duri del presidente repubblicano Donald Trump.
§II. La nascita del progetto NATO
Si dice spesso che l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico è stata fondata in risposta alla minaccia posta dall’Unione Sovietica in seguito alla fine del Secondo dopoguerra. Questo è solo parzialmente vero. Se andiamo a considerare la sua nascita in una dinamica ben più ampia e complessa, la creazione dell’Alleanza faceva parte di uno sforzo più ampio per servire tre scopi: in primo luogo, l’appena menzionato obiettivo di costituire un deterrente efficace per l’espansione sovietica sul territorio europeo, in secondo luogo, col fine di proibire la possibile ripresa del militarismo nazionalista in Europa attraverso una forte presenza nordamericana sul continente, ed infine, incoraggiare l’integrazione politica europea.
Le conseguenze della seconda guerra mondiale hanno visto che gran parte dell’Europa è stata devastata in un modo che mai si era visto o lontanamente potuto considerare prima d’allora. Circa 36,5 milioni di europei erano morti nel conflitto, di cui 19 milioni solamente costituito da vittime civili. In alcune aree, i tassi di mortalità infantile erano uno su quattro. Nella sola città tedesca di Amburgo, mezzo milione di persone erano senza tetto.
A questi fattori, va aggiunta la constatazione dei comunisti che, aiutati dall’Unione Sovietica, stavano minacciando di essere eletti nei governi di tutta Europa. Nel febbraio del 1948, il Partito Comunista della Cecoslovacchia, con il sostegno segreto dell’Unione Sovietica, rovesciò il governo democraticamente eletto in quel paese1. Poi, in reazione al consolidamento democratico della Germania occidentale, i sovietici bloccarono Berlino Ovest – in mano alle forze alleate – nell’ottica di consolidare la loro posizione sulla capitale tedesca.
Nello stesso periodo, gli Stati Uniti decidevano finalmente di abbandonare quella politica di protezionismo ad oltranza e di isolazionismo diplomatico. Il Piano Marshall riuscì a fornire nuovi aiuti ai Paesi europei grazie al finanziamento degli Stati Uniti che permisero nel continente un discreto superamento della crisi sociale ed economica scatenata dal secondo conflitto mondiale.
Gli Stati europei avvertivano ancora il pressante bisogno di aumentare nel breve tempo la propria sicurezza interna, prima di ricucire un eventuale tessuto diplomatico tra gli Stati presenti sul continente. La cooperazione militare e la sicurezza che avrebbe sviluppato, dovevano svilupparsi in parallelo con il progresso economico e politico. A tal fine, molte democrazie dell’Europa occidentale si riunirono per attuare diversi progetti per una maggiore cooperazione militare e collettiva nel settore della difesa, compresa la creazione della Western Union nel 19482, per poi diventare l’Unione Europea Occidentale nel 19543. Alla fine, fu constatato che solo un accordo di sicurezza veramente transatlantico avrebbe potuto ostacolare l’aggressione sovietica impedendo simultaneamente la ripresa del militarismo europeo e l’affermarsi dell’integrazione politica sul continente.
In seguito a numerose discussioni e dibattiti, il trattato del Nord Atlantico fu ufficialmente siglato il 4 aprile 1949. Nel rinomato articolo 5 del trattato, i nuovi alleati accettano che “un attacco armato contro uno o più di essi … sarà considerato un attacco contro tutti” e che dopo un tale attacco, sarebbe gravato in capo ad ogni alleato la necessità di determinare “l’azione che ritenga necessaria, incluso l ‘uso della forza armata” in risposta all’atto di aggressione. Significativamente, gli articoli 2 e 3 del trattato avevano scopi importanti anche se non direttamente collegati alla minaccia di attacco e quindi all’eventuale aggressione dello Stato alleato. L’articolo 3 stabilisce le basi per la cooperazione nella preparazione militare tra gli alleati e l’articolo 2 consentiva ad essi un certo margine di manovra per impegnarsi in una cooperazione non militare.
Se quindi la firma del Trattato aveva creato alleati, non aveva creato una struttura militare che avrebbe potuto coordinare efficacemente le proprie azioni. Ciò è andato a modificarsi allorquando la crescente preoccupazione sulle intenzioni sovietiche culminò nella detonazione sovietica di una bomba atomica nel 1949 e nello scoppio della guerra di Corea nel 1950. L’effetto sull’alleanza era drammatico. La NATO riuscì ad acquisire ben presto una consolidata struttura di comando con una sede militare situata nel sobborgo parigino di Rocquencourt, vicino a Versailles. Era la Supreme Headquarters Allied Powers Europe o SHAPE, con il generale Dwight D. Eisenhower come Primo Supremo Allied Commander per l’Europa, o SACEUR. Poco dopo, gli Alleati stabilirono una segreteria civile permanente a Parigi, e nominarono il primo segretario generale della NATO, Lord Ismay del Regno Unito.
Con il vantaggio di un aiuto e di un ombrello di sicurezza, la stabilità politica è stata gradualmente restaurata in Europa occidentale unitamente al miracolo economico postbellico. Nuovi alleati hanno aderito all’alleanza: la Grecia e la Turchia nel 1952 e la Germania occidentale nel 1955. L’integrazione politica europea, a partire da questo momento, ha preso le sue prime azioni che faranno poi decollare il progetto di creare una vera e propria Comunità Europea. In reazione all’adesione della Germania occidentale alla NATO, l’Unione Sovietica e l’Europa orientale costituirono per tutta risposta il Patto di Varsavia nel 1955. Fino al 1961, l’Europa si è stabilizzata in una situazione di stand-off, culminata poi nella costruzione del muro di Berlino nello stesso anno.
