“L’ultimo muro d’Europa. Cipro, disputa al centro del Mediterraneo” a cura di Giovanni Vazzana, edito da Paesi Edizioni, analizza la questione cipriota, le dispute per il gas e la fragilità dell’Ue, per un futuro dell’isola sempre più incerto.


 

La questione turco-cipriota è uno dei tanti dossier rimasti aperti e irrisolti da decenni. Un dossier spesso dimenticato, che ritorna attuale solo quando l’attualità lo richiede.
Eppure “L’ultimo muro d’Europa” rappresenta una spina nel fianco del progetto di cooperazione europea e contemporaneamente uno dei punti critici della partita geopolitica che si sta giocando in un Mediterraneo che torna ad essere centrale nelle questioni internazionali.
Per comprendere al meglio i nodi di questa complicata situazione, ne parliamo con Giovanni Vazzana[1] autore del libro.

Ci può brevemente raccontare i passaggi chiave della “questione cipriota”?

1974, invasione turca: doveva essere solo “dimostrativa”, si rivela decisiva per i successivi 47 anni di divisione dell’isola. Da quel momento, una linea di confine, la Green Line, due entità politiche diverse, la Repubblica Turca di Cipro Nord (RTCN), riconosciuta solo dalla Turchia, e la Repubblica di Cipro (RdC). A oggi si contano numerosi tentativi di riunificazione, tutti falliti. Non fallì, invece, l’adesione all’Unione Europea di cui Cipro fa parte dal 2004. E qui il primo paradosso: un Paese diviso, in cui non in tutte le città, non in tutti i negozi della capitale, Nicosia, si può utilizzare l’Euro. Nicosia come Berlino? Può darsi, di fatto è la RdC ad aver aderito, ossia la parte Sud dell’isola, secondo paradosso. E, altrettanto di fatto, due comuni, due governi, due Stati in una città che porta ancora i segni del conflitto del 1974. Ma la caratterizzano anche due spicchi di società, i turco-ciprioti e i greco-ciprioti, che non si odiano, che vorrebbero convivere pacificamente, costretti proprio in questi mesi a rinunciare alle poche possibilità di contatto fra la parte nord e la parte sud derivanti dai crossing-point dislocati sulla Green Line.
Ufficialmente per via del Covid-19, sono stati chiusi e oggi è impossibile muoversi da una parte all’altra. Le trivelle in cerca del gas naturale dei fondali delle acque attorno all’isola, invece, sono ben attive dal 2011 e coinvolgono anche i 3 Paesi garanti della pace a Cipro. Altro paradosso?

Perché il “Piano Annan” non poteva funzionare?

Il Piano Annan[2] non poteva funzionare perché, nel momento in cui era stato presentato, i Ciprioti, come tutti loro amano definirsi, erano presi dalla battaglia per riappropriarsi delle abitazioni che avevano dovuto lasciare al momento dell’invasione turca. Vedevano una possibile riunificazione con sospetto e col timore di perdere i residui diritti da rivendicare su quelle case, secondo testimonianze raccolte nel 2019 presso la Buffer Zone della capitale, la zona di competenza della missione di pace Onu.

Sempre secondo le opinioni dei cittadini, i veri sconfitti della Questione Cipriota, oggi vi è una grande consapevolezza dell’impossibilità di tornare al pre-1974. Allo stesso modo, sia i turco-ciprioti che i greco-ciprioti auspicano una riunificazione su base federale.

Lo scorso 27 aprile si è tenuta a Ginevra la conferenza informale 5 + 1 su Cipro convocata dal Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, con la partecipazione delle due parti a Cipro e delle tre potenze garanti, ovvero Grecia, Turchia e Regno Unito. Si tratta di incontri bilaterali del Segretario Generale Guterres con il presidente di Cipro Nikos Anastasiadis e il leader turco-cipriota Ersin Tatar. Sono stati fatti passi avanti?

L’ennesimo tentativo non andato a buon fine. Le parti, soprattutto i due leader Anastasiadis e Tatar, sono estremamente distanti. Come non lo sono mai state, forse. Proprio Tatar, Presidente della Repubblica Turca di Cipro Nord dallo scorso ottobre 2020, molto vicino a Erdoğan, continua a indicare la soluzione a due Stati come unica via percorribile. Anastasiadis, invece, spinge per un unico Stato federale.

L’adesione della Repubblica di Cipro all’Ue può essere considerato un passo avanti verso la risoluzione della questione, o al contrario ha rafforzato le spinte nazionaliste presenti sull’Isola? E perché Bruxelles di fatto non riesce a mettere tutti d’accordo?

