Burma Blue di Massimo Morello, Postfazione di Emanuele Giordana, Rosenberg & Sellier (2021), è una collezione di storie birmane che l’autore stesso ha raccolto in vent’anni di viaggi in Myanmar. Dialogo con l’autore.


 

Massimo Morello è profondo conoscitore di Myanmar, nonché giornalista del più ampio Sudest asiatico per Il Foglio e in precedenza per il Sole 24 Ore e per numerosi altri giornali italiani.

Burma Blue di Massimo Morello è una collezione di storie birmane che l’autore stesso ha raccolto in vent’anni di viaggi in Myanmar.
Morello è profondo conoscitore di Myanmar, nonché giornalista del più ampio Sudest asiatico per Il Foglio e in precedenza per il Sole 24 Ore e per numerosi altri giornali italiani.
Il primo febbraio i militari presero il potere e arrestarono Aung San Suu Kyi.
Esiste un video paradossale di quei momenti: si vede una ragazza in abiti da ginnastica che sta ballando al ritmo di una musica dance, alle sue spalle iniziano a marciare dei carrarmati per le vie deserte della capitale Naypyidaw.
Khing Hnin Wai, è un’insegnante di aerobica e non sa che mentre svolge la sua lezione di danza, alle sue spalle si sta consumando un ultimo atto di un golpe militare.
Il Myanmar, che fino al 1989 era conosciuto con il nome di Birmania, è una nazione del Sudest asiatico con più di 130 gruppi etnici che confina con India, Bangladesh, Cina, Laos e Thailandia.
Una storia martoriata quella birmana. E Massimo Morello, uno dei più grandi conoscitori di quell’area geografica, riallaccia i fili degli ultimi 20 anni del paese. Burma Blue (scheda libro) di Massimo Morello inizia infatti nel 2002, il libro si sviluppa attraverso i racconti e le esperienze dell’autore in una terra che definisce come “simbolo delle contraddizioni culturali contemporanee dove in cui bene e male si manifestano in forma spettacolare”.
Una delle figure più influenti del paese asiatico è senza dubbio  Aung San Suu Kyi, la Signora.
La sua figura per anni è stata celebrata dalle istituzioni e dai media occidentali. Ma nel 2012, due anni dopo la sua liberazione, Aung San Suu Kyi dopo anni di carcere è entrata in Parlamento e ha iniziato la politica attiva, Aung San Suu Kyi è stata costretta a vivere di compromessi politici, soprattutto con la giunta militare, il Tatmadaw. I birmani hanno accettato i suoi compromessi, l’occidente no. Aung San Suu Kyi, agli occhi dell’Occidente, non è stata in grado di fermare il massacro della minoranza musulmana del paese: i rohingya. Massimo Morello in Burma Blue riporta le terribili testimonianze di un gruppo etnico di circa 800.000 persone, di religione musulmana sunnita, che vivono nel nord di uno stato birmano l’Arakan (rinominato Rakhine). Lo stato birmano non li riconosce come etnia ma come “immigrati illegali”, una razza inferiore non assimilabile a quella dei Bamar buddisti e per questo perseguitati.
Primo febbraio 2021, il potere è tornato nelle mani dei militari, e Aung San Suu Kyi è tornata in carcere. Finisce la speranza di un Myanmar dal volto democratico. Intervista a Massimo Morello autore del libro.

Burma Blue doveva avere un epilogo diverso, ma per un’assurda coincidenza il giorno del suo rientro a Bangkok il 1 febbraio 2020 un colpo di Stato riporta i militari al potere…

…E riprendo a scrivere durante la quarantena in Thailandia, mentre continuo a parlare con gli amici che sono in Birmania. In una situazione che diviene sempre più critica. Autocrazia e pandemia si univano in una rappresentazione del karma. Così mentre concludo Burma Blue lasciando aperto il finale, comincio a pensare a un altro libro. Sugli espatriati “intrappolati” tra golpe e Covid.

Eppure la Birmania sembrava essersi messa sui binari della democrazia con la vittoria della National League for Democracy alle elezioni del novembre 2020. Come si spiega questo ritorno al passato?

Con il motivo che sembra segnare la storia birmana: la paura. In questo caso la paura dei militari di vedersi privare dei loro privilegi e soprattutto di veder messi a rischio i propri interessi economici. Altro motivo è l’eccesso di vittoria della National League alle elezioni del novembre 2019. Fu quella il detonatore della paura. Altro motivo ancora l’isolamento di Aung San Suu Kyi sulla scena internazionale. Coloro che condannavano il suo comportamento accusandola di complicità con i militari sono loro stessi i complici dei militari. Altro ancora, interconnesso agli altri la posizione geopolitca della Birmania, tra l’alleanza con la Cina sostenuta da Suu Kyi e quella con la Russia voluta dai militari.

Aung San Suu Kyi, la Signora, è senza dubbio il volto noto della Birmania. La sua figura per anni è stata celebrata dalle istituzioni e dai media di tutto il mondo, poi però qualcosa è cambiato, accusata di essere complice del regime militare ha subito durissimi attacchi dalla stampa occidentale. Ci può brevemente raccontarci chi è Aung San Suu Kyi?

Una politica. Non una santa. Lei stessa rispondeva così a coloro che l’accusavano di non essersi comportata secondo le loro aspettative, che rispondesse ai loro stessi schemi iconografici, che avevano fatto di lei un’icona da T-shirt o manifesto, come Che Guevara. E’ una donna libera dalla paura. Una Lady di ferro che ha messo la causa del suo paese prima di ogni altra cosa. Sacrificando a quella i suoi stessi affetti. Ed è anche una donna di grande cultura e umanità, ma che non tollera l’ignoranza e pretende dagli altri grande dedizione. Insomma: è un personaggio che non chiede di essere amata e soprattutto a cui non interessa esserlo. Meglio: non cerca l’approvazione. Il popolo birmano la ama proprio per questo: capisce, forse a livello istintivo, che può affidarsi a lei, la vive come una Mae, una madre, severa, giusta, ma amorevole.

L’ultima notizia è che Aung San Suu Kyi insieme ad 15 alti funzionari, tra cui l’ex presidente della Repubblica, Win Myint, anche lui arrestato durante il colpo di Stato militare, saranno perseguiti con l’accusa di frode elettorale. Duro colpo per le speranze democratiche?

Durissimo ma non definitivo. Difficile prevedere che cosa riserva il futuro. Tanto più in paesi oscuri e oscurati come la Birmania. Le accuse non sono rilevanti in quanto tali: come abbiamo visto la Signora è stata arrestata per imputazioni ridicole. Il problema è che l’esito del processo o piuttosto il destino della Signora, è affidato al valore che lei avrà in termini geopolitici. E’ indiscutibile, infatti, che su di lei ancora punti la Cina per riequilibrare la situazione interna birmana.

Rohingya. Lei in Burma Blue riporta le terribili testimonianze di un gruppo etnico di circa 800.000 persone considerati dai birmani come “razza inferiore” e pertanto perseguitati. Come si spiega questo accanimento?

Le ragioni storiche sono estremamente complesse e controverse. Nel libro vengono presentate in dettaglio. Credo, in sintesi e per contestualizzare la questione, che i rohingya siano vittime soprattutto di interessi contrastanti che hanno impedito l’evolversi della loro situazione. La crisi, quindi, è andata approfondendosi per influenze esterne (ad esempio quelle dei paesi del Golfo o di un’opinione pubblica molto influenzabile). Da tener conto, poi, delle differenze culturali tra Islam e buddhismo che nell’ultimo decennio si sono involute (o sono esplose) in una guerra tra emarginati. Alla fine, comunque, il problema rohingya rientra anch’esso nella perenne guerra tra poveri.

La Birmania collocata tra il subcontinente indiano e la Cina rappresenta un tassello fondamentale per l’equilibrio regionale. Il ritorno dei militari può avvantaggiare qualche attore regionale o lo reputa ininfluente nella partita geopolitica nel sud-est asiatico?

In realtà la situazione birmana è destinata a essere utilizzata dai player regionali: Cina e Russia, soprattutto. E poi Asean e India. Ognuno con diversa forza d’impatto. La Birmania, purtroppo, è influente nella geopolitica del Sud-est asiatico ma non in quanto giocatore, bensì come pedina.

Dopo il colpo di Stato è calato il silenzio mediatico su ciò che accade in Birmania. Com’è la situazione oggi?

A corrente alternata. In alcuni momenti, molto brevi, la situazione riprende la scena. Ma ormai, salvo avvenimenti o eventi di forte impatto emotivo o geopolitico, sembra che la Birmania sia destinata a restare in un cono d’ombra. Ma questo non è un problema solo della Birmania. Lo è di qualunque paese o crisi. Anche in questo campo, infatti, sembra che l’interesse dei media si focalizzi sull’immediato, sulla novità. “La sai l’ultima?” oggi potrebbe applicarsi anche alle tragedie. La contemporaneità non vuole approfondimenti, limita anche le tragedie nello spazio temporale equivalente a un tweet.


Potrebbe interessarti:


Foto: Interno della Uppatasanti Pagoda chiamata anche la “Pagoda della Pace”, è un punto di riferimento del paesaggio urbano di Naypyidaw, la nuova capitale della Birmania.. Wikimedia Commons