Le tensioni e le proteste della componente studentesca hanno caratterizzato tutto l’evolversi della gestione pandemica. Intervista a due dei protagonisti dell’autunno di mobilitazione studentesca, durante e oltre la pandemia. I rappresentanti di Unione degli Studenti e Rivoluzioniamo La Scuola
A cura di Cristina Trey
Le tensioni e le proteste della componente studentesca hanno caratterizzato tutto l’evolversi della gestione pandemica. La scuola è stata in effetti fin da marzo 2020 uno dei primissimi luoghi ad essere chiamato in causa, blindato e rimaneggiato continuamente, eletto a una delle principali sedi di contagio. Rapidamente termini come “DAD” e “DDI” sono diventati familiari per l’opinione pubblica, un po’ meno lo sono state le istanze delle studentesse e degli studenti, nonostante il fiorire importante di cortei e di istituti occupati a più riprese soprattutto nell’ultimo autunno. Come per ogni nodo strutturale del sistema in cui viviamo, la pandemia ha ampliato disuguaglianze e storture all’interno e intorno alla scuola. La gestione della pandemia, trattata come un’emergenza anche dopo due anni, è stata poco sensibile a cogliere le opportunità aperte dalle istanze studentesche. Per questo oggi su Opinio Juris abbiamo il piacere di dialogare con Luca Redolfi, coordinatore nazionale dell’Unione degli Studenti, e con Francesco Intraguglielmo, fondatore di “Rivoluzioniamo La Scuola”, con i quali proveremo a indagare prospettive di avanzamento per il sistema scolastico durante e oltre la pandemia.
Ciao Luca, ciao Francesco, grazie per questa intervista.
Iniziamo dai fondamentali: ci raccontate cosa è l’Unione degli Studenti e cosa è Rivoluzioniamo La Scuola?
Luca Redolfi (UdS): L’Unione degli Studenti (UdS) è il sindacato indipendente delle studentesse e degli studenti delle scuole superiori, siamo nati nel 1995 e siamo attivi in tutta Italia. Lottiamo per una scuola all’altezza dei bisogni di chi la vive, che possa essere luogo di crescita e messa in critica del reale, dove il diritto allo studio sia davvero garantito a ciascuno. Lavoriamo affinché il punto di vista studentesco emerga chiaramente e gli studenti possano prendere parola per cambiare veramente la scuola nel Paese. La nostra organizzazione studentesca si fonda sulla partecipazione e sul confronto. Ovviamente chiediamo dei cambiamenti precisi e complessivi: è anche per questo che abbiamo lanciato gli Stati Generali della Scuola che si terranno dal 18 al 20 febbraio a Roma.
Francesco Intraguglielmo (RLS): Rivoluzioniamo La Scuola parte da due miei TikTok in cui critico la scuola italiana, che sono diventati virali, facendo circa un milione di visualizzazioni. Sulla base di questa popolarità, abbiamo creato un gruppo su Telegram e organizzato diversi dibattiti per selezionare i membri dell’assemblea di Rivoluzioniamo La Scuola che ha redatto i quattro punti del programma. Le persone vengono selezionate in questi dibattiti esclusivamente in base alla loro capacità di argomentare e difendere la loro tesi, a prescindere dai contenuti della tesi. Abbiamo continuato ad espanderci sui social e al momento stiamo lavorando sulla creazione di una rete territoriale. Abbiamo stretto contatti con tutte le realtà che si occupano di scuola, organizzazioni e blog, e circa una quarantina di influencer ci hanno supportato sui social. Siamo entrati in contatto con dei think thank per ampliare e rafforzare i punti del programma. La nostra intenzione è mettere insieme il nostro potere mediatico sui social con il lavoro territoriale sviluppato da altre associazioni studentesche per continuare a mobilitarci. Stiamo coinvolgendo anche professori e presidi, per parlare a tutto il mondo della scuola. Per il momento il nostro campo d’azione è l’Italia, i problemi che sottolineiamo però interessano anche altri Paesi, come il dibattito sull’ “ungrading”, cioè l’abolizione dei voti, che mette in discussione il sistema di valutazione usato in tutto il mondo.
