Una triste realtà, a molti sconosciuta, tuttora vissuta dalle giovani donne nepalesi.


Si tratta di una deplorevole e antica tradizione, tipica delle famiglie Hindu del Nepal Occidentale, che da secoli bandisce dalle loro case e allontana dalla società le donne durante il loro periodo mestruale.
Esse sono costrette a vivere in condizioni disumane, isolate e segregate in miseri e sudici tuguri: a volte sotto le abitazioni, in lugubri scantinati, a volte ai margini dei villaggi in capanne, spesso proprio quelle in cui in altri periodi dell’anno viene tenuto il bestiame. Esistono rifugi talmente piccoli da non potersi stendere completamente, si possono infatti toccare le pareti aprendo le braccia.
“Impure”, “sporche”, “intoccabili”, “contaminate”, “infette”: così vengono considerate le donne mestruate.


Durante questa fase sono sottoposte ad una serie di gravi proibizioni, quali:
• consumare frutti e altri cibi altamente nutrienti come latte, yogurt, burro, legumi o carne, per cui sono costrette a nutrirsi esclusivamente di pane e riso insapore;
• utilizzare coperte, accontentandosi perciò di un tappeto di iuta su cui stendersi;
• accedere alle fonti di acqua pubblica;
• lavarsi;
• toccare il bestiame;
• prendere parte ad eventi sociali;
• interagire con chiunque, compresi i membri della propria famiglia da cui sono sorvegliate;
• pettinarsi;
• guardarsi allo specchio, in quanto segno di cattivo presagio;
• andare a scuola;
• raccogliere o toccare fiori, pomodori e piante da frutto;
• entrare nei templi;
• parlare, se non sussurrando e solo in caso di estrema necessità.

Nel mondo occidentale il periodo mestruale è da sempre considerato e vissuto come un fatto intimo, privato, naturale che, se non in presenza di alcune patologie, non impedisce lo svolgimento delle normali attività quotidiane. In Nepal, invece, tutto ciò che siamo soliti dare per scontato è assolutamente impensabile e quei giorni diventano di pubblico dominio, come si trattasse di una malattia contagiosa da scongiurare ad ogni costo.
“Se tocchiamo un uomo o qualsiasi altra cosa si trovi in casa, si crede che la contaminiamo, se cuciniamo o usiamo l’acqua dei pozzi e delle cisterne comuni, il nostro dio, Debti, ci punirà. Le nostre gambe e braccia verranno torte e ci verranno cavati gli occhi. La frutta marcirà, le mucche non daranno più latte, i pozzi si seccheranno, le nostre case bruceranno e le tigri ci attaccheranno nella notte”. Questo quanto affermato da Durga Buda, una donna che vive con la sua famiglia in un villaggio del distretto di Kailali, nell’ovest del Nepal.

Il menarca non fa di certo eccezione: al contrario, esso rappresenta per le ragazzine la prima esperienza di Chaupadi, un duro inizio che prevede ben undici giorni di buio ed isolamento per le giovani, colpevoli solo di essere cresciute ed entrate nella fase della pubertà e del periodo fertile. Per le donne adulte, invece, la reclusione ha una durata di cinque giorni.
Ma cos’è che rende questa iniqua e brutale tradizione così forte da resistere con ostinazione al passare del tempo? Per quale motivo le comunità vi sono così legate da non riuscire a rinunciarvi e ad interromperla? Le risposte si possono trovare in due parole: ignoranza e povertà, una combinazione davvero pericolosa che spinge la gente oltre ogni ragionevole limite, alimentando superstizioni e tabù.

“Le vecchie generazioni dicevano che le tigri stavano arrivando, dicevano che gli dei si erano arrabbiati” racconta Bishna Bogote, una ragazza di Marku Village. Propiziarsi gli dei è, dunque, l’obiettivo di queste genti: scongiurare malattie, sventure e morte. In realtà è proprio questo che molte donne trovano: numerose quelle che ogni anno perdono la vita a causa di attacchi o morsi di animali, di malattie dovute a freddo, o di asfissia dopo aver acceso un fuoco per scaldarsi.

Nonostante nel 2005 il governo abbia vietato questa pratica, ben il 90% dei villaggi continua a ricorrervi e le autorità locali non perseguono le famiglie che la trasmettono e rafforzano, né le sollecitano ad interromperla. Fortunatamente alcuni abitanti o organizzazioni stanno cercando di cambiare le cose, chiedendo che le leggi che la vietano vengano rispettate.

In uno di questi villaggi sono stati organizzati incontri con rappresentati politici per porre fine a tale scempio, anche se con qualche difficoltà, come dimostrano le parole di Janaki Bohara (Bhageshwori Village): “Dopo aver boicottato questa tradizione, abbiamo avuto molti problemi. E’ piovuto nei villaggi vicini ma non nel nostro. Per tutti il motivo era perché avevamo smesso di praticare Chaupadi”.

Il 28 Maggio del 2016, in occasione della Giornata mondiale per l’igiene mestruale, è stato reso pubblico un progetto promosso dalla ONG Water Aid, realizzato nel sudest del Nepal, precisamente nel distretto di Sindhuli: esso ha coinvolto sette ragazze alle quali è stato affidato il compito di documentare, mediante un reportage fotografico, le dure condizioni a cui sono esposte durante il periodo mestruale. Tutte le foto sono poi state mostrate alla comunità.

La Chaupadi ha un impatto estremamente alto e comporta delle serie conseguenze tanto sulla salute fisica quanto su quella mentale e sulla psiche delle donne. Esse vivono e conoscono dolore, disagio e paura: non sono esposte solo al rischio di malattie e morte, bensì anche a violenza ed abusi sessuali da parte degli uomini del villaggio. Per questa ragione molte di esse sono troppo spaventate per riuscire a dormire nelle gattabuie in cui vengono relegate.

Tali atti mettono in luce la natura misogina che contraddistingue alcune regioni del Nepal e la continua battaglia che le donne devono affrontare. Costantemente sotto pressione e sotto il controllo di madri e padri, sembra di assistere ad una spirale di soggiogamento delle giovani ai più anziani del villaggio.

Poulomi Basu, la fotoreporter indiana che ha documentato tale pratica, spiega che “il cambiamento sta lentamente arrivando grazie ai programmi scolastici e all’arrivo della tecnologia, ma la Chaupadi è così radicata nella loro vita che le campagne per l’igiene femminile e l’impegno del governo non la estirperanno nel breve termine”.

E’ fondamentale persistere nel processo di sensibilizzazione ed educazione delle comunità, soffermandosi sulle deleterie conseguenze fisiche e psicologiche di questa tradizione. Possibili soluzioni risiedono nella comunicazione con le generazioni più giovani, fornendo loro assistenza e guidandole ove necessario, in modo da metterle in condizione di fare una scelta autonoma, coscienziosa e consapevole.


Foto in copertina: The Guardian, Nepal’s chaupadi tradition banishes menstruating women – in pictures.
Uttara Sauda, 14 anni, in una delle anguste capanne sulle colline del villaggio Legudsen. Uttara, come tante altre, è costretta a saltare la scuola durante il periodo mestruale. Nelle città e regioni meno isolate, molti nepalesi sono ignari di questa pratica.