La sede AICS di Nairobi è competente per Kenya (Paese prioritario AICS), Burundi, Repubblica Democratica del Congo, Ruanda, Tanzania ed Uganda. Si tratta di un’area dalle grandi potenzialità nella quale convivono Paesi in forte crescita e avviati verso un solido sviluppo e Paesi dalle grandi ricchezze, ma colpiti da instabilità e crisi umanitarie. Ne parliamo con Fabio Melloni direttore di Aics Nairobi.

Il Kenya è l’unico Paese prioritario di quelli di competenza dove la cooperazione italiana agisce in settori chiave quali agricoltura e ambiente, acqua, sanità, sviluppo del settore privato.
L’attività di cooperazione è allineata con l’agenda nazionale del Kenya delineata nel “Kenya Vision 2030” e dal “Big Four Agenda for Development”. Insieme ai Paesi membri è stato promosso un esercizio di programmazione congiunta che ha consentito di mettere a punto una “EU Joint Cooperation Strategy 2018-2022”.
Per fare il punto della situazione sui programmi della cooperazione italiana nella zona, ne parliamo con Fabio Melloni[1], direttore della sede regionale Aics.
Direttore Melloni, brevemente, cos’è la cooperazione allo sviluppo e quali sono le relative politiche?
Uno dei capisaldi della cooperazione allo sviluppo è quello di essere una componente essenziale della politica estera dell’Italia. Questo concetto è stato chiaramente espresso nella legge n. 49 del 1987 e riaffermato nella legge n. 125 del 2014. Parte integrante della politica estera dell’Italia non significa ovviamente mero strumento ma, al contrario, componente essenziale della medesima, dove ognuno, con propria autonomia e dignità, mette a disposizione le proprie competenze, contribuendo così alla proiezione dell’Italia nel mondo.
Ritengo questo aspetto fondamentale soprattutto nei paesi nei quali lavoriamo dove, le decisioni e le azioni di cooperazione seguono dei parametri propri legati ad aspetti umanitari e di sviluppo del paese, ma che sono perfettamente integrati all’azione diplomatica e della politica estera italiana.
Ritengo utile, infine, ribadire un altro aspetto. La cooperazione internazionale ha subito cambiamenti profondi. Nata su temi di natura sociale ed umanitaria ha visto, negli ultimi anni, un’affermazione degli aspetti legati allo sviluppo economico, al partenariato con i paesi in via di sviluppo e alla coerenza dell’azione internazionale della politica estera italiana. Un cambio di rotta fondamentale, che ha trasformato la cooperazione in azione governativa fondata non soltanto sulla solidarietà sociale, ma anche in azione che prende in considerazione gli interessi economici e politici dell’Italia nei paesi in via di sviluppo. Sulla base di queste considerazioni, si prendono le decisioni su come allocare le risorse messe a disposizione dal governo italiano nei vari paesi e settori prioritari.
Riallacciandomi a questa sua ultima considerazione, quali sono i paesi ed i settori prioritari della cooperazione allo sviluppo italiana?
Per ciò che concerne la sede che dirigo, l’unico paese prioritario per l’Italia è il Kenya. Gli altri non rientrano nella lista dei paesi prioritari della cooperazione italiana, caratterizzando in maniera decisamente limitata e puntuale la nostra attività. Mentre in Kenya lavoriamo in una serie di settori (sviluppo economico, sociale, ambientale, diritti umani, ecc.) attraverso gli strumenti messi a disposizione dalla legge 125 (essenzialmente dono e crediti di aiuto), negli altri paesi rispondiamo a specifici bisogni attraverso azioni puntali e limitate. Per fare degli esempi, nella Repubblica Democratica del Congo lavoriamo esclusivamente nel settore umanitario, in Uganda abbiamo attività nel settore sanitario, in Tanzania nel settore dell’istruzione ed in Rwanda e Burundi non abbiamo progetti attivi. Il tratto comune a questi paesi che mi preme sottolineare, è che vi è una forte presenza delle Organizzazioni della Società Civile (OSC) italiane che lavorano, indipendentemente dai fondi messi a disposizione dalla cooperazione italiana, in diversi settori.
Nella sua risposta ha menzionato il settore dello sviluppo economico. Potrebbe farci una panoramica generale dei principali programmi che state finanziando?
Per noi il settore dello sviluppo economico ed ambientale ha un significato molto chiaro e definito. Si tratta essenzialmente di sostegno al settore privato, prendendo in considerazione non soltanto le sfide relative all’accesso al credito e al mercato per le PMI keniane, ma anche le sfide ambientali. Quello che ho potuto constatare in questo anno trascorso qui è che, da questo punto di vista, il Kenya è un paese estremamente interessante. Rispetto ai vicini della regione, ha un settore privato molto dinamico ed avanzato, e su questo abbiamo interesse a costruire una nostra presenza stabile.