Mobilitarsi sì, ma in che direzione? Quali sono le questioni che credete siano nodali per costruire una scuola all’altezza sì delle sfide, ma anche dei sogni, di chi la abita? Una scuola insomma a misura di studente?
Luca Redolfi (UdS): È necessario di ritornare a fare una riflessione complessa e complessiva sul sistema della formazione. Tanti governi si sono succeduti e hanno rimaneggiato il sistema scolastico senza mai andare a intaccarne l’impianto di fondo: classista, escludente, incapace di mettere al centro l’individuo. C’è la necessità quindi di ripartire da qui, dalla garanzia del diritto allo studio, mettendo tutte e tutti in condizione di studiare e, a livello interno, affrontare le questioni della didattica e della valutazione, che è a sua volta un elemento didattico.
Comprendere forme differenti di apprendimento e di trasmissione dei saperi, che siano a misura di studente. Una scuola inclusiva mette al centro il benessere psicologico, anche introducendo in modo capillare la figura dello psicologo scolastico, e abbattendo le barriere architettoniche, introducendo le carriere alias che ad oggi vengono approvate solo lì dove gli studenti si attivano e fanno pressione verso la dirigenza scolastica. Parlando di educazione sessuale, al consenso e al piacere. È necessario scardinare l’elemento della didattica frontale, della valutazione, delle classi pollaio e non pensare che sia risolutivo uno psicologo: è uno strumento riparativo e bisogna creare le condizioni affinché non ce ne sia più bisogno. È chiaro, ad esempio, che riuscire a essere meglio seguiti dai docenti permette un generale miglioramento delle condizioni di vita in classe e di creare delle relazioni positive: è anche per questo che per cambiare strutturalmente la scuola è necessario ragionare complessivamente con tutte le sue componenti.
Francesco Intraguglielmo (RLS): Sicuramente la DAD ha contribuito alla presa di coscienza della situazione disastrosa in cui versa la scuola. Basti pensare ai ritardi nella corsa all’informatizzazione imposta dalla pandemia: le scuole sono andate a diverse velocità, ampliando il divario ad esempio tra nord e sud Italia. Sono emersi problemi i legati alla didattica frontale che non può funzionare in DAD: se già è noioso ascoltare una lezione in classe in questa modalità, a distanza è diventato ancora più difficile. La DAD è stato uno strumento del tutto inefficace per l’insegnamento creando lacune importanti su una generazione di studenti. Le nostre priorità sono condivise un po’ da tutte le organizzazioni studentesche: edilizia scolastica, scuole innovative. Noi crediamo di non doverci fermare a queste condizioni che dovrebbero essere basilari, ma pretendiamo un cambiamento di tipologia di insegnamento: meno nozionistico, meno frontale. L’“ungrading” resta un punto nodale perché con l’attuale sistema di valutazione la motivazione principale dello studente non è apprendere ma ottenere un numero soddisfacente, e ciò crea disinteresse: la curiosità e la creatività vengono soffocate da questo sistema. È paradossale: la curiosità è naturale nell’essere umano. Non si possono abolire dall’oggi al domani i voti per come li conosciamo, ma è necessario iniziare a ragionarci perché i voti non spiegano allo studente perché è importante imparare una cosa, ma gli impongono solo di ottenere un certo risultato, finalizzato all’inserimento lavorativo. Così si uccide la bellezza di apprendere e imparare.
Priorità è per noi anche ridurre l’abbandono scolastico che crea molta disoccupazione giovanile. Andando avanti con l’automazione e il bisogno di lavoro sempre più qualificato, sarà sempre più difficile ridurre il numero di NEET nel nostro Paese. Le nostre proposte per ridurre l’abbandono scolastico sono in primis, la riduzione della durata della scuola da cinque a quattro anni, allineandoci con il resto dell’Europa. Allo stato attuale infatti, i giovani italiani entrano un anno dopo nel mercato del lavoro. Crediamo vada estesa la scuola dell’obbligo fino alla fine delle superiori e vada eliminata la bocciatura: dai dati emerge che il 65% degli studenti che vengono bocciati abbandona la scuola. Non si può pensare inoltre che non ci sia correlazione tra gli abbandoni scolastici e l’appartenenza a classi sociali svantaggiate. Abolire quindi la bocciatura prevedendo modalità di recupero e un programma didattico personalizzato da completarsi durante l’anno. Crediamo vada garantito il diritto allo studio per tutti, ma crediamo anche che sia importante vedere la scuola come funzionale all’immissione nel mondo del lavoro: siamo apolitici, crediamo che la politica debba rimanere fuori dalla scuola e che le proposte debbano essere supportate solo dai dati.
Durante l’autunno appena concluso gli studenti sono state tra le poche componenti a far sentire la propria voce in modo continuativo, oltre ai lavoratori della logistica e agli attivisti per l’ambiente. Il Ministro Bianchi ha mai preso atto delle vostre proposte? Che riscontro avete ricevuto?
Luca Redolfi (UdS) Faccio un attimo un passo indietro. Il Cantiere Scuola è nato da un’esigenza: di scuola si è parlato tanto in questi anni di pandemia, anche troppo rispetto a quanto si sia effettivamente agito sulle esigenze reali. Durante la crisi, in una situazione specifica, abbiamo sentito la necessità di rintracciare degli elementi di avanzamento, e capire come dalla crisi si esce con una proposta nettamente alternativa per il sistema formativo del Paese. Nel 2021 abbiamo aperto il Cantiere Scuola, discutendo negli spazi assembleari, costruendo un nuovo immaginario. Da questo percorso ne è uscito un Manifesto a cui hanno aderito altre realtà, anche nazionali, non solo di addetti ai lavori del comparto scuola, ma anche di altre organizzazioni sociali come Legambiente, Arci, ActionAid, Libera contro le Mafie. La battaglia sulla scuola non può restare una battaglia di categoria perché è dalla scuola che parte il cambiamento: “cambiare la scuola per cambiare il sistema”, come recita un nostro storico slogan. Abbiamo presentato questo Manifesto al ministro Bianchi durante l’autunno e ci ha risposto con un’iniziale apertura, impegnandosi a costruire tavoli di lavoro con gli studenti su alcune questioni chiave: diritto allo studio, didattica, esame di stato. Nessuno di questi tavoli è mai stato convocato. Da lì in poi il silenzio assoluto, e quindi lo sciopero del 19 novembre che ha portato in piazza migliaia di studenti in tutto il Paese.
Francesco Intraguglielmo (RLS) Per quanto ci riguarda, non siamo mai stati ricevuti dal Ministro, ma sappiamo che sono stati ricevuti i nostri colleghi di UdS, con cui esistono diversi punti di contatto.
Credi che il concetto di “sicurezza”, con cui si sono giustificate anche scelte drastiche rispetto alla scuola, sia stato adeguato alla situazione che abbiamo attraversato e stiamo attraversando o ne sia stato fatto un uso a tratti strumentale?
Luca Redolfi (UdS): Ci sono state diverse fasi della pandemia, e ognuna dovrebbe essere inquadrata e valutata a sé. A marzo 2020 pandemia è chiaro che ci siano state delle difficoltà nella partenza, dopodiché il concetto di sicurezza è stato molto discusso e utilizzato con due pesi e due misure a livello governativo: nel momento in cui le scuole dovevano chiudere a tutela della salute, allo stesso tempo le fabbriche riaprivano a tutela del profitto. È inevitabile chiedersi: perché le scuole devono essere sempre le prime a chiudere e le ultime a riaprire?
Inoltre, dopo due anni di pandemia, ci troviamo a constatare che poco o nulla è stato fatto per garantire la sicurezza oggettiva all’interno degli edifici scolastici e nel tragitto casa-scuola.
Il concetto di sicurezza per me va oltre quello di “sicurezza fisica”, ma abbraccia tutta una serie di altre questioni: mettere tutti in DAD non tutela ad esempio dall’aumento del disagio psicologico, dell’aumento delle difficoltà nell’apprendimento e da un grosso aumento della dispersione scolastica, oltre ad un accentuarsi delle disuguaglianze: un conto è avere una propria stanza e il proprio PC per fare la DAD; un altro paio di maniche è farlo con un device condiviso, con un cellulare, magari in un’abitazione sovraffollata. La DAD quindi non tutela la sicurezza a trecentosessanta gradi: si è utilizzato il concetto di sicurezza solo rispetto alla sicurezza fisica e sanitaria, io credo si debba abbracciare una definizione più ampia e sulla base di questa agire in modo complessivo. Penso che sia stato folle, ad esempio, delegare alle regioni il potere di decidere sull’apertura delle scuole: l’anno scorso le scuole in Puglia e in Calabria non hanno mai riaperto, e ciò ha irrimediabilmente moltiplicato le disuguaglianze.
Quanto conta e che peso ha in questa fase storica l’attivismo studentesco e giovanile? Quali strumenti secondo te sono più efficaci per far sentire la voce di una generazione e per orientare le agende di governo, per disegnare vie d’uscita?
Francesco Intraguglielmo (RLS) Il peso che ha l’attivismo studentesco e giovanile purtroppo è ridotto, e ciò è dovuto a parer mio ad una questione demografica: gli studenti e i giovani sono di meno, pertanto si dà poca attenzione a scuola e istruzione. Da dopo la fase acuta della pandemia, e ancora prima con la nascita di Fridays For Future, i giovani sono tornati in piazza: ciò credo avvenga perché la pandemia ha esacerbato tantissime crisi e la frattura intergenerazionale. Io sono abbastanza ottimista, ma anche realista: oggi il peso dei giovani è ridotto, ma sono fermamente convinto che nei prossimi anni aumenterà sempre di più all’aumentare di questa frattura che si vede in tutti gli ambiti, a partire dalla distribuzione della ricchezza tra fasce d’età.
Per quanto riguarda il come coinvolgere le persone: i social sono sicuramente un’arma potentissima, il nostro movimento lo testimonia, nato dal nulla, da un video su TikTok.
Noi della Generazione Z, che siamo nati su queste piattaforme, possiamo sfruttarle molto bene per aggregarci, unirci e combattere le battaglie che ci caratterizzano. Poi è necessario passare dai social alla piazza, questa cosa si può fare, la stiamo effettivamente facendo noi come RLS: anche se è difficilissimo, ci si può riuscire. È un modo diverso di veder nascere un’associazione, un movimento, ma è possibile farlo e noi ne siamo la prova.
Luca Redolfi (UdS): Il primo strumento sta sicuramente all’interno delle scuole e dei luoghi assembleari: in questi due anni di distanze obbligate, il contesto assembleare è diventato un momento fondamentale, anche la sua stessa convocazione ha assunto un ruolo politico e di coinvolgimento fondamentali. Dopodiché ci sono diversi strumenti: ci sono state diverse innovazioni su come ricostruire partecipazione. Oltre i cortei, un ruolo fondamentale ce l’ha la ripresa delle occupazioni delle scuole: non se ne vedevano così tante da diverso tempo, da Milano a Roma. Questa è una ripresa di strumenti fondamentali che servono a lanciare messaggi politici chiari di riappropriazione dei propri spazi e di cambio dialettico all’interno della componente studentesca e giovanile. Emerge un mondo studentesco vibrante e desideroso di tornare a vivere i propri spazi a condizioni molto diverse da quelle precedenti all’esplosione della pandemia. Un desiderio di prendere parola, di coordinarsi in modi diversi, di tornare a scandire a chiare lettere i propri bisogni e i propri desideri. Idee e prospettive di cambiamento radicali che suonano urgenti a maggior ragione in un Paese in cui con questo sistema di formazione si muore: è notizia di questi giorni quella di un ragazzo di 18 anni morto proprio durante un percorso di alternanza scuola-lavoro. Le strade sono tornate a riempirsi di studenti in tutto il Paese: pretendono cambiamenti radicali e forse, ascoltando loro, viene da pensare che in fin dei conti dall’emergenza pandemica possiamo davvero uscirne migliori.
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Foto copertina: La protesta degli studenti in piazza Brà a Verona 4 febbraio 2022