“ArabPop – Arte e letteratura in rivolta dai paesi arabi” a cura di Chiara Comito e Silvia Moresi, edito da Mimesis, analizza le diverse forme d’arte che hanno accompagnato uno dei fenomeni politici, sociali e culturali più importanti degli ultimi anni: le Primavere arabe.
Il 17 dicembre del 2010, il gesto estremo dell’ambulante Mohammed Bouazizi incendiò la Tunisia iniziando la Rivoluzione dei gelsomini. Di lì a poco molti paesi del nord Africa e del Medio Oriente furono attraversati da proteste e rivolte che sono passate alla storia con il nome di Primavere Arabe[1].
Ma se da un punto di vista politico e sociologico siamo in grado di riscostruire quei momenti, poco sappiamo di come gli artisti, gli intellettuali e i giovani hanno occupato le piazze, quali erano le loro frustrazioni e come da un punto di vista artistico queste istanze venivano manifestate.
ArabPop si inserisce in questo filone e con attraverso i contributi, scritti da studiose esperte delle regione, dare in pasto al pubblico italiano le produzioni culturali più originali nate e sviluppatesi durante le rivolte.
Perché diventa importante questo libro? Per due motivi, da un lato ridare una visione diversa da quella riduttiva della violenza e del tentativo di abbattere i regimi corrotti e dispotici in favore di libertà e democrazia (tentativo purtroppo fallito), ma di comprendere attraverso le produzioni artistiche e il dibattito intellettuale, che le cause economiche, politiche, sociali e culturali che avevano portato migliaia di cittadini in piazza non sono per nulla scomparse, anzi al contrario sono recentemente riemerse.
Ogni capitolo del libro analizza una diversa forma d’arte: dal romanzo arabo alle arti visive, dalla musica ai fumetti, dalla street art alla poesia, dall’occupazione dello spazio comune alla filmografia.
Il volume è curato da Chiara Comito[2] e Silvia Moresi[3], i contributi a cura di Catherine Cornet[4], Fernanda Fischione[5], Anna Gabai[6], Luce Lacquaniti[7], Anna Serlenga[8] e Olga Solombrino[9].
Da dove nasce l’idea di questo libro e a chi si rivolge?
(Chiara Comito) L’idea del libro nasce dalla volontà e dall’esigenza di raccontare le rivoluzioni arabe da un punto di vista diverso da quello dell’attualità e della geopolitica. Ci è sembrato che parlare di romanzi, film, poesie, canzoni e arte visiva fosse un modo per avvicinare il pubblico di lettori italiani alla cultura araba contemporanea e, quindi, anche alla storia e alle recenti vicende della regione araba. Arabpop si rivolge quindi espressamente a un pubblico di non specialisti, ma di curiosi, interessati o di visitatori dei paesi arabi, appassionati di cultura contemporanea che vogliano andare oltre gli stereotipi e i pregiudizi che ancora esistono sul mondo arabo.
Le produzioni letterarie, e in particolare i romanzi, spesso fotografano la realtà di tutti i giorni più degli indicatori economici. Lo scoppio delle “Primavere arabe” colse di sorpresa il mondo giornalistico, accademico e anche politico. Ma le tracce del disagio sociale alla base delle mobilitazioni erano già presenti nei romanzi arabi, qualcosa già covava sotto la cenere. Oggi dopo dieci anni quel disagio sociale è ancora presente?
(Chiara Comito) Dal 2019 ad oggi, anche durante la pandemia, ci sono state rivoluzioni e proteste in Sudan, Libano, Iraq e Algeria che hanno avuto esiti importanti e dirompenti. Proteste, non meno importanti, sono state registrate anche in Egitto, Tunisia e Marocco, al punto che qualcuno ha parlato di seconda primavera araba. Le origini delle rivoluzioni del 2010-11 non sono state mai risolte: i paesi della regione continuano a essere governati da regimi autocratici e corrotti, da élite negligenti e staccate dalle popolazioni che governano. La pandemia ha accelerato le crisi economiche in atto in alcuni paesi, come l’Iraq e il Libano, ad esempio, o è stata il pretesto per rafforzare le restrizioni sulle libertà personali, come in Egitto. Il segno di quel disagio sociale sono le persone che continuano a scendere nelle piazze e nelle strade delle loro città per chiedere un cambiamento reale e una rottura con l’ordine sociale esistente.
Spesso ci si chiede se le primavere arabe sono state davvero delle primavere o sono ritornate inverni. Cosa non è andato nel verso giusto e cosa invece ha funzionato? Perché a volte, in riferimento alle Primavere arabe, si parla di “rivoluzioni” e a volte “di rivolte”?
(Silvia Moresi) All’interno del volume abbiamo utilizzato le tre definizioni: rivolte, rivoluzioni e ‘Primavere arabe’. Tutte e tre sono a mio parere corrette. La rivoluzione ha come obiettivo quello di instaurare un nuovo ordine sociale, e non può essere definita come un singolo evento. La rivoluzione, infatti, è un processo lungo e lento che interessa diversi ambiti, quello politico, quello sociale e quello culturale, e di quest’ultimo noi ci siamo occupate con Arabpop. Le rivolte spontanee, scoppiate nel 2011 in diversi Paesi arabi, hanno innescato un processo rivoluzionario ancora in atto. Infatti, nonostante non ci sia stato un cambiamento politico (in alcuni casi la situazione è addirittura peggiorata), la rivoluzione culturale e sociale è andata avanti, come dimostrano gli artisti e gli scrittori arabi. Inoltre, tra pochissimi anni, per ragioni anagrafiche, le giovani generazioni scese in strada per chiedere libertà, dignità e diritti diventeranno parte della nuova classe dirigente, e qualcosa inevitabilmente cambierà.
Per quanto riguarda la definizione ‘Primavere arabe’, molti artisti e intellettuali arabi l’hanno usata e la usano. Ad esempio, il poeta Tamim al-Barghuthi ha parlato di ‘primavera’ in una delle poesie più famose della rivoluzione egiziana, Ya Masr hanet. Sicuramente, però, di questa definizione si è abusato giornalisticamente, perché è stata utilizzata soprattutto in contrapposizione a ‘inverno arabo’, con cui si allude, erroneamente, al fallimento in toto del processo rivoluzionario.
Chi erano i protagonisti di quelle manifestazioni e in che modo il mondo degli artisti, degli intellettuali e degli scrittori ha rappresentato quel momento?
(Silvia Moresi) I protagonisti delle manifestazioni sono stati i ragazzi e le ragazze che i nuovi mezzi di comunicazione mettono in contatto.
Grazie ai social media e ai nuovi network televisivi – apparsi nel mondo arabo tra la fine degli anni ’90 e i primi anni del duemila – la giovane generazione è riuscita a creare nuove reti identitarie transnazionali, libere dal peso delle appartenenze etniche, religiose, politiche e di genere. Proprio questi giovani istruiti e multilingue – spesso emarginati dai regimi nelle loro società – sono stati i primi a scendere in strada, senza alcuna organizzazione e senza avere un partito politico di riferimento alle spalle.
Gli artisti, gli intellettuali e gli scrittori hanno spesso partecipato in prima persona alle manifestazioni. Nelle loro opere hanno raccontato l’entusiasmo per questo eccezionale periodo di mutamenti, diventando loro stessi artefici di una rivoluzione estetica. Infatti, la voglia di rompere i legami con il passato, e la necessità di cercare nuove alternative è visibile non solo nei temi trattati nelle loro opere, ma anche nella mescolanza dei generi, nell’ibridazione delle diverse forme artistiche.
Questo fermento culturale ha coinvolto anche gli intellettuali e gli artisti di quei Paesi arabi che nel 2011 non erano ancora stati scossi da grandi manifestazioni, come ad esempio il Libano, dove le rivolte sono scoppiate nel 2019.
La miccia che fece esplodere le rivolte in Siria fu l’arresto e la tortura di alcuni adolescenti che avevano scritto sul muro della loro scuola “Sta arrivando il tuo turno, dottore [10]”. Nel capitolo curato da Luce Lacquaniti “La strada è lo spazio comune”, si analizza il ruolo che la street art ha ricoperto in quella specifica fase storica, permettendo ai cittadini di riappropriarsi dello spazio pubblico ed esprimere il proprio disagio.
(Luce Lacquaniti) Molti paesaggi urbani pre-2011, nel mondo arabo, erano dominati dai regimi con gli apparati visivi della propaganda, fatti di ritratti del presidente-dittatore, slogan, simboli e colori (di solito un colore, quello del partito unico). In simili contesti, interventi sui muri di tutt’altro tipo, ovvero dal basso, spontanei e non controllati dalle istituzioni, si configurano di per sé come manifestazioni di dissenso, perché già a livello visivo sottraggono immediatamente quello spazio al monopolio dello stato totalitario e lo connotano come spazio rivoluzionario. Nell’episodio siriano citato è particolarmente evidente questa natura rivoluzionaria dei graffiti, che infatti il regime ha capito, temuto e represso da subito. Altrove, in spazi pubblici già occupati e riconquistati dai corpi di migliaia di manifestanti, i graffiti si sono fatti traccia visiva di quella riappropriazione e sono diventati uno strumento collettivo per affermare la propria esistenza prima negata, per diffondere narrazioni oscurate dai media ufficiali e per costruire una memoria di resistenza, ad esempio restituendo un volto, tramite ritratti, a persone uccise o fatte sparire dai regimi, oppure proponendo i propri slogan, simboli e riferimenti culturali alternativi. Pian piano, i muri sono diventati anche una delle tante piattaforme di dibattito dove discutere temi un tempo tabù, sdoganati dopo il 2011: rapporto tra islam e modernità, questioni di genere, identità nazionali non più monolitiche, ma fatte di molte differenze interne e di ambigui rapporti con la cultura dei colonizzatori europei. I graffiti sono stati, in definitiva, uno tra i tanti “nuovi” linguaggi espressivi rivoluzionari: forse tra i più incisivi perché fortemente legati alla dimensione pubblica e visiva, e tra i più liberi per via della loro natura che, almeno all’inizio, era clandestina, illegale e anti-istituzionale per eccellenza.
La poesia è stata definita “la benzina culturale” delle rivoluzioni. A differenza di quanto avviene in Italia, la poesia è considerata nel mondo arabo l’espressione letteraria più comune e più amata.
(Silvia Moresi) La poesia è l’espressione letteraria più popolare nel mondo arabo sin dall’epoca preislamica, e ha registrato – nel corso dei secoli – tutti i cambiamenti sociali, politici e culturali avvenuti nei diversi Paesi arabi, mutando a sua volta nelle strutture e nelle tematiche. Il linguaggio poetico, nel mondo arabo, è trasversale ai ceti e alle generazioni. Il legame tra poesia e rivoluzioni nel mondo arabo è stato fortissimo, perché fortissimo è sempre stato il legame tra la poesia e le società arabe. I primi slogan, urlati e scritti sui muri duranti le manifestazioni del 2011, sono stati i versi dei poeti arabi più famosi, come Mahmud Darwish o Nizar Qabbani. Poi i giovani poeti hanno iniziato a comporre, soprattutto sui social network, i loro componimenti, rifiutando spesso i vecchi maestri e le strutture del passato. Anche per la sua capacità intrinseca di suscitare emozioni e ‘eccitare’ l’animo umano, la poesia è stata la ‘benzina culturale’ delle rivoluzioni del 2011, e ha aiutato a portare in piazza una popolazione spaventata da più di trent’anni di feroce dittatura.
Quando si parla di “mondo arabo” e di islam si corre il rischio di avere una visione parziale, ridotta, basata su etichette e stereotipi che non permette di cogliere fino in fondo le differenze tra i paesi dell’area mediorientale. Differenze di usi e di tradizioni che purtroppo molto spesso vengono erroneamente accostate a visioni radicali ed estreme dell’islam. Come possiamo superarle e de-costruire queste narrazioni?
(Chiara Comito) Leggendo libri, romanzi, articoli, informandoci dalle fonti corrette, ovvero di studiosi, specialisti e giornalisti che conoscono davvero la regione, ascoltando le parole di chi vive in quei paesi. Io in particolare sono convinta ormai da anni che leggere i romanzi arabi ci permetta di entrare in empatia e comunicazione chi vive nella regione araba: conoscendo le storie e le vite di persone come noi, subiamo una mutazione, ci ri-conosciamo in quelle storie e sentiamo più vicine a noi le loro vite. La lettura è sempre un atto trasformativo. Avvicina e cambia la percezione delle cose. In questo modo abbattiamo muri, frontiere e incomprensioni inutili e nocive.
Note
[1] https://www.opiniojuris.it/primavere-arabe-a-dieci-anni-dalle-rivoluzioni/
[2] Arabista, laureata in Lingue e comunicazione internazionale (Roma Tre) e in Relazioni e istituzioni di Asia e Africa (L’Orientale di Napoli). Attualmente lavora come analista geopolitica.
[3] Arabista e traduttrice, insegna cultura e letteratura araba contemporanea presso l’Istituto di Alti Studi SSML Carlo Bo a Bari.
[4] Docente di Relazioni Internazionali e di Storia del Medio Oriente presso la American University of Rome (Aur). Da anni scrive di cultura e politica del Medio Oriente per il settimanale “Internazionale”.
[5] Arabista e traduttrice letteraria. La sua ultima traduzione dall’arabo è il romanzo La Fila (Nero,2018) della scrittrice egiziana Basma Abdel Aziz
[6] Ha studiato arabo, ebraico e islamistica all’Università Ca’ Foscari di Venezia e alla Freie Universitat di Berlino.Dal 2006 si occupa di fumetti nel mondo arabo e ha curato diverse mostre.
[7] Traduttrice e interprete con arabo, persiano e inglese. Nel 2015 ha pubblicato il libro I muri di Tunisi.Segni di rivolta per Exòrma edizioni
[8] Lavora sia nella pratica teatrale e performativa che nella ricerca teorica
[9] Dottore di ricerca in Studi Culturali e Postcoloniali presso l’Università l’Orientale di Napoli. La sua ultima pubblicazione è Arcipelago Palestina. Territori e narrazioni digitali (Mimesis 2018)
[10] Nel febbraio del 2011 a Dar’a il riferimento è al Presidente Assad che è un’oculista.
Foto copertina:Cop