A partire da questo momento, la NATO adottò la dottrina strategica del “Massive Retaliation”: se l’Unione Sovietica avesse attaccato, la NATO avrebbe risposto con armi nucleari. Il sottinteso effetto previsto da questa dottrina era quello di dissuadere i due fronti dall’assunzione di rischi da qualsiasi rischio di attacco che, per quanto piccolo, avrebbe potuto condurre ad uno scambio nucleare completo ed inevitabile. Contemporaneamente, “Massive Retaliation” ha permesso ai membri dell’Alleanza di concentrare le loro energie sull’economia incentrata sull’obiettivo della crescita piuttosto che sul mantenimento di grandi eserciti convenzionali.
§III. Lo sviluppo della NATO dalla sua istituzione ad oggi
L’Alleanza ha intrapreso i primi passi verso un ruolo politico e militare nella sua fase di sviluppo cruciale, collocabile nel periodo a cavallo tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ‘60. Sin dalla nascita, gli alleati più piccoli avevano sostenuto l’avvento di una maggiore cooperazione non-militare, e la crisi di Suez nell’autunno del 1956 ha messo a nudo la mancanza di politiche consultive comuni in seno all’organizzazione. Inoltre, il lancio dell’Unione Sovietica del satellite Sputnik nel 1956 sconvolse gli alleati che da allora premettero anche per una maggiore cooperazione scientifica: una relazione presentata al Consiglio nord Atlantico dai ministri degli esteri della Norvegia, Italia e Canada – i “tre uomini saggi” – raccomandava una consultazione più robusta ed una cooperazione scientifica all’interno dell’Alleanza e le conclusioni del rapporto condotte, inter alia, alla creazione del programma scientifico della NATO.
In seguito a un periodo che gli storici considerano di détente, ossia di distensione tra i due blocchi, grazie alle carismatiche figure di Kennedy e di Khrushchev, la Guerra Fredda tornò violentemente a mostrarsi cruenta con l’invasione sovietica dell’Afghanistan del 1979 e l’allestimento sovietico dei missili balistici Sabre SS-20 in Europa, eventi che portarono alla sospensione della détente. Per contrastare il dislocamento sovietico, gli alleati optarono per la decisione del “dual track” per dispiegare il nucleare Pershing II ed i missili da crociera lanciati da terra nell’Europa occidentale mentre avrebbero proseguito i negoziati con i sovietici.
Alla metà degli anni ’80, la maggior parte degli osservatori internazionali credeva che il comunismo sovietico avesse perso la battaglia intellettuale con l’Occidente. I dissidenti avevano smantellato il supporto ideologico dei regimi comunisti, processo aiutato in retrospettiva anche da parte dell’adesione esplicita dell’Unione Sovietica ai principi dei diritti umani delineati dall’Atto finale di Helsinki4.
Tale Atto, proprio della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, noto anche come Atto Finale di Helsinki, è stato l’atto finale della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa svoltasi a Helsinki nel luglio e agosto del 1975. La dichiarazione venne firmata da trentacinque stati, tra cui gli USA, l’URSS, il Canada e tutti gli stati europei tranne Albania e Andorra, e costituì un tentativo di miglioramento delle relazioni tra il blocco comunista e l’occidente.
Gli accordi di Helsinki costituirono la base per la successiva creazione dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE).
Alla fine degli anni ’80, il governo comunista della Polonia si trovò costretto a negoziare con l’ex sindacato indipendente “Solidarietà” e il suo leader, Lech Wałęsa. Presto altri attivisti democratici in Europa orientale nell’Unione Sovietica avrebbero cominciato a chiedere nuovi diritti civili e politici in netto disaccordo con i principi fondanti l’ideologia comunista. Era evidente che, a questo punto, le economie di comando del Patto di Varsavia, si stavano disintegrando. L’Unione Sovietica spendeva tre volte la spesa degli Stati Uniti nell’ambito della difesa con un’economia che era un terzo delle dimensioni.
La caduta del Muro di Berlino il 9 novembre 1989 sembrava proclamare una nuova era di mercati aperti, democrazia e pace, e gli alleati reagirono con incredibile gioia cosi come i dimostranti e le forze politiche che erano riuscite a rovesciare i governi comunisti dell’Europa orientale. Ma c’erano anche incertezze spaventose. Una Germania unita sarebbe neutrale? Cosa sarebbe stato delle armi nucleari nelle ex repubbliche sovietiche? Per la NATO, la questione era esistenziale: c’era ancora necessità di sopravvivenza per l’Alleanza Atlantica?
La NATO proseguì il suo operato perché, nonostante l’Unione Sovietica si fosse ormai disintegrata, l’Alleanza si poneva altri due mandati che necessitavano una loro concreta attuazione: dissuadere l’aumento del militante nazionalismo e fornire la base della sicurezza collettiva che sarebbe andata ad incoraggiare la democratizzazione e l’integrazione politica in Europa. La definizione di “Europa” si era finalmente estesa verso est. Nel 1991, così come nel 1949, la NATO doveva essere la pietra fondamentale per un più grande e paneuropeo progetto di sicurezza e di pace. Nel dicembre 1991, gli Alleati stabilirono il Consiglio di cooperazione nord-orientale, poi ribattezzato il Consiglio di partenariato euro-atlantico nel 1997. Questo forum ha portato gli Alleati insieme ai loro dell’Europa centrale, orientale e i vicini dell’Asia centrale per le consultazioni congiunte. Molti di questi paesi appena liberati – o partners, come sono stati chiamati presto – hanno visto nel rapporto con la NATO un fondamento essenziale per le proprie aspirazioni di stabilità, democrazia e integrazione europea. Nel 1994, l’Alleanza fondò il Dialogo Mediterraneo con sei Paesi non membri del Mediterraneo: Egitto, Israele, Giordania, Mauritania, Marocco e Tunisia, con l’adesione di Algeria nel 2000. Il dialogo cerca di contribuire alla sicurezza e alla stabilità nel Mediterraneo attraverso una migliore comprensione reciproca.
