Novità in materia giuridica e carenze strutturali in Italia. In tutto il territorio nazionale le donne ai vertici dirigenziali continuano ad esser viste con occhio critico. Caso Meridione: carenza di occupazione femminile e aumento dei casi di violenza.


Il percorso giuridico di raggiungimento delle pari opportunità nel mondo del lavoro è ancora complesso.
La Dichiarazione della donna e della cittadina, pubblicata il 5 settembre 1791 dalla scrittrice Olympe de Gouges è il primo documento ad invocare la piena assimilazione legale, politica e sociale delle donne agli uomini.
L’immagine stereotipata della donna lavoratrice si accompagna ad una serie di cliché come dimostrato da una ricerca della Stanford University. Numerosi responsabili di aziende ritengono che le donne utilizzino un tono aggressivo nel parlare, rispetto a quello adoperato solitamente dai lavoratori di sesso maschile. Inoltre, gli obiettivi lavorativi delle donne vengono percepiti, se portati a termine, come il risultato di un lavoro di gruppo e non successi individuali.[1]
La stessa storia di sempre. Eppure la normativa legislativa in ambito europeo, nonché italiano, ha visto un districarsi di leggi e direttive a tutela delle pari opportunità delle donne sul posto di lavoro.
L’obiettivo principale dell’OIL (Organizzazione internazionale del Lavoro) di promuovere opportunità per donne e uomini di ottenere un lavoro dignitoso in condizioni di libertà, equità, sicurezza e dignità umana è sancito nella sua Costituzione e riflesso in molti strumenti normativi internazionali tra i quali: la Convenzione dell’OIL sull’uguaglianza di retribuzione e la Convenzione dell’OIL sulla discriminazione (occupazione e professione).  I principi e i diritti sanciti in tali convenzioni trovano conferma nella Dichiarazione dell’OIL sui principi e diritti fondamentali del lavoro.[2]
L’Agenda 2030 pone la parità di genere e di integrazione come obiettivo cardine a livello globale. Da non tralasciare la Carta Sociale Europea Riveduta (CSER) del 1996, adottata nell’ambito del Consiglio d’Europa, la quale ha sancito all’art. 20 il diritto alla parità di opportunità e di eguale trattamento nell’accesso al lavoro, nelle condizioni di impiego e di lavoro (ivi compresa la retribuzione), nella tutela in caso di licenziamento e reinserimento professionale, nell’orientamento, nella formazione professionale nonché nelle progressioni di carriera, comprese le promozioni.[3]
Con il Decreto Legislativo 5/2010 l’Italia ha recepito della Direttiva UE 54/06 “pari opportunità e parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e di impiego”.
In primis, l’articolo 37 della Costituzione italiana sancisce: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.
Tuttavia l’Italia è all’ottantaduesimo posto per differenze di genere, e le distanze tra uomo e donna continuano ad essere sempre più profonde. La Cassazione ha trattato varie volte il tema della discriminazione sui luoghi di lavoro nei confronti delle donne e, con la sentenza n. 14206 del 5 giugno 2013, ha colto l’occasione per rafforzare il principio di uguaglianza, le cui lotte in Italia hanno radici antiche.

