L’Arabia Saudita e la crisi mediorientale: in bilico tra Teheran e Tel Aviv


Il crescente stato di tensione che, nelle ultime settimane, ha interessato l’Iran e lo Stato d’Israele ha ulteriormente sconvolto i già precari equilibri mediorientali. In tal senso, è importante non trascurare il ruolo della terza maggiore Potenza della regione, l’Arabia Saudita. Di fatti, la crisi vede Riad in bilico tra due rivali con i quali intende rafforzare i legami, sia pur con gradazioni diverse. Posta in una posizione particolarmente delicata potrebbe comunque trarne dei vantaggi non indifferenti.


Di Michele Gioculano

Da circa un anno, il principe della corona, Mohammed Bin Salman, sta conducendo un complesso processo negoziale volto alla normalizzazione dei rapporti tra Israele e l’Arabia Saudita. Anche grazie alla mediazione degli Stati Uniti, esso dovrebbe portare alla sottoscrizione dei cosiddetti Accordi di Abramo. Un passo storico che vedrebbe Riad, caposaldo del Sunnismo e storico rivale di Tel Aviv, tra i pochi paesi arabi a riconoscere e ad instaurare relazioni bilaterali con lo Stato Ebraico. Il violento attacco lanciato da Hamas lo scorso 7 ottobre e il conseguente riaccendersi delle ostilità nella striscia di Gaza ha quindi causato non poco imbarazzo alla Monarchia Wahabita: da un lato interessata a concludere, in tempi rapidi, l’intesa con Israele, dall’altro obbligata, per ragioni storiche e comunanza religiosa, a solidarizzare con i palestinesi. Tuttavia, malgrado un evidente rallentamento, Bin Salman non intende rinunciare ad un accordo che chiuda, una volta per tutte, il capitolo dei burrascosi rapporti tra Riad e Tel Aviv per avviare un fruttuoso sodalizio. Resta solo da capire quando ciò avverrà[1].

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Al contempo, nel marzo del 2023, dopo quasi sette anni, l’Arabia Saudita ha riavviato le relazioni diplomatiche con il suo maggior antagonista, l’Iran. L’operazione è stata dettata della volontà di raffreddare il clima di tensioni esistente tra i due paesi e della necessità di stabilire un canale di comunicazione diretto per un’adeguata gestione del confronto sui vari fronti mediorientali. Teheran continua, infatti, a supportare attivamente i ribelli Houthi, fautori di una decennale guerra civile contro il legittimo governo yemenita, sostenuto da Riad, e, più di recente, autori di numerosi attacchi contro il naviglio mercantile in transito nello stretto di Bab el-Mandab. Inoltre, le numerose organizzazioni politico-militari e/o terroristiche di cui la Repubblica Islamica si serve per proiettare il suo potere oltre confine costituiscono una delle maggiori fonti di instabilità dell’intero quadrante[2].
In quest’ottica, Bin Salman teme, più di ogni altra cosa, un’escalation che comprometta lo sviluppo dei suoi ambiziosi progetti di diversificazione economica in vista dell’esaurimento delle riserve petrolifere. Di conseguenza, il profilarsi all’orizzonte di una contesa di vaste proporzioni tra Tel Aviv e Teheran rappresenta un significativo problema per i sauditi, che vedrebbero i loro piani minacciati da una deflagrazione generale dagli esiti e dalla durata difficili da valutare. Onde evitarlo pare siano giunti, secondo fonti statunitensi, a preziose condividere informazioni di intelligence, quali intercettazioni e localizzazioni satellitari, volte a favorire la difesa di Israele dalla ritorsione iraniana del 13 aprile scorso. Un fatto significativo, che tuttavia non rivela una precisa scelta di campo da parte della Monarchia Wahabita bensì, molto più banalmente, la volontà di prevenire l’innesco di un conflitto dagli effetti imprevedibili[3].
Per il momento, Riad ha dunque deciso di mantenersi equidistante, tanto per non compromettere la normalizzazione dei rapporti con Israele quanto per non rischiare di interrompere il processo distensivo con l’Iran. Una linea adottata anche da Bahrain ed Emirati Arabi Uniti, caratterizzati da interessi affini, in quanto firmatari degli Accordi di Abramo e impegnati in un lungo processo di transizione economica. Tale posizione, se concertata con i vicini del Golfo e adeguatamente perseguita combinando diplomazia e pressione militare, potrebbe consentire all’Arabia Saudita di preservare l’equilibrio della regione, scongiurando una deflagrazione generale e imponendosi quale ideale punto di equilibrio politico del Medio Oriente[4].


Note

[1] “Israel normalization with Saudi likely not ‘ripe’”, Matt Berg e erica Bazail-Eimil, politico.com  
[2] “Saudi-Iranian Relations Restored But Remain Tense”, David Ottaway, wilsoncenter.org [3] “L’Arabia Saudita non intende scegliere tra Iran e Israele”, ispionline.it
[4] “Il botta e risposta tra Iran e Israele conferma i blocchi mediorientali”, Lorenzo Trombetta, limesonline.com


Foto copertina: il Principe ereditario dell’Arabia Saudita Moḥammad bin Salmān Āl Saʿūd