L’Europa e la dipendenza dal gas russo: la sospensione del Nord Stream2 ed il punto di vista dei paesi baltici. È davvero possibile fare a meno dei rifornimenti di Mosca?


L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, è una vicenda destinata a cambiare tutto l’assetto della politica energetica in Europa, con particolari ripercussioni nella Penisola Scandinava e nella regione baltica. Conseguenze che cominciano a manifestarsi nell’immediato, a causa delle sanzioni occidentali imposte alla Russia ed alle reazioni della stessa a queste decisioni. Basti pensare a Nord Stream 2: il progetto è ormai oggetto di discussione quotidiana nelle cancellerie europee; in ballo c’è la fornitura di gas russo, da cui molti paesi ancora dipendono in maniera pressoché totale. Ed in attesa di nuovi accordi e della differenziazione delle fonti d’approvvigionamento, l’ipotesi gas russo non può essere messa in discussione.
Al momento la Germania, in risposta all’attacco russo all’Ucraina, ha sospeso le certificazioni per il Nord Stream 2; questo pone la necessità di riformulare tutta la concezione delle risorse energetiche a livello continentale.

L’inizio della crisi: Nord Stream 2 e le sanzioni europee

Il Nord Stream 2 è un gasdotto lungo 1200 km, ed è in grado di collegare la Russia alla Germania, fornendo gas, direttamente tramite condotti che sfociano in Europa. Il gasdotto corre lungo il Mar Baltico passando per Svezia, Danimarca, Finlandia e Polonia, per poi giungere in Germania, paese tra i principali acquirenti di gas da Mosca. Il progetto è attivo da settembre 2021 e si stima che il 40% del gas naturale liquefatto (GNL) europeo, provenga da quel gasdotto, o meglio, proveniva. Fino ad ora infatti, gli unici ad avere interesse ad arginare l’esportazione di gas mediante sanzioni, erano gli americani. Nel 2021 infatti solo Washington ha sanzionato la Russia su questo specifico punto. Per l’Europa il discorso del gasdotto era ancora troppo importante.  Quando però, Putin ha riconosciuto l’indipendenza delle regioni autoproclamate di Luhansk e Donestk, il cancelliere tedesco Scholz ha ritenuto necessaria una rivalutazione del Nord Stream 2, chiedendone la sospensione delle certificazioni[1]. Così facendo, la Germania ne impedisce il funzionamento. Stati Uniti e Regno Unito fanno eco alla Germania, ma il problema energetico non sarà il loro. secondo una stima britannica infatti, Londra importa solo il 5% del gas dalla Russia; poi per quanto riguarda le forniture, c’è alta disponibilità dal Qatar, che rifornisce ampiamente Stati Uniti e Regno Unito.

Chi paga le conseguenze: le paure del Baltico

Se le grandi potenze non temono ripercussioni sul piano economico e politico, lo stesso non si può dire dei piccoli stati baltici. Di recente, la premier estone Kaja Kallas, ha espresso la preoccupazione che affanna il suo paese, data la vicinanza geografica con la Russia. Ha chiesto a gran voce che, a Putin non venissero date seconde chance e si è detta pronta a sostenere la resistenza ucraina[2]. L’Estonia, così come Lituania e Lettonia, hanno ancora chiaro il ricordo delle epurazioni sovietiche; un ricordo che ha determinato non solo  l’accesso in NATO, ma anche tutta la linea politica in chiave anti-russa. Nel sostegno militare, la Kallas ha trovato sostegno, anche logistico da parte del tedesco Scholz, il che serve a mettere a tacere qualche recente dissapore tra Estonia e Germania, relativo all’approvvigionamento derivante da Nord Stream 2. La premier estone aveva espresso la sua contrarietà al proseguimento del progetto, ritenendo che il completamento dello stesso, non avrebbe fatto altro che rendere definitiva la dipendenza europea dalle forniture di gas russo[3]. In Estonia, queste conseguenze sono molto più marcate, per questo il paese appoggia gli intenti NATO di trovare risorse alternative a quelle di Mosca. Discorso analogo per la vicina Lettonia. Riga dista circa 1000 km sia da Mosca che da Kiev, quindi l’impatto del conflitto è molto sentito. Questo non solo per motivi di vicinanza geografica, ma anche per le conseguenze strettamente energetiche sull’economia lettone. I timori della leadership di Riga è che, lo stravolgimento delle dinamiche geopolitiche, possano danneggiare la crescita economica che ha interessato il paese negli ultimi 15 anni. Poi, al pari dei vicini, anche la Lettonia, ha obiettato contro il Nord Stream 2, definendolo come un pericoloso riavvicinamento di Mosca alle coste lettoni.  Tuttavia c’è da dire che i tre stati baltici non sono del tutto indipendenti dalla fornitura energetica russa. la loro politica estera in funzione del rifornimento di gas non russo, non sempre ha avuto il successo auspicato. Per questo motivo la politica baltica si orienta verso una forte fiducia nelle istituzioni internazionali, con regole che tutelino la loro sicurezza, in quanto piccoli stati. Proprio per questo motivo, Estonia, Lettonia e Lituania sono in attesa della nuova strategia europea per l’indipendenza dal gas russo.

