Il calo del saggio del profitto (Marx) nella crisi della quinoa Boliviana


Il mercato della quinoa boliviana ha vissuto un grave periodo di crisi dopo la florida espansione globale. Tra i meccanismi economici utilizzati per comprenderla e spiegarla figurano le teorie marxiste del “calo del saggio del profitto” e la “la crisi della sovrapproduzione”, due fenomeni, secondo il filosofo tedesco, strutturali del sistema economico capitalista.


 

Nella teoria marxista, all’interno di un sistema economico capitalistico, le principali caratteristiche – tra cui concorrenza, libero mercato e debito – sono subordinate alla legge del profitto e alla ciclicità delle crisi economiche dai risvolti sociali e politici. L’articolazione sistemica è quindi legata a doppio filo alla continua ricerca dell’arricchimento personale e dell’accumulazione del capitale. In tale contesto, secondo Marx, la crisi economica è il segmento naturale del funzionamento: l’imprenditore – il padrone –, individuato un settore produttivo particolarmente florido per il proprio profitto, si aggiungerà inevitabilmente alla schiera di produttori già legati al detto settore. In termini marxisti, per essere concorrente sul mercato del prodotto in questione, l’imprenditore aumenterà il grado del proprio investimento economico nelle sue fabbriche che causerà un iniziale crescita del profitto fino alla crisi della sovrapproduzione, quando cioè il bene prodotto sorpasserà la domanda.
Di conseguenza il profitto crollerà a causa dell’aumento degli investimenti e delle basse vendite – insoddisfatte dalla sovrapproduzione –, fino alla chiusura dello stabilimento produttivo.

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La quinoa boliviana

Un esempio chiarificatore della situazione descritta arriva dalla Bolivia. Il Paese andino è tra i maggiori produttori di quinoa al mondo, lo pseudo cereale amato dagli antenati boliviani ricco di nutrienti, che prolifera grazie alle correnti d’aria che trasportano il sale dal deserto all’Altopiano occidentale del Paese.
Secondo quanto riportato dal reportage del giornalista Martin Zinggl sulla rivista tedesca “Geo”[1], sugli agricoltori andini si è abbattuta una grave crisi economica che ha colpito proprio la coltivazione di quinoa.
Il meccanismo per spiegare questa crisi segue le teorizzazioni di Marx.
Rimasta sconosciuta al “Nord del mondo” per circa quattrocento anni – i conquistadores spagnoli la ritenevano priva di valore commerciale – questo prodotto, che è alla base dell’alimentazione delle popolazioni locali, conobbe una notevole notorietà durante gli anni Novanta, quando la Nasa la considerò un ottimo alimento per le sue missioni nello spazio. Come riporta il settimanale “Internazionale”: «Tra il 2000 e il 2008 il prezzo di una tonnellata di quinoa non lavorata è aumentato del 600%»[2].
Ad incrementare lo sviluppo commerciale del prodotto boliviano fu la politica messa in atto dall’ex presidente del Paese Evo Morales. Guida politica dal 2006 al 2019, Morales, durante la sua parabola presidenziale, ha investito molte risorse statali sulla rete stradale che collega i villaggi produttori di quinoa alle grandi città, realizzando un progetto infrastrutturale e logistico per il mercato internazionale del prodotto.
La diffusione su scale mondiale, aumentata anche grazie alle scoperte in ambito alimentare del potere della quinoa per merito della FAO, ha portato a nuove coltivazioni in tutto il mondo. Lo pseudo cereale, ad oggi, vive in vari ambiti geografici diversi. La sua capacità di adattamento a diverse condizioni climatiche contribuisce a generare coltivazioni a livello globale: dalla Germania all’Africa, dall’Australia al Canada.
Sempre “Internazionale” indica come: «Nel giro di qualche anno, la Bolivia ha raddoppiato le superfici coltivate»[3]. Questo ha generato un fenomeno di benessere diffuso nelle popolazioni locali e nelle famiglie di agricoltori che hanno assistito ad un largo incremento della propria qualità della vita.
Però – e questo è un grande però – , come l’economia capitalista insegna, la corsa alla coltivazione di quinoa, nel mercato libero concorrenziale, ha portato a dei cambiamenti produttivi e qualitativi del prodotto: innanzitutto, per soddisfare una resa maggiore molti agricoltori hanno preso ad utilizzare fertilizzanti chimici e pesticidi che hanno devastato le coltivazioni biologiche. In seconda analisi poi, la coltivazione di quinoa, essendo esplosa a livello globale, ha drogato il mercato con una offerta enorme del prodotto senza una corrispettiva e realistica domanda, diventando il nuovo affare da predare.
Il risultato di questo fenomeno imprenditoriale ha vari finali: dopo un iniziale benessere diffuso, gravi debiti finanziari si sono abbattuti sugli agricoltori che nel tentativo di alzare i livelli produttivi hanno investito ingenti risorse senza ritorno a lungo termine sulla propria azienda; tonnellate di quinoa non venduta, che avrebbe dovuto ripagare i coltivatori; in ultimo, un terreno per la maggior parte inaridito a causa dello sfruttamento massiccio delle coltivazioni.
La crisi della quinoa boliviana segue il ciclo classico del sistema capitalista: ad un iniziale incremento dei profitti corrisponde un crollo economico futuro. Le crisi contemporanee, in una ricerca continua del profitto, sono tipiche del sistema economico in cui vivono. Esse sono strutturali e a differenza degli anni del Medioevo – epoca storica immediatamente precedente all’inizio del dominio della borghesia – in cui le crisi avvenivano per mancanza di offerta di un bene – si articolano sulla sovrapproduzione di una merce e quindi, come indicato dal filosofo tedesco, sul calo del Saggio di profitto.
L’impatto del crack economico del mercato della quinoa ha prodotto comunque dei risvolti positivi: alcuni coltivatori hanno ripreso a coltivare lo pseudocereale con metodi biologici, in minore quantità e cercando di mantenere alto il livello qualitativo. La quinoa boliviana, la real, – come indica il reportage di Zinggl – resta tra le migliori al mondo per valori nutrizionali e vitamine. Il suo ciclo vitale – o per certi versi mortale – nel sistema capitalistico sfrenato ha visto, almeno in parte, un ritorno a una condizione economica innervata sul valore d’uso del prodotto, cioè il sostentamento alimentare, e non esclusivamente sulla sua trasformazione in denaro.


Note

[1] L’articolo è consultabile sul settimanale “Internazionale” n.1611, anno 32, p.48-53.
[2] Ivi, p.49.
[3] Ivi, p.50.


Foto copertina: Quinoa boliviana