Ceramiche, monete antiche, monili, gioielli, ma anche tanti dipinti appartenenti ai cinque dei sei siti dell’UNESCO sono stati razziati da Daesh (ed altre organizzazioni) tra Siria e Iraq a partire dagli anni 2000.


 

Il gruppo negli anni si è via via organizzato su di un network complesso e articolato di militanti, che ormai oggi sono purtroppo diventati altamente specializzati in furti e distruzioni e utilizzano come strumento legittimante la religione. Così viene a crearsi quello scisma tra islam sunnita radicale e islam sciita che considerato idolatro, e quindi eretico, deve essere abbattuto.

La distruzione dell’arte…

Palmira e la vicina al-Qaryatain, Apamea, Dura-Europos, Mari, Hatra, Niniveh, Mosul sono solo alcuni dei nomi delle zone ai confini tra Iraq e Siria colpite da Daesh. Le distruzioni e i furti fanno parte, oltre che di un grave oltraggio all’arte, di una campagna di propaganda politica e religiosa interna al gruppo. Qui infatti vengono fatti girare video e foto che incentivano i militanti a distruggere con sempre più vigore e convinzione i patrimoni di queste zone, comuni a tutta l’umanità. Atti questi che, secondo i militanti, sono legittimati da motivi religiosi. Ma dietro a questi si cela una chiara strategia politica. Da un lato infatti è vero che i militanti di Daesh intendono cancellare dall’islam tutto ciò che è ritenuto eretico o idolatro, ma dall’altro è anche vero che questi furti permettono al gruppo di riavvicinarsi ai territori perduti dopo la riconquista della città di Mosul da parte del governo iracheno. Non è un caso infatti che i saccheggi, i furti e le distruzioni sono avvenute proprio lì dove Daesh aveva perso controllo politico e militare.

Si tratterebbe quindi, da parte di Daesh, di attuare una strategia[1] che unisce religione e potere per la riconquista di pezzi di territorio.
E’ a partire dagli anni 2000 che il traffico clandestino e la distruzione di siti archeologici e di opere d’arte è aumentato. Non solo in Medio Oriente, ma nel mondo. Nel 2001 le due grandissime statue del Buddha scolpite nelle pareti di roccia della valle del Bamiyan, in Afghanistan, furono distrutte dai talebani a distanza di pochi mesi prima l’attacco alle Torri Gemelle. Nel 2006 la Moschea d’oro in Iraq venne distrutta e danneggiata da Al Qaeda. Ancora nel 2008 i terroristi di Al-Shabab[2] distrussero innumerevoli tombe e santuari Sufi e nel 2014 Daesh rase al suolo la Chiesa Verde di Tikrit, la tomba del profeta Giona a Mosul e la Chiesa memoriale del genocidio armeno in Siria.

…avviene su basi ideologiche

I militanti di Daesh si basano su un’ideologia salafita radicale[3] che come primo nemico ha l’islam stesso. E’ infatti la corrente sciita dell’islam ad essere attaccata dal gruppo. Questa viene accusata di idolatria (shirk), di peccati di shirk, e per ciò necessita di essere eliminata. La distruzione di siti archeologici e di opere d’arte appartenenti al mondo sciita è uno dei modi per farlo, per cancellare una buona parte della storia dell’islam. Ma Daesh non agisce mai senza un appoggio, senza una base, che non è soltanto militare ma il più delle volte è concettuale ed ideologica. Distorcendo il messaggio coranico e proponendo una visione radicale dell’islam Daesh afferma di essere l’erede legittimo di Abramo e Maometto. Non è ancora giunto, secondo Daesh, il tempo in cui l’uomo è pronto ad abbandonare gli idoli. Daesh si propone di essere l’ultimo distruttore di idoli e così facendo si guadagnerebbe anche lui, come i due profeti, un posto nella storia.

La nozione di “shirk[4]” per Daesh non si applica solo agli sciiti o ai sufi, ma anche a qualsiasi altra eredità islamica che non segue una rigida interpretazione, nonché ai siti appartenenti alle minoranze religiose della regione, inclusi yazidi, curdi e cristiani. La distruzione dei siti archeologici è quindi aconfessionale: anche un complesso di moschee sunnite che ospita una tomba può essere considerato troppo “ostentato” per Daesh.

Una delle conseguenze maggiormente visibili di tutto questo è l’aumento delle tensioni settarie e dei conflitti[5]. Daesh come un parassita che prospera nel caos, si muove con facilità nel tessuto sociale delle società irachena e siriana, che in preda alla disperazione, talvolta lo incorporano. Rimuoverlo poi diventa difficile e complesso.

La distruzione di Nimrud e Mosul

L’11 aprile 2015 un breve video è apparso sui social media diventando rapidamente oggetto di titoli di notizie internazionali e obiettivo di condanna globale.
Il video di circa sette minuti mostra la distruzione di ciò che gli esperti confermano essere il Palazzo nord-occidentale di Nimrud, costruito nel IX secolo a.C. dal re assiro Ashurnasirpal II. “Ogni volta che prendiamo il controllo di un pezzo di terra, rimuoviamo i simboli del politeismo e vi diffondiamo il monoteismo”, dice un jihadista alla telecamera prima che la struttura venga distrutta con esplosivi.