Il punto di vista della Lituania

A Vilnius si parla senza mezzi termini di “ricatto”. Così viene definita la dipendenza dal gas proveniente da Mosca. Una sorta di giogo in cui sarebbero coinvolti i tre stati baltici ma anche gli altri paesi europei.  In Lituania, il discorso sulle politiche energetiche è iniziato 15 anni fa ormai. Il paese è ben consapevole che liberarsi dal gas russo, sarà un’impresa non facile e costosa, ma sicuramente questo deve diventare un obiettivo strategico, non economico, per il paese. Solo così la Russia non potrà più costringere altri paesi a piegarsi. La Lituania ha vissuto due momenti particolari legati agli approvvigionamenti: nel 1990, quando l’Unione Sovietica staccò i rifornimenti di gas al paese, in risposta all’indipendenza di Vilnius, e nel 2008, quando la Russia invase la Georgia. Quello fu un campanello d’allarme. Per questo nel 2014, La Lituania installò un canale di stoccaggio di GNL a largo del porto di Klaipeda[4]. Il terminale, a fasi alterne riesce a fornire al paese il 60% del fabbisogno interno di gas, ma i costi sono molto alti, e la dipendenza, seppur parziale dalla Russia, rimane comunque.  A conti fatti si può dire che la Lituania abbia valutato le conseguenze e agito con lungimiranza, specie considerando che, tra le prime azioni di Putin, con l’acuirsi delle tensioni, è stata proprio la riduzione delle forniture all’Europa. L’idea del terminale lituano, servito dagli Stati Uniti, potrebbe essere un’idea che anche gli altri stati europei potrebbero prendere in considerazione.

Ripensando il mercato delle risorse in Europa

Mentre le violenze in Ucraina continuano, il problema resta quello del gas. La Russia era ed è ancora, un gigante della produzione e l’esportazione di idrocarburi. Nel 2021, il 40% delle entrate totali del paese erano derivanti dalle esportazioni di petrolio e gas. Da tempo infatti, la massiccia esportazione di risorse, è per la Russia, fulcro della crescita economica, ma anche perno strategico nelle relazioni con i player europei[5]. Ora l’Unione Europea sembra intenzionata a ridurre drasticamente le quantità di gas importato dalla Russia. I ministri degli esteri si affannano in incontri qua e là per il globo, con leader di paesi molto forniti in ambito energetico. Un buon inizio, certo, ma è palese che si tratta di una corsa contro il tempo, peraltro partita in ritardo. Se la Russia decidesse di porre fine ai rifornimenti di gas da un momento all’altro,  l’Europa dovrebbe fare ricorso alle proprie riserve, ma si tratterebbe di mera sopravvivenza. La soluzione sta nella differenziazione delle fonti d’approvvigionamento, ma non l’Europa non ha molto tempo.


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Note

[1] https://www.scotsman.com/news/world/what-is-nord-stream-2-and-what-is-its-role-in-russias-war-on-ukraine-3582910
[2] https://www.nytimes.com/2022/03/24/opinion/nato-russia-putin-estonia.html
[3] https://www.passblue.com/2022/03/02/estonias-leader-stands-out-as-she-grapples-with-the-current-european-crisis/
[4] https://www.fpri.org/article/2022/03/latvias-first-response-to-russias-war-in-ukraine/
[5] https://www.inquirer.com/opinion/nord-stream-gas-russia-ukraine-putin-sanctions-20220223.html


Foto copertina: Le conseguenze A worker overlooks the low-temperature isomerization unit at the Novokuibyshevsk oil refinery plant, operated by Rosneft PJSC, in Novokuibyshevsk, Samara region, Russia, on Dec. 22, 2016.