Non ha rafforzato tanto le spinte nazionaliste, quanto il conflitto d’interessi tra la Grecia e la Turchia. Purtroppo, non è una partita fra senso di appartenenza e identità dei cittadini, è una partita politica sovranazionale a tutti gli effetti. Sono, sì, due dei tre Paesi garanti, ma sono anche due degli innumerevoli attori presenti nel Mediterraneo pronti ad accaparrarsi le risorse energetiche delle acque cipriote. Di fatto, aderì all’UE la parte greca e, anche in questo caso, non tanto la parte greca dei cittadini, ma la forza politica ellenica di Cipro. La Turchia, invece, abbandonate le velleità di adesione alla comunità europea, nonostante la situazione economica disastrosa, tiene in scacco Bruxelles minacciando di lasciare libero il passaggio a migliaia di migranti e avanzando pretese sulle acque di Cipro, forte della presenza sul 36% dell’isola.

Nella partita sulla scacchiera della geopolitica del Mediterraneo, dove l’esplorazione e lo sfruttamento dei giacimenti di gas è il premio ambito, diversi attori si muovono da protagonisti: Turchia, Grecia in primis ma anche Italia, Israele, Francia e Stati Uniti. Ci può fare una panoramica della situazione geopolitica del Mediterraneo orientale?

La scoperta di giacimenti di gas nelle acque cipriote è stata, come accennavo prima, la ciliegina sulla torta su una situazione già molto controversa. Gli interessi economici su quella che pare essere l’energia del presente e del futuro sono enormi e tutti i Paesi citati sono assolutamente al centro di una scacchiera che, però, va analizzata guardando oltre. Basti pensare ai recenti accesi diverbi fra il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, e il Presidente turco, Erdoğan, e, prima ancora, a quelli fra lo stesso leader anatolico e il Presidente francese, Macron. Si è trattato e si tratta di scaramucce mediatiche, le quali, molto probabilmente, celano nuovi tentativi di accordi geopolitici volti a ridisegnare l’intero asset mondiale, in tempi di pandemia. Gli assalti a pescherecci italiani da parte di navi turche, invece, non possono essere definiti “scaramucce”. E non dimentichiamo che l’Italia è fra le prime fornitrici di armi della Turchia…

Considerando le continue frizioni, ritiene che la crisi cipriota possa sfociare in un conflitto aperto tra Grecia e Turchia?

Le continue manifestazioni dei Ciprioti degli ultimi mesi, pacifiche, ma con qualche rappresaglia violenta, dimostrano quanto la crisi dell’isola si trovi in un momento caldo, a un punto di non ritorno. La gente è stanca, anche solo di non potere acquistare un libro su Amazon, perché anche questo succede nella parte nord.
Il conflitto, purtroppo, è già aperto, ma non riguarda solo Grecia e Turchia. Sembra di essere tornati in epoca medievale, quando le grandi isole del Mediterraneo erano considerate “snodi strategici” per lo sbocco verso l’Oriente.

Nel suo libro fa riferimento alla questione delle mine antiuomo. Secondo i dati forniti da “Unmas Cyprus”, al maggio 2019 sono state individuate 47 aree sensibili, per un totale di 1,7 milioni di metri quadri di territori a rischio per la presenza di mine. Perché quello delle mine è un business che fa gola a molti?

Lo stiamo vedendo in questi mesi, in queste settimane, in questi giorni: le tensioni fra nemici storici si stanno facendo sempre più pericolose e sempre più micce pronte a esplodere. Basti pensare a Israele e Palestina. A tal proposito, anche qui, come per le altre questioni, un conto è il volere dei cittadini ciprioti, dimostratisi vicini alla gente della Palestina, un conto sono gli accordi fra governi, solidi quelli tra la Repubblica di Cipro e Israele, tra la Grecia e Israele, militari su tutti.

Quindi, anche quello delle mine rientra fra i business che stanno decidendo le sorti di un Mediterraneo sempre più caldo. Difficile, ma fondamentale sarà capire in che direzione si andrà: se avrà la meglio la diplomazia o se l’escalation di violenza e guerra la farà da padrona, anche a Cipro.


Note

[1] Giovanni Vazzana classe 1986, studi universitari linguistici a Pisa e in rancia. Ricercatore attento al tema della frontiera, ai problemi delle minoranze, alle dinamiche degli Stati divisi. E’ stato a Cipro per conoscere la realtà sul campo tramite AESI, Associazione Europea di Studi Internazionali.
[2] Il Piano Annan, dal nome dell’ex segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan, è una proposta di risoluzione della questione di Cipro attraverso la riunificazione delle due comunità cipriote nel senso di un’unica repubblica federale.


Foto copertina: Immagine web