Abbiamo iniziato a farlo un paio di anni fa con il sostegno ad un incubatore d’impresa in collaborazione con l’Università Cattolica italiana e con la fondazione E4Impact. È un programma che si sta per concludere in queste settimane e che ha supportato start up e PMI keniane con alcuni requisiti di sostenibilità nonché di collegamento con il settore privato italiano. È stata un’esperienza molto stimolante e che ha dato risultati molto positivi, tanto da spingerci ad espanderlo e a dedicarvi maggiori risorse. Fondamentali nella riuscita del programma sono state le partnership che abbiamo sviluppato con ENI (sulla componente dei pannelli fotovoltaici) ed ENEL (sulla componente minigrid) nonché sulla formazione professionale su energie rinnovabili e pannelli fotovoltaici.
Per ciò che concerne le controparti governative, il nostro maggiore interlocutore è il Ministero dell’Industria. Tuttavia, tengo a sottolineare, che i nostri diretti interlocutori sono i giovani imprenditori, ed è solo ed esclusivamente con loro che ci interfacciamo, che sosteniamo e che coinvolgiamo nelle nostre azioni. La controparte governativa ha quindi un ruolo indiretto quale organismo regolatore, con compiti di supervisione.
Infine, merita una menzione la Cooperazione Delegata. Quest’ultima riguarda la gestione diretta, da parte delle sedi estere AICS, di fondi stanziati dall’Unione Europea per progetti di cooperazione. AICS Nairobi ha da poco iniziato un programma, finanziato appunto dall’UE, nel settore della Blue Economy. Questo si articola in due componenti: una che riguarda il rafforzamento istituzionale di un organismo pubblico competente per lo sviluppo economico della costa; l’altra che riguarda lo sviluppo delle filiere presenti nell’area costiera (essenzialmente pesca ed agricoltura). Un ottimo esempio di come si possa coniugare sostegno alla controparte governativa e supporto al settore privato.
Nel corso degli ultimi anni, AICS ha consolidato e valorizzato il suo già rilevante impegno per il raggiungimento della salute e del benessere delle popolazioni nei paesi partner. In particolare, alla lotta contro le malattie infettive perseguita attraverso il sostegno a partenariati globali (il Fondo Globale per la lotta all’HIV, Malaria e Tubercolosi, e l’Alleanza Globale per le Vaccinazioni – GAVI). Inoltre, AICS ha messo in campo strategie ed azioni nel settore dell’istruzione, volte a fornire servizi educativi alle popolazioni beneficiarie. Potrebbe descriverci brevemente quali sono i progetti principali in tali ambiti?
Per ciò che concerne il settore della salute, c’è un bando che viene lanciato da AICS Roma a valere sul fondo globale per la lotta all’HIV, Malaria e Tubercolosi, al quale le OSC italiane partecipano, presentando propri progetti. Il Kenya è senz’altro paese destinatario di tali contributi.
Per ciò che concerne il settore dell’istruzione, questo non è tra i temi principali di intervento di AICS Kenya. Il paese dove interveniamo in maniera specifica in tale settore è la Tanzania, attraverso un programma a credito di aiuto specificamente dedicato alla formazione professionale, con un finanziamento al Ministero dell’Educazione e supportando istituti tecnici. Al contrario, in Kenya, il nostro intervento nel settore dell’educazione è indiretto, nel senso che si inserisce in un programma più ampio di sviluppo del settore privato, nel quale la formazione professionale è parte integrante.
In che misura i paesi di vostra competenza stanno affrontando la pandemia da COVID-19? Ed in che misura AICS sta intervenendo per farvi fronte?
Per far fronte all’emergenza COVID-19 nei paesi nei quali operiamo, sono stati riallocati fondi esistenti soprattutto nel settore agricolo, intervenendo nelle comunità nostre beneficiarie. Si è trattato, in sostanza, di portare aiuti alimentari alle popolazioni colpite, trattandosi prevalentemente di agricolture di sussistenza. In realtà, abbiamo intenzione di fare qualcosa di più ambizioso in quanto l’epidemia continua e non terminerà in tempi brevi. Il rischio non sono soltanto gli effetti diretti ma quelli indiretti su tutti i servizi sanitari che sono stati toccati dall’epidemia e che hanno fatto passare in secondo piano la cura di altre malattie esistenti.