In occasione dell’8 Marzo, nel 2018 fu Mattarella a dare una spiegazione molto chiara. “Il percorso della parità non è stato semplice, né scontato. A partire dalla tutela delle lavoratrici madri, introdotta dalla legge del 1950, e opera dell’impegno di Teresa Noce e di Maria Federici. Tutela progredita, in seguito, con la riforma dei congedi di maternità del 1971, fino ad approdare, nel 2000 – dopo un trentennio – a una concezione della cura parentale come impegno da condividere tra entrambi i genitori. Nel cammino di avanzamento dei diritti del lavoro – compiuto da milioni di donne e segnato da battaglie sindacali e civili, talvolta aspre – possiamo ricordare, ancora, la tappa del 1963, quando venne introdotto il divieto di licenziamento a causa del matrimonio. E quella del 1977 che, con sempre maggiore aderenza al dettato costituzionale, ha affermato la piena parità di trattamento nel lavoro tra uomini e donne”.
In Italia restano dei problemi di natura strutturale per cui le donne, all’ingresso sul mercato del lavoro, vi ritrovano una serie di barriere.
Il dislivello socioeconomico tra uomini e donne si è acuito con il Covid: la pandemia ha infatti colpito duramente soprattutto le donne o, meglio, quei settori prevalentemente occupati da lavoratrici e resta molto bassa la presenza femminile in posizioni manageriali o in professioni STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics).[4]
Tuttavia, un momento di svolta lo si può vedere con la pubblicazione in Gazzetta della Legge 5 Novembre 2021, n.162  che modifica il codice di cui al decreto legislativo n. 198/2006 e altre disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo.
La legge va a sostituire il comma I dell’articolo 20 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, statuendo che la consigliera o il consigliere nazionale di parità presenta al Parlamento, ogni due anni, una relazione contenente i risultati del monitoraggio sull’applicazione della legislazione in materia di parità e pari opportunità nel lavoro e sulla valutazione degli effetti delle disposizioni dello stesso codice.
La “legge sulla parità salariale” si inserisce nel gender gap in materia di discriminazioni lavorative e differenze retributive.  Nel febbraio 2021 secondo i dati ISTAT, la retribuzione oraria è pari a euro 15,2 per le donne e a 16,2 per gli uomini; il differenziale retributivo di genere è più alto tra i dirigenti (27,3%) e i laureati (18%). Inoltre, su 101.000 nuovi disoccupati, 99.000 sono donne.[5]
Con l’articolo 46-bis del Codice delle Pari Opportunità viene inoltre introdotta dal 1° Gennaio 2022, la «certificazione della parità di genere», prevista per le aziende con più di 50 dipendenti, destinatarie dell’obbligo di redigere un rapporto sulla situazione del personale. Tale certificazione attesterà «le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità».[6]
Elena Bonetti, Ministra per le pari opportunità e la famiglia, ha affermato che l’azione del Governo è trasversale: “anche le risorse per la transizione digitale, per la formazione e per l’imprenditoria femminile previsti nel Pnrr, puntano a far sì che le donne possano competere alla pari per accedere a tutti i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza”.[7]

Occupazione femminile al Sud Italia e violenza indiscriminata  

L’Ansa ha pubblicato nel maggio 2021un titolo alquanto allarmante: “L’Italia resta la Cenerentola d’Europa per l’occupazione femminile ma la situazione con la pandemia diventa ancora più complicata con il Mezzogiorno distante oltre trenta punti dalla media Ue: quattro regioni del Sud – secondo quanto emerge da dati Eurostat sulle regioni riferiti al 2020 – risultano nel 2020 tra le cinque peggiori nell’Unione europea a 27 alle spalle solo della Mayotte, regione d’oltremare francese”.[8]
Precisando che il problema delle discriminazioni sul lavoro ha una portata nazionale, è altresì vero che il Sud Italia resta indietro e nel 2022 ancorato a mentalità patriarcali.
A tal proposito, la Dott.ssa Michela Barbato[9], direttore dell’Azienda Speciale Consortile b02 per la gestione dei servizi sociali e socio-sanitari, spiega le problematiche relative ai retaggi culturali.

Si sente tutti i giorni parlare di pari opportunità uomo-donna nei rapporti non solo sociali, ma soprattutto lavorativi. È altresì vero che il mondo del lavoro è molto complesso oggi; quando le donne occupano ruoli importanti quali dirigenziali o di alta professionalità, le si guarda con occhio cinico e giudicante. Secondo lei qual è il problema alla base e qual è la cultura sbagliata che porta ad una disuguaglianza di trattamento?
Il problema a mio avviso è culturale. Nelle piccole province delle aree interne questo problema è ancora più evidente, si pensa troppo spesso che le donne non siano abbastanza all’altezza, ma non è così, esistono professionalità femminili competenti quanto quelle maschili, ma che sicuramente faticano di più, per raggiungere i ruoli di alta professionalità. Essere viste come non abbastanza capaci è la sfida che ogni giorno e con coraggio, le donne che intraprendono una carriera lavorativa, devono affrontare. La disuguaglianza è determinata da un retaggio storico che ha assegnato dei ruoli specifici al genere femminile e maschile. Uscire dal ruolo domestico è ancora faticoso, ma bisogna confrontarsi con realtà diverse da quelle del passato, con un mondo del lavoro diverso, con una società più dinamica, non più soggetta alle disuguaglianze. Uomo e donna devono sentirsi ugualmente responsabili nell’ambiente familiare, sociale ma soprattutto lavorativo, ed è questo che determina a mio avviso l’uguaglianza e il superamento delle discriminazioni. Subire la discriminazione è il peggior errore che noi donne possiamo commettere, significa che noi siamo le prime a rimarcare la differenza di genere. In questo quadro, risulta doveroso considerare un’altra faglia nella società odierna, maggiormente presente secondo i dati ISTAT al Sud Italia. Le violenze fisiche o sessuali sono più diffuse al Centro (12,6%) e al Sud (12,3%), mentre il minimo è riscontrabile nelle Isole (9%). Le violenze sessuali sembrano essere più frequenti al Sud, quelle fisiche al Centro Italia.”

Il suo lavoro è strettamente legato all’inclusione sociale. Nel caso di donne fragili e vulnerabili, vittime di violenza di qualsiasi genere, qual è il suo operato a livello distrettuale?

“L’azienda Speciale Consortile B02, si occupa di garantire ai cittadini di 19 Comuni ad esso afferenti, servizi sociali e socio-sanitari. I comuni come Enti locali sono parte attiva dell’azienda, in quanto sono loro stessi ad aver delegato le funzioni sociali di cui alla legge 328/2000 all’Ente strumentale sovracomunale costituitosi nel 2019. Di fatto è l’Azienda che si occupa di garantire servizi di supporto per le famiglie, servizi per la genitorialità, servizi ai minori, ai disabili, servizi di prossimità a soggetti a rischio di emarginazione e esclusione sociale, supporto alle donne che si rivolgono al centro antiviolenza “Dillo a noi” dell’Azienda B02. Sicuramente la difficoltà principale è quella di superare le barriere, gli ostacoli, i pregiudizi culturali, ma consentire ai cittadini la massima partecipazione attraverso la creazione di “cittadinanza attiva”, che ci permette sicuramente di superare il gap culturale. Abbiamo bisogno di essere più inclusivi ed eterogenei, aprirci al pensiero degli altri, saper ascoltare ed essere liberi di esprimere i propri pensieri, tale atteggiamento è essenziale per portare avanti idee nuove per essere in grado di rispondere meglio a una società più dinamica e inclusiva. Il tema dell’inclusione e della cittadinanza attiva sono centrali nel lavoro; oltre della presa in carico di donne vittime di violenza, ci si attiva per poter garantire loro un’autonomia economica e professionale, anche attivando tirocini, contributi economici e percorsi formativi. Con il progetto Itia “Intese territoriali di Inclusione attiva” ha trovato spazio, la realizzazione del portale web “B2Life”. Tale portale ha lo scopo di creare uno spazio di incontro e approfondimento per i giovani e per le famiglie.”

In materia giuridica cosa ne pensa dell’azione di tutela e dei nuovi sviluppi?
“A livello normativo tanto è stato fatto, ma molto si deve ancora fare, purtroppo troppi sono ancora i casi di violenze nel nostro paese, di discriminazione sul posto di lavoro, troppo i femminicidi, troppe le giustifiche che si danno a questi episodi. In più durante la pandemia la situazione si è notevolmente accentuata. Ben vengano, pertanto, gli interventi legislativi, da quelli di carattere strettamente penale, intesi soprattutto a rafforzare l’effettività delle sanzioni, a specifiche “leggi anti-violenza”, di cui quasi tutte le regioni italiane si sono dotate. Ben venga la normativa anti-stalking, frutto di una nuova sensibilità del legislatore italiano verso i temi della violenza, e ben vengano i provvedimenti adottati nel 2013, ovvero la ratifica della Convenzione di Istanbul, considerata il trattato internazionale di più ampia portata in materia, e la conversione in legge del decreto n. 93/2013 (L. 15 ottobre 2013, n. 119). È ovvio che non basta solo la normativa in materia. Serve lavorare con interventi sociali (sportelli di ascolto e di denuncia, presidi anti-violenza nei vari ambiti territoriali, case-rifugio per donne maltrattate, attivazione di linee telefoniche dedicate, assistenza attraverso personale specializzato, ma soprattutto istituzionalizzazione dei Centri anti-violenza esistenti etc.) e poi intervenire con attività culturali e formativi diretti sia a “professionalizzare” le forze di polizia e gli operatori sanitari ed educativi, affinché acquisiscano maggiore sensibilità, capacità di lettura e riconoscimento del problema, sia a realizzare in tutte le scuole di ogni ordine e grado progetti per divulgare la cultura di genere, per combattere gli stereotipi, per educare i giovani al concetto di parità e pari opportunità. Non attraverso un isolato incontro o una conferenza, ma all’interno di specifici percorsi formativi destinati a sensibilizzare, sin dalla più tenera età, alla cultura del rispetto reciproco e della valorizzazione delle differenze e al contrasto verso qualsiasi forma di discriminazione. Affrontare le questioni del Mezzogiorno “al femminile”, consente una migliore messa fuoco dei problemi e delle opportunità. Paradosso del Sud è che accanto alla disoccupazione femminile, si ritrova qui un immenso capitale umano di donne preparate e competenti in vari settori. Se esiste una questione femminile nel nostro Paese – come denunciano le principali indagini internazionali sul mercato del lavoro (OCSE) – è in gran parte una questione meridionale legata tuttavia alla coesione economica e sociale del Paese.[10] Tuttavia, sfuggono a questo circolo vizioso un numero sempre crescente di donne che si vanno affermando nel mondo delle professioni liberali, nell’imprenditoria, nel mondo della scuola e della ricerca, nel terzo settore, nell’industria culturale, nel mondo dell’arte. Ad una loro crescente presenza, tuttavia, non sempre (anzi, assai di rado) corrisponde il relativo peso in posizioni apicali – di cui, la rappresentanza politica è per molti versi un aspetto. Il dibattito delle donne in politica in Italia è sempre aperto. Sicuramente la rappresentanza femminile in Parlamento, nel Governo e nelle amministrazioni locali è aumentata. Tuttavia non si è ancora raggiunta la piena parità di genere: il problema non sta tanto nell’inclusione politica, ma nell’ottenere ruoli di leadership.”


Potrebbe interessarti:


Note

[1] Standford Libraries, available on https://searchworks.stanford.edu/view/971561
[2] Available on https://www.ilo.org/rome/approfondimenti/WCMS_631350/lang–it/index.htm
[3] Available on https://www.altalex.com/documents/news/2020/05/12/discriminazione-di-genere
[4] Mariani Antonella, Uomini e donne, Pari stipendi (e carriere). Ora è legge available on https://www.avvenire.it/attualita/pagine/parita-salariale-in-italia-e-legge
[5] Dati ISTAT, febbraio 2021.
[6] Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna
[7] Available on https://www.ilsole24ore.com/art/certificazione-parita-le-donne-2022-dote-solo-50-milioni-AEWLFL0#U40783087733nJB
[8] Available on ANSA.it
[9] Dottoressa Michela Barbato, laurea in sociologia conseguita alla Sapienza di Roma, esperta in programmazione sociale e socio-sanitaria. Attuale Direttore dell’azienda Speciale Consortile b02. Nel 2021 ha conseguito il master in management del welfare territoriale presso l’UniSa.
[10] Archivio Svimez.Info


Foto copertina: