La revoca del divieto si inserisce nel piano di riforme Vision 2030 promosso dal principe Mohammed Bin Salman e considerato da molti analisti come un insieme di provvedimenti di facciata che non apporteranno cambiamenti concreti.
E’ entrato in vigore lo scorso 24 giugno in Arabia Saudita, uno dei paesi più conservatori nel panorama arabo, il provvedimento normativo voluto dal principe Mohammed Bin Salman che revocando il pre-esistente divieto in materia permette alle donne del Paese di guidare l’automobile. L’abolizione del divieto era stata annunciata da re Salman nel settembre dello scorso anno su iniziativa del principe ereditario, già autore di diverse riforme in campo sociale ed economico.
Un cambiamento epocale che interviene su una delle restrizioni più emblematiche della legislazione vigente in Arabia Saudita e che segna un importante progresso verso l’autonomia delle tante donne saudite che da tempo invocavano a gran voce il diritto di guidare. Il provvedimento si inserisce nel più ampio piano denominato Vision 2030, finalizzato a una maggiore diversificazione economica e a una più incisiva presenza dei sauditi nel mondo del lavoro, donne incluse 1; proprio in occasione della presentazione del piano Vision 2030, nella primavera del 2016, il vice principe ereditario Mohammed Bin Salman aveva sottolineato in merito al divieto di guida per le donne che la società saudita non fosse ancora persuasa della necessità di un cambiamento. Ora il divieto è venuto meno, ma diversi attivisti e Ong pongono in evidenza come le politiche governative del paese continuino ad essere di stampo conservatore.
Le voci delle donne saudite che invocavano il diritto alla guida si erano già levate a partire dal 1990, quando decine di loro decisero di mettersi al volante in segno di protesta; a seguito del gesto dimostrativo, le donne che vi avevano preso parte furono imprigionate per 24 ore, si videro confiscare il passaporto e in alcuni casi persero il lavoro2.
Diversi anni dopo, nel 2007, l’Associazione per la Protezione e la Difesa dei Diritti delle Donne in Arabia Saudita presentò a re Abdullah una petizione di 1.100 firme con cui si chiedeva la revoca dell’interdizione. Poco dopo, nel 2011, debuttò su iniziativa di alcune donne la campagna Women2Drive3, che tramite il web raccolse circa 10mila consensi. Nei mesi successivi, diverse donne furono arrestate e poi rilasciate per dei video diffusi online che le ritraevano alla guida.
Suscitò grande scalpore l’arresto dell’attivista Loujain al-Hathloul4, che in possesso di una patente degli Emirati arabi uniti, guidò da Abu Dhabi fino al confine con l’Arabia Saudita, tentando di attraversarlo. La donna trascorse più di 70 giorni in prigione e il suo video, caricato in rete, ebbe centinaia di migliaia di visualizzazioni diventando un caso mediatico5.
E ancora poche settimane prima dell’entrata in vigore del provvedimento, sette attivisti per i diritti per le donne tra cui proprio Loujain al-Hathloul sono stati arrestati senza chiare motivazioni, sebbene un comunicato diffuso dal quotidiano saudita “Arab News” sostenga che gli arresti siano avvenuti sulla base di confessioni e prove a loro carico. Nello stesso periodo, a dieci donne sono state consegnate patenti di guida, con grande risonanza mediatica, in leggero anticipo sui tempi di revoca del divieto. E’ diventato virale, infatti, il video in cui viene mostrata la consegna delle patenti ad opera di un poliziotto saudita in uniforme. Non si sono fatte attendere le voci di protesta da parte di numerose Ong tra cui Amnesty International e Human Rights Watch,a cui da tempo gli attivisti locali hanno denunciato di come l’anno scorso fossero stati minacciati di non parlare con i media e di non attribuirsi il merito delle nuove normative6.
Diverse attiviste hanno inoltre sottolineato come, a dispetto delle riforme sociali avviate negli ultimi anni (tra cui la possibilità per le donne di diventare imprenditrici anche senza il consenso del marito o del padre, nonché quella di entrare allo stadio), le donne in Arabia Saudita siano ancora vittime di un sistema che le vede del tutto sottoposte al controllo di un uomo.
Alle donne saudite non è attualmente permesso viaggiare all’estero, sposarsi, frequentare le scuole superiori o ricevere alcune cure mediche senza il permesso del tutore maschio, che può essere il marito, il fratello, il padre o il figlio. Non è concesso loro di pregare insieme agli uomini e possono riunirsi solo in luoghi dedicati esclusivamente alle donne7.
L’ Ong Humans Right Watch ha lanciato nel luglio del 2016 una campagna internazionale mirata a denunciare gli enormi limiti alle libertà personali delle donne saudite per effetto del vigente sistema tutelare maschile tramite l’hashtag #TogetherToEndMaleGuardianship8, che viene tutt’ora utilizzato per denunciare la segregazione femminile ancora vigente.
Le riforme promosse dal principe Mohammed Bin Salman continuano quindi ad essere giudicate da molti analisti e Ong come provvedimenti di facciata che non contribuiranno a ad apportare reali cambiamenti alla segregazione femminile ancora in vigore nel Paese.
I mercati, intanto, si adeguano alla revoca del divieto di guida per le donne inaugurando le prime concessionarie di auto ad esse riservate e dedicando la copertina di Vogue Arabia ad una principessa della casa reale saudita ritratta al volante: si prevede infatti che se anche solo una piccola parte dei circa 6 milioni di donne dell’Arabia Saudita in età di guida decidesse di acquistare un’auto, ciò si tradurrebbe in un cospicuo vantaggio economico per le marche più popolari9.