Beituki è il nuovo magazine di propaganda jihadista pubblicato da Al_Qaeda che copre il silenzio mediatico di Rumiyah, ultima rivista edita dallo Stato Islamico.


Nonostante i due magazine siano accumunati dall’intento propagandistico, la strategia comunicativa veicolata nei confronti delle donne è completamente differente.
Nel complesso fenomeno terroristico della società 2.0, la comunicazione assume un ruolo fondamentale. Fortemente supportata dai social media e dalle tecnologie interattive, la strategia comunicativa dei nuovi network jihadisti – ormai articolata su più piani – fa ampio uso di riviste online a fini propagandistici, la cui efficacia risulta ancora oggi evidente.

La diffusione di magazine accattivanti e patinati, in grado di veicolare un messaggio preciso e strategicamente costruito non è un fenomeno nuovo: nell’universo qaedista le riviste, Inspire e Azan, sono state le prime ad attirate l’attenzione dell’Intelligence a causa del dichiarato obiettivo di incentivare la mobilitazione dei lone-wolf nei paesi occidentali. 

Obiettivo accolto e realizzato perfettamente dalla seconda generazione di terroristi che rispondo all’autorità dello Stato Islamico: in contrapposizione al magazine Inspire – prodotto di riferimento della galassia qaedista –  il Califfato produce autonomamente un magazine concorrente, Dabiq.

Dabiq è pubblicato in lingua inglese, è ricco di immagini grafiche e fotografie, nelle sue pagine – in media dalle quaranta alle sessanta (solo il primo numero è più breve: 26 pagine) – si definisce come magazine mirato a trattare di tawahid (l’unicità divina) di manhaj (ricerca della verità) della hijra (la migrazione) della jihad (guerra santa) e della jama’a (la comunità).

Ma Dabiq non è l’unico: lo Stato Islamico sembra aver compreso perfettamente l’importanza di avere uno o più strumenti editoriali per finalità di propaganda e proselitismo. Insieme a Dabiq, anche Dar-al Islam (lingua francese) e successivamente Rumiyah (diffuso in diverse lingue) hanno accompagnato la nascita, l’ascesa e il “declino” dell’organizzazione jihadista salafita del sedicente Stato Islamico. L’impressionante modernità di questi magazine non è data solo dalle analisi dottrinali e dalle considerazioni filosofico-religiose, ma anche dall’articolazione dei pezzi, che seguono quella di un magazine di current affairs, con editoriali, reportage, approfondimenti e interviste. La novità più sorprendente della propaganda di IS è lo spazio dedicato alle donne: la sezione dal titolo “To Our Sister” ha la firma di Umm Sumayyah Al-Muhājirah, i cui scritti mirano a coinvolgere e a convincere altre donne ad avere un ruolo attivo nella jihad globale, raggiungendo i territori occupati dal Califfato o agendo in autonomia nei paesi in cui risiedono.

I magazine dello Stato Islamico editi da al-Ḥayāt Media Center e i precedenti magazine pubblicati da Al-Qaeda, sono indirizzati soprattutto ad un pubblico occidentale, questo è dimostrato non solo da chiare affermazioni riportate all’interno dei numeri[1], ma anche dalle lingue in cui questi magazine sono scritti: prevalentemente inglese e francese.

Il magazine più recente, pubblicato da Al-Qaeda, è Beituki.

Tradotto in italiano con “la tua casa”, Beituki è pubblicato per la prima volta in dicembre 2017; si discosta totalmente dalla produzione classica del terrore, per la totale assenza d’immagini violente. Beituki appare piuttosto come una rivista di life-style dai retroscena jihadisti. 

Indirizzata esclusivamente alle donne arabe (e scritto esclusivamente in arabo), il magazine elargisce consigli sulla cura della casa e sul modo di comportarsi nei confronti del proprio marito. Nonostante i numeri siano in arabo, “The Economist” ha tradotto alcune delle frasi più significative[2] che ci permettono di entrare nel cuore delle pubblicazioni: “saluta tuo marito con un sorriso quando arriva e un sorriso quando va”, “non dilettarti nel suo lavoro”, “riesci a immaginare tutti gli spargimenti di sangue e le ossa che vede ogni giorno? Il tuo agitarsi aumenta solo la pressione”.

Questi sono alcuni dei tanti consigli contenuti in Beituki che rispecchia perfettamente la posizione conservatrice di Al-Qaeda nei confronti delle donne, una visione completamente ribaltata dalle riviste di propaganda dello Stato Islamico, nelle quali Daesh promuoveva l’impiego delle donne in prima linea nel diffondere la propaganda online e – prima della perdita di Mosul – furono reclutate ed armate di cinture esplosive, affinché si facessero detonare contro le forze irachene.

La rivista Beituki, al contrario, mostra immagini di case perfettamente arredate e rassettate, con bambini sorridenti e felici momenti di preghiera, una vera e proprio contro narrazione alla propaganda dello Stato Islamico. I cinque numeri Beituki – consultabili e scaricabili tramite il sito del ricercatore Aaron Y. Zelin[3] – sono strutturati in maniera non dissimile dagli altri magazine di propaganda jihadista: contengono diverse sezioni e rubriche e, come Rumiyah, Beituki non supera mai le 20 pagine.

Come in una perfetta rivista femminile occidentale, tra le sezioni non manca la “posta del cuore”, dedicata alle lettere degli innamorati: una presunta corrispondenza tra i mujāhidīn al fronte e le proprie mogli a casa.  Nella sezione “La buona sposa” si pone l’accento sul ruolo della donna: con le frasi “rendi la tua casa un paradiso sulla terra” e “prepara il cibo che tuo marito ama, prepara il suo letto e fai ciò che vuole” è come se gli autori riconoscessero l’importanza della donna solo quando i suoi compiti non fuoriescono dall’interno del nucleo familiare.

La sposa jihadista non deve mai allontanarsi dal suo ruolo di donna musulmana a capo della sua famiglia in assenza del marito. Le rubriche sono molteplici: in “La mia famiglia” gli autori consigliano la moglie di non sperperare il denaro e fare acquisti scrupolosi, nella rubrica “L’amore è nell’aria” invece, sono forniti consigli su come fare per attirare l’attenzione del proprio marito.

Interessante è la rubrica delle ricette, che ricorda molto la sezione “Open Source” in Inspire che illustrava nei dettagli come costruire esplosivi home made[4], dove posizionarli o in che modo indossarli al fine di bypassare la sicurezza negli aeroporti. Dagli ordigni esplosivi costruiti nella cucina della propria madre – pubblicati su Insipre – alle ricette della nonna, pubblicate su Beituki.

Franco Iacch nella sua analisi al sesto numero di Beituki scrive: «Al di là dei temi affrontati, il valore di Beituki non deve essere sottovalutato. È sicuramente uno strumento per la propaganda interna (non è tradotto in inglese) strutturato sulla visione conservatrice di al Qaeda della donna. Ad esempio l’indice utilizzato fin dal primo numero. Il fine è evidente: identificare la lettrice. Degli otto personaggi presenti nell’artwork, soltanto la donna è collocata al centro. La lettrice deve identificare se stessa. Quella che sembra una foto di famiglia non deve trarre in inganno: la donna è in ginocchio non a beneficio del contesto virtuale, ma in segno di sottomissione. La donna è al servizio della causa jihadista: servire il marito, accudire i figli ed abituarli alla purezza del suono. La centralità della sua posizione non deve trarre in inganno: è un subdolo riferimento al suo ruolo confinato tra mura, figli e marito. In Beituki sono presenti consigli (sarebbe meglio definirle istruzioni) semplici ed immediati: lo stesso approccio di Abdullah bin Mohammed, uno dei migliori strateghi di al Qaeda ed autore della dottrina dei livelli[5]».


Note

[1]O muwahhidin, per Allah, non ci fermeremo nel nostro jihad se non sotto gli ulivi di Rumiyah (Roma)” citazione riportata in ogni numero della rivista Rumiyah.

[2] “Jihadist women’s magazines. Al-Qaeda’s chick-lit: how to please your holy warrior” pubblicato in The Economist, 02/2018

[3] www.jihadology.net

[4] “Make a bomb in the kitchen of your Mom” in Inspire n°1, p.33, 2010.

[5]  Franco Iacch “Al Qaeda pubblica il sesto numero di Beituki, il magazine per le donne” pubblicato su Il Giornale, 05/2018. 


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