Questa coinvolgente collaborazione fu presto messa in prova. Il crollo del comunismo aveva lasciato il posto all’ascesa del nazionalismo e della violenza etnica, in particolare nella ex Jugoslavia. All’inizio, gli alleati esitavano ad intervenire in quello che era percepita come guerra civile jugoslava.
Successivamente, il conflitto fu visto come una guerra di aggressione e di pulizia etnica, portando l’Alleanza alla decisione di intervenire. Inizialmente, la NATO offrì il suo pieno sostegno agli sforzi delle Nazioni Unite per porre fine ai crimini di guerra, inclusi quelli militari sotto forma di embargo navale. Nel dicembre dello stesso anno, la NATO ha dispiegato un mandato UN, forza multinazionale di 60.000 soldati per contribuire all’attuazione della pace sulla base degli Accordi di Dayton5 e creare le condizioni per una pace autosufficiente. Nel 2004, la Nato ha consegnato questo ruolo all’UE.
Il conflitto jugoslavo – e altri conflitti contemporanei in Nagorno Karabakh, Georgia e altrove – ha reso chiaro che il potere post-guerra fredda e che il vuoto istituzionale è una fonte di instabilità pericolosa. I meccanismi per il partenariato dovevano essere rafforzati in modo da permettere ai paesi non NATO di collaborare di comune accordo con l’Alleanza per riformare le istituzioni democratiche e militari in continua evoluzione e per rivivere il loro isolamento strategico. Nell’ambito di questo sforzo in continua evoluzione, gli alleati hanno creato il Partenariato per il programma per la Pace o PfP, nel 1994. Il partenariato per la Pace ha permesso ai Paesi non NATO, o “partner”, per condividere informazioni con gli alleati della NATO e di modernizzare i loro militari in linea con le moderne norme democratiche. I partner erano incoraggiati a scegliere il proprio livello di coinvolgimento con l’Alleanza. Il cammino verso l’adesione piena sarebbe rimasto aperto solo a coloro che avrebbero eventualmente deciso di perseguirlo.
Questo processo ha raggiunto un’importante tappa nel vertice di Washington del 1999 quando tre ex partner – Polonia, Repubblica ceca e Ungheria – hanno preso i loro seggi come membri a pieno titolo dell’Alleanza dopo il loro completamento di una transizione politica ed un programma di riforma militare. Attraverso l’ampliamento, la NATO aveva svolto un ruolo cruciale nel consolidamento della democrazia e della stabilità in Europa.
Ma nuove sfide alla pace erano ancora da raggiungere. Alla fine del 1998, oltre 300.000 albanesi kosovari erano fuggiti dalle loro case durante il conflitto tra separatisti albanesi in Kosovo, militari e funzionari di polizia serbi.
A seguito del fallimento di intensi sforzi internazionali per risolvere la crisi, l’Alleanza ha condotto attacchi aerei per 78 giorni con l’obiettivo di consentire ad una forza multinazionale il mantenimento della pace per entrare nel Kosovo e cessare la pulizia etnica nella regione. Il 4 giugno 1999 la NATO sospese la sua campagna aerea dopo aver confermato che era stato avviato un ritiro dell’esercito serbo dal Kosovo, a cui seguì dispiegamento della Forza del Kosovo guidato dalla NATO (KFOR). Ad oggi, le truppe di KFOR sono ancora schierate in Kosovo per contribuire a mantenere sicuro e protetto il territorio e per permettere la libera circolazione di tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro origine etnica.
§IV. Le circostanze determinanti gli Accordi di Varsavia
In Afghanistan, come in Bosnia e in Kosovo, gli alleati hanno scoperto che il potere militare non è più sufficiente a garantire una vittoria tangibile. Il peacekeeping è diventata operazione altrettanto difficile quanto la pace. Durante gli anni della guerra fredda, la sicurezza alleata implicava un sistema di difesa proveniente perlopiù dagli alleati nordamericani; ora la definizione di “sicurezza” si è radicalmente ampliata per includere la libertà dell’individuo dai nuovi estremismi venuti fuori dall’instabilità e dal fallimento del degli Stati-Nazione. Per esempio, gran parte dell’attenzione del mondo nel 2011 è stata incentrata sulla crisi in Libia dove la NATO ha giocato un ruolo cruciale per aiutare a proteggere i civili sotto attacco da parte del proprio governo. Il livello di violenza utilizzato dalle forze libiche di sicurezza contro la democrazia ed i manifestanti erano tali che la comunità internazionale accettasse di prendere un’azione collettiva. Si può dire che l’operazione della NATO ha aiutato a porre fine alla crisi libica e a dare la speranza che la ricostruzione e la riconciliazione siano possibili.
Il successo delle operazioni di mantenimento della pace ha comportato non solo una linea di base di sicurezza, ma ha aiutato nella costruzione della stessa modernità. Questo obiettivo va oltre la NATO, e gli Alleati lo sanno. L’Alleanza non è e non può essere un’agenzia di ricostruzione civile, ma può dare un contributo significativo che fa parte di una coerente risposta internazionale. In questo modo, l’Alleanza ed i suoi sforzi sono altrettanto efficaci quanto la sua capacità di lavorare con gli altri, dovendo la NATO intervenire con paesi e organizzazioni che possano fornire risorse e competenze per la ricostruzione civile. Per raggiungere una pace duratura a Kabul, Pristina o Sarajevo, la NATO ha bisogno della cooperazione di altre organizzazioni internazionali che possano atturare la loro ricostruzione e le capacità di costruzione della società civile.
Nel nuovo concetto strategico concordato nel 2010, l’Alleanza si è impegnata affinché si occupi di “tutte le fasi di una crisi – prima, durante e dopo”, un all-embracing, che implica un maggior ruolo della sicurezza cooperativa. Questa idea è il nucleo essenziale del nuovo “approccio globale”. L’instabilità geopolitica richiede rimedi complessi che combinano forza militare, diplomazia e stabilizzazione post-conflitto.
Solo la più ampia possibile coalizione di attori internazionali può fornire elementi di comprensione dei tre fenomeni. Di conseguenza, l’Alleanza non è solo lo sviluppo di partenariati di sicurezza con i paesi del Mediterraneo, della regione del Golfo e persino del Pacifico, ma è anche in contatto con altre organizzazioni internazionali e organizzazioni non governative che dispongono di mandati in settori quali la costruzione di istituti, governance, sviluppo e riforma della giustizia. Ad esempio, UNNATO, la cooperazione durante la crisi 2011 in Libia, ha dimostrato un dialogo ed un coordinamento inter istituzionale in settori chiave. Durante l’operazione, la NATO ha avuto contatti senza precedenti con la Lega araba, il cui sostegno per il tutto in tale frangente risultava essenziale.
Una volta ripercorso in breve l’excursus storico della NATO, pare adesso doveroso cercare di soffermare l’attenzione sui prerequisiti essenziali che hanno portato tale organizzazione a concentrarsi sempre più sulla tematica centrale di tale lavoro, ossia il raggiungimento degli Accordi di Varsavia nel 2015. Il vertice NATO è stato istituito con le principali preoccupazioni per una divisione nell’Alleanza e per conciliare gli interessi degli Stati membri dell’Europa orientale e del Sud Europa in vista di diverse minacce regionali. Cinque questioni hanno funto da prerequisiti sostanziali andando a determinare la necessità di tale vertice: la situazione in Europa orientale, i rischi che provengono dal Medio Oriente, una riforma della politica di partenariato della NATO, la questione dell’allargamento e il dibattito sulla futura strategia nucleare dell’Alleanza.
La NATO presentava infatti un’immagine ibrida sette mesi prima del vertice di luglio 2016 a Varsavia. Da una parte, l’aggressione neo imperialista della Russia nell’Europa orientale ha unito l’Alleanza e ha riattivato la sua funzione fondamentale come alleanza di difesa. I suoi membri ritengono ancora una volta di trovarsi di fronte alle realtà di un “mondo dell’articolo 5” in cui si attribuisce la priorità alla solidarietà dell’Alleanza ai sensi dell’articolo 5 del trattato Nord Atlantico. Come risultato, gli Stati membri hanno accettato un pacchetto completo di misure durante il vertice della NATO in Galles al fine di rafforzare la propria capacità di difesa e hanno dimostrato l’impegno per l’attuazione di questo pacchetto – situazione alquanto significativa e piuttosto rara in sede di summit NATO.
D’altra parte, la NATO è divisa sulla questione di dove e come dovrebbe migliorare la sua capacità di difesa: la corrente revisionista della Russia all’est e la continua violenza islamista nel sud sono due problemi completamente differenti tra loro. Di conseguenza, si presentavano circa quattro priorità diverse che la NATO poneva come obiettivi primari da discutere in sede di Varsavia:
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Per i membri dell’Europa dell’Est, il summit di Varsavia si basa sull’attuazione del rafforzamento delle capacità militari, concordato nel summit in Galles del 2014, al fine di migliorare le capacità di dissuasione e di difesa della NATO rispetto alla Russia.
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I paesi del sud della NATO desideravano assicurarsi che l’obiettivo principale dell’Alleanza non fosse del tutto mirato in Europa Orientale e chiedevano, ad esempio, che la nuova Joint Task Force (Very High Readiness Joint Task Force – VJTF) fosse stata adatta anche per la difes dell’Europa meridionale.
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I tre grandi Stati membri europei della NATO – Germania, Francia e Gran Bretagna – avrebbero tentato di istituire un compromesso diplomatico per entrambe le posizioni al fine di ridurre le tensioni tra “sud” e “est”.
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Con il suo ruolo guida, gli Stati Uniti erano inoltre in forte ricerca di mantenere un consenso nell’Alleanza ma con la prerogativa che l’intera Europa effettuasse un maggiore sforzo militare verso la propria difesa.
Emergeva inoltre prepotentemente anche una linea di guerra transatlantica. Reclami da parte degli stati europei della NATO circa la mancanza di una chiara leadership americana dell’Alleanza erano in quel periodo più forti di quanto non lo fossero mai stati di recente e contraddicevano una pubblica credenza proveniente dallo Stato tedesco che, a seguito delle attività legate all’NSA e delle preoccupazioni per il TTIP, riteneva che l’Europa fosse presumibilmente dominata dal governo statunitense. In vista di questa complessa situazione, le cinque questioni appena menzionate si ponevano come alla base dell’agenda di Varsavia.
Negli ultimi anni il problema dei tagli alle spese militari nei paesi europei ha suscitato non poche preoccupazioni all’interno della comunità internazionale. Nello specifico, il rischio di avere in Europa eserciti “bonsai”, troppo limitati nelle dimensioni per essere impiegati in robuste operazioni di combattimento, significava minare gli sforzi fatti per lo sviluppo di un meccanismo di risposta rapida ed efficace alle minacce alla sicurezza europea. Sebbene all’interno dell’Ue fosse stato già in atto un processo di condivisione delle risorse, con risultati apprezzabili soprattutto nell’ambito del settore del trasporto aereo, la Nato ha rafforzato interoperabilità e capacità attraverso due importanti iniziative: la Smart Defence e il Framework Nation Concept. La Smart Defence, inizialmente concepita al vertice Nato di Chicago nel maggio 2012, ha il compito di incoraggiare gli alleati ad operare congiuntamente con l’obiettivo di sviluppare, acquisire e sostenere capacità militari. Più precisamente, questo processo avviene attraverso una serie di progetti riguardanti aree cruciali quali: munizioni di precisione, cyber defence, difesa antibalistica e Jisr (Joint Intelligence, Surveillance and Reconnaissance). Il Framework Nation Concept introdotto nel 2013 ha invece l’obiettivo di accrescere la sostenibilità e preservare capacità chiave in ambito militare attraverso lo sviluppo di unità multinazionali guidate da una “framework nation” (i.e. Germania, Italia e Regno Unito).
Le minacce ad est e a sud dei confini europei (Balcani) ponevano comunque ulteriori sfide alla NATO, esponendo i limiti delle attuali iniziative e rendendo necessari immediati aggiustamenti. L’annessione illegale della Crimea e la crisi in Ucraina hanno costretto la NATO ad elaborare una strategia sia per rassicurare gli alleati maggiormente intimoriti dall’azione della Federazione Russa, sia per difendere il confine orientale dalla minaccia proveniente da Mosca. Durante il conflitto in Georgia del 2008 la Russia aveva già iniziato un processo di modernizzazione e miglioramento rivolto all’organizzazione, addestramento e logistica delle proprie forze armate. Ciononostante la rapida escalation dell’azione russa in Ucraina ha colto di sorpresa la NATO. La crisi in Ucraina ha trasformato radicalmente la percezione reciproca di NATO e Russia: da un lato la Russia si considera in conflitto con l’Occidente, dall’altro l’Alleanza ha smesso di vedere la Russia come partner affidabile.
A tal proposito, è stata suggerita l’ipotesi di una normalizzazione delle relazioni tra Nato e Russia, almeno in termini economici. A titolo di esempio si ricorda la partnership esistente tra alcuni dei partner europei (es. Italia e Francia) e la Federazione Russa. Un ritorno alla normalità nei rapporti tra Nato e Russia a seguito della crisi ucraina non sembrava tuttavia possibile nelle circostanze allora in atto. Dal 1 aprile 2014 i membri Nato all’interno del Consiglio Nato-Russia hanno sospeso tutti i progetti di cooperazione esistenti con Mosca, sia in ambito civile che militare.
Nonostante vari aspetti dello scenario orientale europeo richiamino alla mente la Guerra fredda, si possono evidenziare varie differenze con l’era pre-1989.
La prima grande differenza riguarda la posizione della linea di divisione. Invece di Berlino, il nuovo fronte di tensione è adesso rappresentato dal confine con le repubbliche baltiche. Questa nuova condizione costituisce un vantaggio operativo per la Russia. Nonostante le capacità Nato prevalgano ancora su quelle russe, il vantaggio di Mosca si regge sulla rapidità di schieramento delle sue forze, come dimostrato dalla mobilitazione lungo il confine con l’Ucraina di decine di migliaia di soldati nell’arco di 72 ore. D’altro canto, data la mancanza di profondità strategica delle repubbliche baltiche, la Nato ha grandi difficoltà nell’elaborare nell’area meccanismi di risposta rapidi ed efficaci, che siano in grado di prevenire e respingere un’eventuale aggressione da parte di Mosca.
La seconda grande differenza risiede nel ruolo giocato dall’Unione europea (Ue) nella crisi ucraina, soprattutto considerando che l’Unione non disponeva degli attuali strumenti durante la Guerra fredda. L’Ue possedeva a sua disposizione strumenti legali, politici ed economici che potrebbero essere utilizzati per influenzare i calcoli strategici della Russia nelle fasi iniziali di un’eventuale ostilità. Di conseguenza, aggiungendo gli strumenti europei di soft power a quelli militari della Nato, i due attori avrebbero potuto condividere l’onere di garantire la sicurezza dei confini dell’Europa orientale. Nello specifico, il contributo dell’Ue si rivelava utile in scenari di guerra ibrida, quando i confini tra sicurezza interna ed esterna risultano particolarmente sfumati.
Un’altra importante differenza evidenziata durante il dibattito riguarda proprio il carattere ibrido della guerra in Ucraina. Alcuni interventi hanno sottolineato i metodi innovativi e l’inusuale entità delle operazioni di intelligence condotte dalla Russia, così come il suo interferire con i media degli stati limitrofi. Altri hanno invece posto l’accento sugli elementi di continuità con la Guerra fredda, facendo riferimento alle caratteristiche della propaganda estremamente aggressiva messa in atto dai russi negli anni Settanta. Ciononostante, la guerra ibrida in Ucraina ha rivelato come la Nato non disponga di strumenti di soft power per fronteggiare situazioni di questo genere.
Nel solco di tale analisi, si deve rimarcare come la guerra ibrida non ricada direttamente sotto il mandato dell’Alleanza atlantica in termini di difesa collettiva. In realtà nella prima fase delle ostilità in Ucraina il conflitto ibrido fu considerato come una questione di sicurezza interna e la NATO fu chiamata in causa nel momento in cui gli alleati confinanti con la Russia ne richiesero l’intervento.
Infine, un’altra differenza rispetto alla Guerra Fredda è rappresentata dalla presenza di minoranze russe nei territori di alcuni stati membri della Nato, come conseguenza dell’allargamento ad Est compiuto dall’Alleanza nel 2004. A tal proposito la discussione non ha mancato di evidenziare come una più profonda integrazione delle minoranze in questi paesi possa contribuire a stabilizzare le relazioni tra Nato e Russia, così come ad accrescere la resilienza degli alleati orientali rispetto a “minacce ibride”. A parte le considerazioni riguardanti differenze e similitudini con la Guerra fredda, è stato unanimemente riconosciuto che le relazioni con la Russia rappresentano al momento la maggiore preoccupazione per la Nato. Mettendo a nudo le sottovalutate debolezze dell’Alleanza, la crisi in Ucraina ha costretto la Nato a supportare i suoi alleati orientali in termini operativi, tecnici e politici. In particolare, la crisi ha evidenziato le difficoltà della Nato nell’impiegare capacità operative di risposta rapida. Di conseguenza, per preparare la Nato rispetto a queste minacce alla propria sicurezza, in occasione del vertice del 2014 in Galles gli alleati hanno concordato sulla redazione del Readiness Action Plan (Rap). Le misure adottate nel Rap includono: l’aumento del numero di velivoli impegnati nel pattugliamento dello spazio aereo degli Stati baltici; lo schieramento di caccia in Romania e Polonia e di velivoli per attività di addestramento in Romania; l’intensificazione del pattugliamento nel Mar Baltico, nel Mar Nero e nel Mediterraneo attraverso gli Standing NATO Maritime Group e gli Standing NATO Mine Counter-Measures Group; infine, il dispiegamento di forze di terra lungo i confini orientali dell’Alleanza con l’obiettivo di condurre a rotazione addestramenti ed esercitazioni1. In generale, il Rap è uno strumento che ha lo scopo di rendere le forze Nato maggiormente pronte ad operare sia sul fianco sud che sul fianco est.
Nel complesso la crisi ucraina ha evidenziato i limiti delle forze e della struttura di comando della Nato, limiti che rendono difficile attuare una risposta rapida a crisi improvvise. Proprio per questo il Rap prevede delle misure di adattamento a lungo termine, quali il rafforzamento della NATO Response Force (Nrf), così come l’istituzione della Very High Readiness Joint Task Force (Vjtf), delle NATO Force Integration Unit (Nfiu) e di quartieri generali multinazionali. In aggiunta, il recente intervento russo in Siria ha attirato l’attenzione della comunità internazionale prevalentemente su due aspetti. Innanzitutto, date le difficoltà logistiche e la mancanza di sostegno da parte dell’opinione pubblica per un intervento di terra in Siria, sono stati sollevati dubbi circa le capacità di Mosca di impiegare un considerevole numero di uomini nella regione per un periodo prolungato, a differenza del caso ucraino. In secondo luogo, si è discusso sulla mancanza di una reazione da parte Nato all’iniziativa russa. A tal proposito, la differenza di visioni tra gli alleati all’interno di un processo di decision-making basato sul consenso può aver costituito un ostacolo nell’affrontare queste situazioni.
Mentre lungo i confini orientali la sicurezza dell’Alleanza è messa alla prova da una minaccia già nota e rappresentata da un attore unitario, il fianco sud è colpito da minacce inusuali e molteplici (es. il terrorismo e un massiccio flusso di rifugiati). Proprio riguardo alla sfida proveniente da sud, sono state poste numerose domande durante il dibattito. Le risposte riguardanti il coinvolgimento della Nato in questo scenario hanno sottolineato come l’Alleanza debba chiarire alcuni punti fondamentali prima di definire una strategia guida per il Sud.
In primo luogo dovrebbero essere identificate le minacce e individuato il quadro giuridico di riferimento adatto per affrontarle. Nello specifico, alcune questioni rimangono irrisolte e va chiarito se l’obiettivo debba essere la lotta allo Stato islamico o anche ad altri gruppi terroristici, e se la situazione attuale rappresenti una questione di difesa o piuttosto di sicurezza interna. Gli alleati sono quindi chiamati a definire le loro ambizioni nella regione meridionale, storicamente non al centro delle attenzioni dell’Alleanza. Al riguardo, risulta difficile chiarire quale attore, Nato o Unione europea, debba essere coinvolto, se l’articolo 5 della Carta atlantica sia applicabile o meno in questo contesto e infine quali siano le necessità degli alleati. Ad esempio, attualmente il mandato della Nato non include attività di contrasto al terrorismo in termini di intelligence, in quanto questa è spesso considerata una questione di sicurezza interna. Pertanto, qualora i membri Nato del fianco sud (es. Italia, Spagna e Portogallo) incoraggiassero un maggiore coinvolgimento dell’Alleanza in questo scenario, questo potrebbe richiedere importanti cambiamenti nel mandato dell’organizzazione.
Gli alleati meridionali, ad ogni modo, si sarebbero trovati nell’evenienza di chiarire le proprie intenzioni prima di chiedere un adattamento della struttura istituzionale dell’Alleanza. Inoltre, dato che il processo di adattamento dipende interamente dalla volontà politica dei membri della Nato, una leadership forte statunitense avrebbe potuto facilitare questa operazione. A tal proposito, sfortunatamente, gli Stati Uniti scelsero di tenere un profilo basso in Medio Oriente e nel Nord Africa, con la Nato priva di una leadership ferma in grado di gestire la questione relativa ai suoi confini meridionali. Tuttavia, eventuali cambiamenti nel mandato dell’Alleanza Atlantica potrebbero essere cruciali al fine di affrontare le minacce emergenti.
L’Alleanza si trovava quindi nell’evidente bisogno di attuare cambiamenti importanti orientati al rafforzamento di interoperabilità, prontezza e adattamento, al fine di fronteggiare le attuali sfide a livello internazionale. Il vertice in Galles promosse riforme istituzionali e operative in risposta alla crisi in Ucraina (es. il Rap) e diverse iniziative allora in via di realizzazione. Il vertice di Varsavia del 2016 è risultato quindi chiaramente un momento cruciale per verificare il raggiungimento degli obiettivi fissati dal vertice in Galles e per continuare nel loro perseguimento. Non erano però state ancora adottate misure atte a rispondere alle crescenti minacce provenienti dal fianco sud.
Catalizzando la volontà politica degli alleati di affrontare le sfide alla sicurezza dell’Alleanza, il vertice di Varsavia rappresenta dunque il punto di partenza per un rafforzamento delle capacità Nato di rispondere a simili minacce. Al tal fine, è stato innanzitutto necessario accrescere la consapevolezza riguardo alla sfida del fianco Sud e chiarire il possibile ruolo della Nato a riguardo. In generale, la natura sfaccettata dello scenario che la Nato si trovava ad affrontare sarebbe potuta essere considerata anche come un’opportunità per riformare il sistema decisionale e la struttura delle forze dell’Alleanza, alla luce dei cambiamenti all’interno dell’ambiente di sicurezza internazionale. A tal proposito, la Nato prese in considerazione un adattamento comprensivo di lungo periodo che implicasse il rafforzamento dell’unità politica e militare degli alleati e la promozione di una maggiore reattività ai confini est e sud dell’Alleanza. Le iniziative della Nato rimanevano inoltre orientate verso una più stretta collaborazione con l’Ue e lo sviluppo di strategie e strumenti efficaci per contrastare la guerra ibrida, e infine verso un adattamento politico.
Come si è potuto notare, il vertice di Varsavia del 2016 sorgeva su una base di prerequisiti sostanziali che risultavano determinanti per sancire una politica dell’Alleanza al tempo stesso innovativa ed in linea con le prerogative del Trattato, un passo importante in questo percorso di modernizzazione sia per le istituzioni Nato che per i suoi alleati.
Fin dalla sua fondazione nel 1949, la flessibilità dell’Alleanza transatlantica, incorporata nel suo Trattato originale, ha permesso di soddisfare le differenti esigenze ogni volta di diversa natura. Negli anni ’50 l’Alleanza era un’organizzazione puramente difensiva. Negli anni ’60, la NATO è diventata uno strumento politico per la détente. Negli anni ’90, l’Alleanza era uno strumento per la stabilizzazione dell’Europa dell’Est e dell’Asia centrale attraverso l’incorporazione di nuovi Partner e Alleati. Ora la NATO ha una nuova missione: estendere la pace attraverso la proiezione strategica della sicurezza.
Questa non è una missione di scelta, ma di necessità. Gli Alleati non l’hanno inventata né lo desideravano. Gli eventi stessi hanno costretto questa missione su di loro. Il fallimento degli Stati-Nazione e l’estremismo violento potrebbero essere le definitive minacce della prima metà del XXI secolo. Solo una risposta internazionale fortemente coordinata può affrontarli. Questa è la sfida comune della NATO. Come pietra fondamentale di una pace transatlantica, la NATO deve essere pronta a soddisfarla.
Note
1 In Cecoslovacchia tutto ebbe iniziò il 12 febbraio 1948, quando il ministro degli interni Vaclav Nosek, comunista, decise improvvisamente di sostituire 8 funzionari di Pubblica sicurezza di Praga, non comunisti, con persone di fiducia. Il primo ministro era sì il comunista Klement Gottwald, fedelissimo a Stalin, ma 17 ministri sui ventisei del suo governo appartenevano ad altri partiti. Nel Parlamento, eletto con libere elezioni il 26 maggio 1946, il Pccs (Partito comunista cecoslovacco) disponeva di 114 seggi su 300. Tuttavia i comunisti avevano inserito uomini di loro fiducia in tutti i gangli della vita pubblica: forze armate, polizia, economia, informazione. Avevano organizzato la “Lidová milice”, la milizia popolare, una forza armata semilegale, pronta a obbedire a qualsiasi ordine del Pccs. Era l’inizio di un’epurazione drammatica. Il giorno successivo alcuni ministri non comunisti chiesero all’esecutivo il ritiro di questa disposizione. I più colpiti da quella decisione furono proprio i parlamentari socialisti. Il 20 febbraio rimisero il proprio mandato al presidente della repubblica i ministri del Partito socialista nazionale (P. Zenkl, Hubert Ripka, P. Drtina, J. Stransky), del Partito popolare (monsignor J. Sramek, monsignor F. Hala, J. Prochazka, Vaclav Kopecky) e del Partito democratico slovacco (Kocvara, Pietor, Franek, Lichner), sperando che la situazione creatasi potesse risolversi per vie democratiche e che i comunisti rispettassero il normale iter politico democratico. La leadership comunista guidata da Gottwald, A. Zapotocky, Rudolf Slansky e Vaclav Kopecky sfruttò invece la situazione suscitando una campagna contro i ministri dimissionari definiti “reazionari sovversivi”, chiedendo a Benes di accoglierne le dimissioni suggerendo nomi alternativi fiancheggiatori del Partito comunista cecoslovacco. Il 21 febbraio vennero mobilitati i comunisti di Praga, poi toccò ai comitati di fabbrica, venne indetta un’ora di sciopero generale e, agitando la minaccia della guerra civile e dell’intervento sovietico i comunisti costrinsero Eduard Benes a nominare un nuovo governo. Il dramma si concluse il 25 febbraio del 1948 quando una manifestazione di piazza comunista, dopo alcuni giorni di violenze, appoggiò il presidente del Consiglio, lo stalinista Klement Gottwald. Meriterebbero un capitolo a parte tutte le epurazioni successive. La prima vittima illustre del “febbraio vittorioso” fu Jan Masaryk, figlio di Tomas, ministro degli Esteri nel governo di coalizione. Morì nella notte tra il 9 e il 10 marzo, cadendo da una finestra del suo ufficio. Secondo le autorità fu un suicidio. Nessuno ci credette. Il terrore continuò fino alla morte di Stalin. Si calcola che le vittime furono 150 mila e tra queste lo stesso Rudolf Slanski, onnipotente segretario del Pcc caduto improvvisamente in disgrazia e impiccato dopo un processo farsa nel 1952. In quei giorni dell’inverno del 1948 si accelerò il processo di sovietizzazione delle istituzioni. Alcuni partiti della sinistra democratica vennero assorbiti dal Pccs in un “Fronte Nazionale”, fu elaborata una nuova Costituzione (9 maggio 1948) che prevedeva elezioni sulla base della presentazione di una lista unica, unica lista (Fronte Nazionale, appunto) che si votò nelle elezioni indette per il 30 maggio 1948. I giochi erano fatti. Il 7 Giugno 1948 il presidente della Repubblica Beneš si dimise, dopo essersi rifiutato di firmare la Costituzione del 9 Maggio. Morì il settembre successivo di crepacuore. Gli esponenti del Partito comunista italiano erano galvanizzati da quella vittoria. Nel corso di un colloquio con un funzionario sovietico, l’esponente comunista Paolo Robotti disse: “La vittoria darà al Partito comunista la possibilità di passare legalmente a una tattica molto più risoluta, come è stato in Cecoslovacchia”. Nonostante ciò, De Gasperi rimase saldamente alla guida del paese senza che nessuno lo spingesse giù dalla finestra.
2 L’ Organizzazione di difesa di Western Union ( WUDO ) era il braccio della difesa dell’Unione occidentale, il precursore dell’Unione dell’Europa Occidentale (WEU). Il WUDO è stato anche un precursore dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico e la sua sede, personale e piani hanno fornito il nucleo della struttura militare di comando militare della NATO. Dopo la messa in piedi della suprema sede della NATO Allied Powers Europe , il WUDO è stato eliminato dopo tre anni di esistenza. Il trattato di Bruxelles è stato firmato il 17 marzo 1948 tra il Belgio , la Francia , il Lussemburgo , i Paesi Bassi e il Regno Unito ed è stata un’espansione all’impegno di difesa dell’anno precedente, il trattato di Dunkirk firmato tra la Gran Bretagna e la Francia. Il Trattato di Bruxelles conteneva una clausola di reciproca difesa di cui all’articolo IV:
“Se una delle Alte Parti contraenti dovrebbe essere oggetto di un attacco armato in Europa, le altre Alte Parti Contraenti, conformemente alle disposizioni dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite , consentono alla Parte di attaccare tutti i militari e Altri aiuti e assistenza nel loro potere.”
L’articolo V stabilisce gli obblighi dei membri del Patto di Bruxelles di cooperare con il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per mantenere la pace e la sicurezza internazionali e l’articolo VI stabilisce gli obblighi dei membri del Patto di Bruxelles di non entrare in trattati di terze parti contrari al trattato Bruxelles. A partire da aprile, le parti del Patto di Bruxelles hanno deciso di creare un’agenzia militare sotto il nome dell’Organizzazione di difesa dell’Occidente. Il WUDO è stato formalmente costituito il 27-28 settembre 1948.
3 PHILIP M. COUPLAND, Western Union, “Spiritual Union,” and European Integration, 1948–1951, Cambidge University Press, Volume 43, Luglio 2004, pp. 366-394 https://www.cambridge.org/core/journals/journal-of-british-studies/article/western-union-spiritual-union-and-european-integration
4La “Dichiarazione sui principi che guidano le relazioni tra gli stati partecipanti” inserita nell’Atto finale (nota anche come “il decalogo”) elencava i dieci punti seguenti:
1.Eguaglianza sovrana, rispetto dei diritti inerenti alla sovranità
2.Non ricorso alla minaccia o all’uso della forza
3. Inviolabilità delle frontiere
4. Integrità territoriale degli stati
5. Risoluzione pacifica delle controversie
6. Non intervento negli affari interni
7. Rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, inclusa la libertà di pensiero, coscienza, religione o credo
8. Eguaglianza dei diritti ed autodeterminazione dei popoli
9. Cooperazione fra gli stati
10. Adempimento in buona fede degli obblighi di diritto internazionale
5 Il General Framework Agreement for Peace, più comunemente noto come Accordi di Dayton, è un’intesa politica che mise fine a quello che è stato considerato il conflitto più sanguinoso dalla fine della Seconda guerra mondiale in Europa. Gli accordi di pace, firmati nella base americana di Wright-Patterson, in Ohio (Usa), furono stipulati, sotto l’egida della comunità internazionale, il 21 novembre del 1995 dai rappresentanti delle tre etnie principali del paese: Slobodan Milošević, presidente della Serbia, Franjo Tudjman, presidente della Croazia e Alija Izetbegović, presidente della Bosnia Erzegovina.
Foto Copertina: On 21 January 1993, at the North Atlantic Treaty Organisation (NATO) Headquarters in Brussels, General John Shalikashvili, Supreme Allied Commander, Europe (SACEUR), and the French and German Chiefs of Staff, Admiral Jacques Lanxade and General Klaus Naumann, sign an agreement establishing operational links between the NATO military structure and the Franco-German Eurocorps. cvce.eu