La volontà di resistere al terrorismo

Poi però c’è sempre chi trova la forza di ricostruire. Il giovane Nenous Thabit[6] per esempio, che a 17 anni combatte il terrorismo con l’arte. Cresciuto in mezzo all’arte e agli artisti fin da piccolo, ha deciso di ricostruire nel laboratorio d’arte di famiglia 18 statue distrutte dai terroristi a Nimrud. O ancora, l’artista Moreshin Allahyar[7]i con la sua stampa in 3D ci propone un’arma hi-tech per resistere contro il terrorismo. Dopo l’attacco di Daesh al Museo di Mosul, che ha visto la distruzione di decine di statue e bassorilievi d’epoca assiro-babilonese, l’artista di origine iraniane ha deciso di lanciare il suo nuovo progetto “Material Speculation”. L’idea è quella di ricreare e riprodurre il più fedelmente possibile in stampa 3D le opere andate distrutte. All’interno di ogni opera è presente una memory card in cui sono custodite tutte le informazioni relative al pezzo originale. Un gesto simbolico, ma molto concreto che come il lavoro della famiglia Thabit testimonia la volontà di resistere.

Volontà però che a volte costa la vita. Come nel caso di Khaled al-Asaad[8] archeologo siriano ucciso da Daesh nel 2015 mentre cercava di proteggere dal saccheggio da parte del gruppo l’antica città di Palmira. Khaled al-Asaad ha speso tutta la sua vita a Palmira, nel nord-est di Damasco, a proteggere e studiare la sua archeologia. Al tempo, dopo l’uccisione di Khaled, il direttore generale dell’UNESCO Irina Bokova[9] disse che Daesh lo uccise perché più volte si rifiutò di accettare che la sua Palmira diventasse teatro di guerra, violenza e distruzione.

L’importanza della ricostruzione e della resistenza: uno sforzo comune

I tentativi di resistenza portati avanti da singoli individui o da poche coraggiose famiglie, nonostante siano fondamentali e degni, non riescono da soli a ricostruire l’intero patrimonio culturale distrutto dal terrorismo. Serve incoraggiare il governo iracheno e le sue istituzioni. Bisogna contribuire a donare al governo iracheno le risorse necessarie per ripristinare ciò che ancora non è andato del tutto distrutto. Come per esempio la messa in sicurezza di ciò che è rimasto del Palazzo imperiale di Nimrud.

Ricostruire e resistere sono due elementi di grandissima importanza per le generazioni future. Oltre che forti segnali politici, permettono a chi verrà dopo di conoscere l’arte, anche quella andata distrutta e la sua storia. La resistenza delle persone di oggi permette all’arte di andare avanti, di sopravvivere.
Allo stesso modo la sopravvivenza dell’arte permette alle persone di resistere. Non possiamo permettere che questo circolo virtuoso si spezzi. Non possiamo lasciare che niente e nessuno si arroghi il diritto di distruggere l’arte di una civiltà e di cancellare pezzi della sua storia.


Note

[1] https://www.opiniojuris.it/fenomenologia-del-terrorismo/
[2] https://www.opiniojuris.it/inside-al-shabab/
[3] Mohammad Fadel (2019): Ideas, Ideology and the Roots of the Islamic State, Critical Review, DOI: 10.1080/08913811.2019.1565733
[4] G.R. Hawting, “The Idea of Idolatry and the Emergence of Islam”, Cambridge University Press, 1999.
[5] https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/O-8-2015-000031_EN.html
[6] https://www.artribune.com/tribnews/2016/11/isis-nenous-thabit-cristiano-terrorismo/
[7] https://upforgallery.com/morehshin-allahyari
[8] https://artreview.com/remains-of-khaled-al-asaad-archeologist-of-palmyra-found/
[9] https://www.bbc.com/news/world-middle-east-55977964


Foto copertina: Immagine web.Gezzio

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Desiree Di Marco
Desirée Di Marco, nata a Roma nel 1995. Per le sedi dei miei studi ho scelto Roma, Milano, Vienna e Rabat. Sono laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso la LUISS Guido Carli di Roma e ho conseguito un Master di Primo Livello in “Middle Eastern Studies” preso l’ASERI (Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano). Ho ottenuto un diploma in Affari Internazionali Avanzati all’Accademia Diplomatica di Vienna e attualmente sto conseguendo la Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali. Ho concluso due tirocini entrambi presso l’OSCE e le Nazioni Unite di Vienna lavorando presso l’Ambasciata di Malta e presso la Missione Permanente e l’Ambasciata della Repubblica Islamica dell’Afghanistan. Attualmente collaboro con istituti di analisi internazionali e centri di ricerca per la quale scrivo analisi geopolitiche soprattutto per quello che riguarda l’Afghanistan ed il Medio Oriente.