La cooperazione italiana ha una particolarità storica: vi è una ricchissima presenza di organizzazioni italiane di vario genere attive nei servizi sanitari. Quello che vogliamo fare nei prossimi mesi è lavorare con questi centri sanitari, gestiti o supportati da tali organizzazioni italiane, per metterli in rete e fare in modo che possano scambiare buone pratiche, elaborare protocolli, fare formazione congiunta e condividere esperienze. In poche parole, mettere a sistema queste realtà sanitarie per creare sinergie virtuose. Sulla base di queste considerazioni, stiamo immaginando una sorta di grande programma di risposta sanitaria in tutta la regione che parta dalla presenza italiana in queste aree. Infine, messa a rete non significa soltanto scambio virtuoso di esperienze, ma anche ottimizzazione e razionalizzazione delle risorse a disposizione.
Recentemente l’Ambasciatore d’Italia in Kenya, Alberto Pieri, e la Direttrice di UN Women, Anna Mutavati, hanno rinnovato il finanziamento del programma “Let It Not Happen Again – Addressing Violence against Women by Strengthening Access to Justice in Kenya” per contrastare e prevenire la discriminazione e la violenza contro le donne. In cosa consiste questo programma e quali sono gli obiettivi prefissati?
Più che un programma, questo è un percorso iniziato qualche anno fa in collegamento con la violenza di genere registrata durante le elezioni. Nato quindi come programma di prevenzione e sensibilizzazione durante il periodo elettorale, si è cercato di estenderlo anche ad altri aspetti della vita quotidiana: si pensi, ad esempio, alle violenze domestiche perpetrate durante i periodi di lockdown dovuti al COVID-19, con un aumento esponenziale delle denunce fatte da donne vittime di tali violenze. Il programma continuerà anche per le elezioni del 2022 ed avrà come obiettivo di fondo il contrasto alla violenza di genere attraverso meccanismi quali quello della formazione delle forze di polizia, per sapere come e quando intervenire e come contrastare il fenomeno. Oltre alla repressione del fenomeno, quindi, anche la prevenzione.
Lei è stato direttore di AICS Maputo. La situazione a Cabo Delgado ha innescato un crisi per le esigenze di protezione di oltre mezzo milione di civili: si registrano diffuse testimonianze di violazioni di diritti umani e inosservanza del diritto umanitario internazionale. Save the Children ha denunciato, nel suo ultimo rapporto, le strazianti testimonianze delle madri di alcuni ragazzi uccisi da ISIS. Quali sono le conseguenze sociali ed umanitarie di questa crisi?
Innanzitutto, mi preme dire che la crescita del terrorismo islamista e di azioni terroristiche è davvero una grande tristezza e un grande disastro, poiché si parla di zone già estremamente povere e disagiate. L’anno scorso, la cooperazione italiana aveva definito, quando la violenza era già iniziata ma non era esplosa come adesso, delle attività di sviluppo agricolo per le comunità locali. Attività bloccate a causa delle recenti violenze. Queste ultime hanno anche portato ad un enorme afflusso di sfollati interni e di rifugiati, con tutto ciò che questo comporta.
Un’altra questione fondamentale quando si parla di guerre, interne o internazionali che siano, è che, come sempre avviene, non vi sono più informazioni. Giornalisti, associazioni locali, organizzazioni vengono tutti allontananti e messi a tacere, non hanno la possibilità di svolgere il proprio lavoro. Quindi, quello che succede è che non si sa più niente di ciò che avviene in quelle aree. Ed in questa mancanza di informazioni può succedere di tutto.
Note
[1] Laureato in Scienze Politiche a indirizzo economico ha lavorato come programmatore analista sui sistemi informatici presso l’Istituto Nazionale di Statistica italiano. E’ stato volontario in Africa (Benin) con una ONG italiana occupandosi del trattamento informatico e statistico di dati sulla malnutrizione. E’ stato consulente per l’ICT, la statistica e i sistemi di Early Warning del World Food Programme, della FAO, dell’Unione Europea in Benin, Niger, Mauritania, Zimbabwe, Egitto, Siria. Dal 1991 al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale come esperto di cooperazione allo sviluppo. Ha diretto gli Uffici di Cooperazione all’estero in Mozambico, Etiopia e in Libano e Siria. E’ stato coordinatore tecnico per gli aiuti umanitari della Cooperazione italiana seguendo le grandi crisi degli ultimi anni, dallo tsunami ai terremoti in Pakistan, in Indonesia, ai conflitti in Libano, Siria, Iraq, Sud Sudan. Dal mese di ottobre 2019 dirige la Sede AICS di Nairobi (Kenya, Burundi, Repubblica Democratica del Congo, Ruanda, Tanzania, Uganda).
Foto copertina: Logo dell’agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo.