La multidimensionalità del confronto strategico
Il nuovo Concetto Strategico della NATO, pubblicato dopo il summit di Madrid nel giugno scorso, vede per la prima volta nella storia la Cina menzionata tra le sfide dell’Alleanza. L’attenzione verso la RPC si concentra sulle sue ambizioni dichiarate e sulle politiche coercitive messe in atto, oltre che sulla sua strategia e le opacità relative alla sua crescita militare ed economica[1]. Un inquadramento della Cina che riprende la concezione di “avversario sistemico” emersa dalla Commissione Europea nel marzo del 2019 e che necessita di essere approfondita.
Le questioni strategiche di confronto tra NATO e Cina
La NATO prospetta una sfida nei confronti della Cina basata principalmente su tre questioni cruciali[2]: l’innovazione tecnologica, la sicurezza delle infrastrutture critiche e la protezione del dominio cyber.
La prima riguarda i tentativi di Pechino di integrare le compagnie tecnologiche cinesi nello spazio digitale dei Paesi occidentali, influenzandoli attraverso strumenti come la nuova rete 5G. Le cinesi Huawei e ZTE rappresentano le due principali aziende di fornitura dei servizi di quinta generazione, le quali hanno accumulato un vantaggio strategico sulle aziende occidentali e – potenzialmente in grado – di egemonizzare nel breve termine il mercato delle telecomunicazioni. La preoccupazione maggiore è dettata dalla possibile applicazione della vaga legge cinese sulla cybersicurezza nazionale, entrata in vigore nel giugno del 2017, la quale fa riferimenti alla “supervisione del Governo” in materia di monitoraggio e controllo dei dati[3]. Il rischio contemplato dagli USA è quello di avere possibili infiltrazioni governative cinesi all’interno del traffico dati civile e militare europeo e occidentale, le quali causerebbero una perdita di controllo di un dominio fin troppo rilevante.
In particolare, il timore deriva dalla possibilità della creazione di backdoor – ossia delle porte di accesso a un software o a un sistema, tendenzialmente conosciuti solo dal programmatore[4].
Sebbene questo strumento sia potenzialmente in grado di introdurre malware e spyware nelle reti bersagliate, è opportuno sottolineare come, ad oggi, non vi siano stati casi accertati di questi attacchi attribuibili al Governo cinese.
Inoltre, un motivo di riflessione all’interno dell’Alleanza sono state le divisioni riportate dai singoli Stati membri in merito all’implementazione del 5G, alimentando una percezione di insicurezza e indecisione all’interno dell’architrave digitale europea.
Repubblica Ceca, Grecia e Regno Unito hanno sollevato dei dubbi, limitando le partecipazioni di aziende straniere nel loro core network. Francia e Belgio non hanno escluso la possibilità di forniture straniere, seppur ponendo dei vincoli legati all’affidabilità e alla sicurezza. Spagna e Ungheria, invece, sono stati i primi Paesi che hanno adottato la tecnologia cinese del 5G[5].
La seconda questione calda riguarda le infrastrutture critiche, con specifica menzione ai porti europei[6]. I forti investimenti delle compagnie di shipping cinesi – COSCO su tutte – nelle infrastrutture portuali europee e mediterranee hanno destato numerose perplessità, alludendo ad una vera e propria egemonia cinese nelle catene logistiche globali.
La sopracitata COSCO detiene importanti partecipazioni di porti europei come Rotterdam (35%), Anversa (20%), Bilbao e Valencia (entrambi con il 51%) e Pireo (71%)[7], capaci di movimentare complessivamente (circa) oltre 40 milioni di container ogni anno.
Negli ultimi decenni la portualità sta rappresentando un volano di crescita di incredibile portata, garantendo una proiezione economica e geopolitica su scala planetaria. Le attenzioni dell’Alleanza sono incentrate sulla dipendenza delle supply chain dalla Cina, rientranti anch’esse nel pieno delle infrastrutture critiche. L’interruzione o il controllo di determinate catene logistiche potrebbe causare delle perdite economiche molto ingenti, nonché condurre ad una vulnerabilità continentale molto rischiosa.
Inoltre, la questione diviene ancor più strategica se consideriamo che alcuni tra i porti europei come Rotterdam, Anversa, Zeebrugge e Gdynia sono utilizzati come scalo logistico e militare da parte delle forze armate statunitensi.
Sono stati proprio gli USA a ravvisare agli Alleati occidentali la pericolosità di una penetrazione cinese così massiccia, potenzialmente in grado di essere sfruttata nella nota modalità dual-use, ossia civile e militare. Un caso concreto è avvenuto nel 2021, quando il Governo lituano ha interrotto la costruzione di un terminal nel porto di Klaipeda finanziato dalla società statale cinese China Merchants Ports, a causa dei “rischi per la sicurezza nazionale e per la NATO”[8].
La terza sfida riguarda il dominio cyber, fonte di tensioni e accuse a distanza tra USA e Cina. Una ricerca della società informatica statunitense Mandiant[9] ha accusato il gruppo hacker cinese – APT41 – di aver svolto cyberattacchi, sfruttando le vulnerabilità delle reti di almeno sei Stati federali, nel periodo che intercorre tra maggio 2021 e febbraio 2022.
Accuse di questo tipo sono state ricambiate dalla Cina, che nel settembre scorso ha incolpato Washington di spionaggio alla Northwestern Polytechnical University, rea di contribuire allo sviluppo di droni aerei e subacquei e tecnologia missilistica[10].
Negli ultimi anni, i toni in materia si sono surriscaldati molto, evidenziando l’aspetto strategico della cybersicurezza come nuovo terreno di scontro. L’oggettività della questione è di difficile comprensione, complici la grey zone in cui entra e l’uso della propaganda governativa, spesso volta a mistificare la realtà per scopi politici e mediatici.
L’importanza del dominio cyber è stata posta al centro dell’attenzione direttamente dal Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, che in più occasioni ha ribadito: ‹‹La cyber defense è parte della difesa collettiva della NATO››[11] e che ‹‹un grave attacco informatico potrebbe far attivare l’articolo 5, in cui un attacco contro un alleato è trattato come un attacco contro tutti››[12]. Ad oggi, l’Alleanza considera la difesa cibernetica al pari dei domini terrestre, aereo e marittimo, elevando i moniti verso chiunque abbia intenzione di colpire attraverso questo strumento.
La posizione cinese nei confronti nella NATO
In seguito all’inizio del conflitto russo-ucraino, la Cina aveva già inasprito i toni nei confronti della NATO, accusando gli Stati Uniti di aver spinto le tensioni fino al punto di rottura. Pechino ha accusato Washington di piani egemonici per impedire l’ascesa di Cina e Russia nel sistema internazionale, contestando anche il metodo sanzionatorio imposto alla Russia, considerato da parte cinese privo di fondamento nel diritto internazionale[13].
Inoltre, la Cina, attraverso canali ufficiali ha denunciato la definizione che la NATO le ha attribuito nel nuovo Concetto Strategico. Il portavoce del Ministero degli Esteri cinese –Zhao Lijian – ha accusato l’Alleanza Atlantica di alterare la realtà, alimentando una visione della politica estera cinese distorta e diffamatoria[14]. La tesi sostenuta dai vertici cinesi è quella di una NATO ancorata ad una mentalità da Guerra Fredda, colpevole di aver sostenuto guerre sanguinose e calpestato la sovranità di Paesi terzi. Pechino la ritiene un’organizzazione destabilizzatrice, fautrice di un’architettura internazionale formata da blocchi, funzionali alle mire degli USA.
Il contrasto che emerge, da parte cinese, è innanzitutto ideologico e valoriale. Pechino si erge a potenza pacifica, promotrice della stabilità e della cooperazione nell’area Indo-Pacifica, in contrapposizione al modus operandi a somma zero di matrice statunitense.
Ad oggi, l’argomento più caldo nel rapporto tra Cina e USA è la questione Taiwan. La visione statunitense – contenuta nella Indo-Pacific Strategy pubblicata lo scorso febbraio dalla Casa Bianca – contrasta nettamente con la missione riunificatrice di Pechino che ritiene la questione dell’isola un affare ‹‹puramente interno››[15].
D’altra parte, gli USA si impegnano a garantire i propri sforzi politici, economici e militari, per assicurare la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan, “sostenendo le capacità di autodifesa dell’isola” allo scopo di creare “un ambiente pacifico in conformità con gli interessi e i desideri del popolo taiwanese”[16]. A rincarare le tensioni, inoltre, sono state dalle dichiarazioni del Presidente Joe Biden rilasciate lo scorso settembre, in cui annunciava la possibilità degli USA di difendere militarmente Taiwan in caso di un attacco “senza precedenti” da parte cinese[17].
Lo scontro – ad ora solo paventato – si gioca sul ruolo della regione Indo-Pacifica, ritenuta da Washington “the world’s center of gravity” e, pertanto, teatro di confronto nella lotta per la supremazia geopolitica globale. L’amministrazione americana intende assicurarsi uno spazio di manovra commerciale, economico e militare, aumentando le capacità di deterrenza e resilienza nei confronti di Pechino. Ciò implica un maggior coinvolgimento di tutti i Paesi asiatici partner, funzionali a rappresentare dei footholds strategici al proprio pivot to Asia.
La percezione di pericolo, da parte cinese, deriva principalmente dalle dinamiche inerenti al Mar Cinese, letteralmente lo spazio di uscita dal continente di Pechino, il cui controllo è inevitabile per allontanare sindromi di accerchiamento che implicherebbero un notevole ridimensionamento sul piano internazionale. Nello scenario attuale, la Cina assume una posizione più conservativa, sfruttando il ruolo della potenza minacciata, interessata esclusivamente a salvaguardare i propri interessi nazionali e ad allontanare ipotesi di conflitto.
In tale contesto, la scelta di Pechino appare pienamente coerente con le proprie capacità e la propria dimensione, consapevole di non poter ancora competere con il consolidato sistema di interrelazioni che posseggono gli Stati Uniti. Nonostante l’esponenziale crescita economica e militare di Pechino nell’ultimo trentennio, il confronto con gli USA risulta ancora impari – l’investimento militare statunitense, infatti, registra una spesa annuale di circa 800 miliardi di dollari, contro i “soli” circa 300 della Cina[18].
In virtù di ciò, la linea intrapresa da Washington sembra intenta ad un contenimento preventivo volto a stimolare gli Alleati e i Paesi partner ad intraprendere la sfida nei confronti della Cina come una questione comune, riguardante direttamente la stabilità e la sicurezza di tutti i Paesi occidentali.
Il paradigma dell’Alleanza Atlantica e le controversie interne
La proiezione degli interessi della NATO nell’Indo-Pacifico è il frutto di un cambiamento geopolitico avvenuto negli ultimi decenni, complice l’espansionismo cinese e la crescita economica generale di tutta la regione. Ciò ha significato una trasformazione del ruolo dell’Alleanza – in fase di continua ridiscussione sin dalla caduta dell’URSS – che ha acquisito una missione molto più variegata, con forti connotazioni politiche.
La NATO rimane un’alleanza militare difensiva, pertanto appare inopportuno – allo stato attuale – parlare di una vera e propria mission spostata verso l’Asia. Ad oggi, oltre agli Stati Uniti, soltanto Francia, Regno Unito e Germania hanno schierato personale e mezzi nell’Indo-Pacifico. Ciò, oltre a sottolineare un dispiegamento occidentale non unitario, deriva anche dalla divergenza di alcuni Stati membri che – per legittimi motivi strategici ed economici – non identificano la Cina come una potenziale minaccia.
La postura atlantica nei confronti della Cina è basata sul mantenimento dello status quo del sistema internazionale come legittima ambizione della più solida alleanza militare della storica, guidata da una potenza a lunghi tratti egemonica. Pertanto, il paradigma si sviluppa nell’allontanamento dal ruolo cardine e fondamentale dell’Allenza, allo scopo di abbracciare una leadership securitaria extra continentale. La Cina, in tale scenario, diventa una “sfida sistemica” all’unico Paese in grado – potenzialmente – di rappresentare un competitor tout court nei confronti dell’Occidente e degli Stati Uniti.
Il concetto di sicurezza è in evoluzione, acquisendo una dimensione sempre più preventiva e multidimensionale, basata sull’individuazione della minaccia alla fonte.
La tendenza che emerge è quella di un passaggio epocale da un’alleanza militare ad un’alleanza politico-economica che rimane, ovviamente, di matrice securitaria.
Il coinvolgimento sempre più inclusivo di partner come Corea del Sud, Giappone, Australia e Nuova Zelanda – tutti partecipanti al summit di Madrid – riprende il concetto di “NATO globale”, volto a rinvigorire una presenza fisica, strategica e valoriale sull’intero panorama internazionale.
Nel corso degli anni, probabilmente assisteremo ad un incremento delle azioni esterne della NATO o dei singoli Paesi membri, implicando una doppia dimensione dell’Alleanza: una europea e continentale e una oceanica e globale.
In merito al contesto europeo, potrebbero divenire interessanti gli sviluppi legati al protagonismo interno della Francia e agli importanti impegni.
Note
[1] Cfr. NATO 2022 Strategic Concept, 29 june 2022.
[2] Cfr. Kaim M. and Stanzel A., The rise of China and NATO’s new Strategic Concept, NATO Defense College, Policy Brief febbraio 2022.
[3] Cfr. Cuscito G., Sovranità e privacy: cosa prevede la legge sulla cybersicurezza in Cina, Limes, giugno 2017.
[4] Cfr. Blefari C., 5G, rivoluzione tecnologica o nuova spy story?, in Cybersecurity360, luglio 2020.
[5] Cfr. Gilli A. e Bechis F., La NATO e la sfida del 5G, Revisione NATO, settembre 2020. (Quanto pubblicato su tale rivista non costituisce la posizione o la politica ufficiale della NATO).
[6] Cfr. Ivi nota 2.
[7] Cfr. Sellari P., Scenari eurasiatici, Edizioni Nuova Cultura, Roma, ottobre 2020.
[8] Cfr. Groeneveld L., NATO in deep water because of chinese port investments, VSQUARE, ottobre 2022.
[9] Cfr. Brown, Ta, Bienstock, Ackerman, Wolfram, Does This Look Infected? A Summary of APT41 Targeting U.S. State Governments, in Mandiant.com, march 2022.
[10]Cfr. CBSNews, China accuses U.S. of cyberattacks on university that allegedly does military research, in CBS, september 2022.
[11] Cfr. Marrone A., Nato e difesa cibernetica: una risposta militare ad attacchi cyber?, Affari Internazionali, marzo 2021.
[12] Cfr. NATO press release: NATO will defend itself, august 2019.
[13] Cfr. Buzzetti E., Per la Cina la crisi Ucraina è solo colpa della Nato e degli Usa, AGI, marzo 2022.
[14] Cfr. Ministry of Foreign Affairs, the People’s Republic of China, Foreign Ministry Spokesperson Zhao Lijian’s Regular Press Conference, june 2022.
[15] Cfr. Ivi nota 14.
[16] Cfr. Indo-Pacific Strategy of United States, The White House, february 2022.
[17] Cfr. Ni V., Joe Biden again says US forces would defend Taiwan from Chinese attack, The Guardian, september 2022.
[18] Cfr. U.S. Defense spending compared to other Countries, Peter G. Perterson Foundation, may 2022.
Foto copertina: Il consigliere di Stato e ministro degli Esteri della Cina Wang Yi (R) incontra il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg a margine della 77a sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, Stati Uniti, 22 settembre 2022. (Xinhua/Li Rui)