Dalla legge sul femminicidio all’importanza di un nuovo percorso: educare alla consapevolezza. Ne parla la dottoressa De Rosa, focalizzandosi sulla necessità di un’educazione affettiva.
Dal desiderio di ribellione al potere maschile di Artemisia Gentileschi all’icona distruttrice di tutti i tabù di Frida Kahlo, la donna continua oggi a ritrovarsi in percorsi giuridici fitti e complessi.
Spesso denigrata, depauperata del suo Io, la donna si è trovata a combattere lunghe battaglie sull’onda dello stereotipo, del patriarcato, della violenza fisica, psichica, verbale.
Eppure nel 2022 la violenza nei confronti delle donne è presente, è un dato di fatto e non può essere mai messo giuridicamente in disparte.
Si guardi in primis all’universo linguistico organizzato intorno all’uomo e che continua a stereotipare la donna. Dagli studi di Stefano Bartezzaghi, giornalista e semiologo, recitato alla premiazione dei David di Donatello nel 2008, si evince: “È impressionante vedere come nella nostra lingua alcuni termini che al maschile hanno il loro legittimo significato, se declinati al femminile assumono improvvisamente un altro senso, cambiano radicalmente, diventano un luogo comune, un luogo comune un po’ equivoco che poi a guardar bene è sempre lo stesso, ovvero un lieve ammiccamento verso la prostituzione.[1]”
A dieci anni dalla firma della Convenzione di Istanbul[2] che segna un passaggio importante per il contrasto contro la violenza nei confronti delle donne, oggi si torna a discutere di quanto sia importante mantenere un focus su questo argomento. Una donna su cinque nell’Unione Europea ha subito qualche forma di violenza fisica e/o sessuale dal partner, attuale o precedente e il lockdown durante la pandemia da Covid-19 ha implementato l’esposizione di donne e ragazze a partner e a familiari violenti e ha rivelato le mancanze di una risposta dello Stato a tali situazioni. La Convenzione di Istanbul fornisce una chiara tabella di marcia su come gli stati possono e devono lavorare per un Paese libero dalla violenza di genere. Ironicamente, la Turchia, il primo Paese che ha firmato la Convenzione l’11 maggio 2011, ha ora deciso di uscirne, con conseguenze disastrose.[3] L’ Italia dalla ratifica della Convenzione e sulla base delle indicazioni in essa contenute, ha elaborato e varato nuove norme procedurali riguardanti i maltrattamenti in famiglia e il delitto di stalking e ha inasprito le pene riguardanti la violenza consumata ai danni del coniuge separato o divorziato (Decreto-legge 93/2013 convertito in Legge 119/2013) .[4] La c.d. legge sul femminicidio ha introdotto nel settore del diritto penale sostanziale e processuale una serie di misure, preventive e repressive, per combattere la violenza contro le donne per motivi di genere. Successivamente, nel 2019, la Legge n. 69 denominata “Codice Rosso”, (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere) ha fortificato ancor di più la legislazione in materia per le vittime di maltrattamenti, violenza sessuale (anche violenza di gruppo e violenza sui minori), stalking, revenge porn[5] e lesioni personali gravi.
“La legge, anche la più severa, da sola non può bastare. La stessa Convenzione di Istanbul chiede agli Stati aderenti di porre in essere interventi di prevenzione e di sensibilizzazione culturale”.[6]
Le parole di Marta Cartabia sono un faro nella sensibilizzazione di tale fenomeno, di cui va messo in primo piano un aspetto essenziale : il fattore psicologico e i danni a lungo termine.
La dottoressa psicoterapeuta Lucia De Rosa[7] nonché Presidente dell’associazione Artemide, spiega in un’intensa intervista le conseguenze psicologiche di una violenza di qualsiasi genere, il percorso legalistico e l’importanza della psicoterapia.
Gentile Dottoressa De Rosa oggi capita spesso di parlare o sentir parlare di violenza di genere come se le donne vittime di qualsiasi tipologia di violenza, fossero solo dei numeri. Le conseguenze psicologiche sono immense, di una molestia, di una violenza fisica o psicologica, di un insulto. Quanto è difficile superare tali conseguenze? Quanto è importante il ruolo di uno psicoterapeuta in questo percorso che in solitudine non si può assolutamente affrontare?
Credo che sia fondamentale quando si parla del fenomeno della violenza di genere allargare la visione che nella società abbiamo della violenza perché molto spesso a questo termine viene associato semplicemente l’aggettivo fisico, quindi si pensa solo alla violenza fisica. Credo sia importante menzionare le varie tipologie di violenza di genere: la violenza fisica, la violenza sessuale, lo stalking, la violenza economica, la violenza domestica e la violenza assistita.
Fondamentale resta tenere a mente quella che è la conseguenza più grande della violenza, cioè l’annientamento dell’essere umano . Parlo di annientamento in toto perché una persona che subisce in maniera costante nel tempo una violenza di qualsiasi genere arriva ad avere un vero e proprio annientamento della propria della propria persona. Comincia a pensare di non avere risorse, di non essere adeguata, di non essere sufficientemente capace ed utile. Quindi avviene una sorta di annerimento del funzionamento psicologico di quella persona. Un percorso di psicoterapia per affrontare le conseguenze psicologiche della violenza è necessario. Un percorso di psicoterapia presuppone una consapevolezza ed è prima necessario un lavoro di educazione della società perché molto spesso le persone vittime di violenza non sono consapevoli di essere in balia di quel tipo di meccanismo. Tendenzialmente un percorso di psicoterapia inizia nel momento in cui una donna è arrivata a denunciare quindi magari arriva in un centro antiviolenza ed è lì che viene riconosciuta e viene dato un nome alla violenza inviandola ad un percorso di supporto psicologico o di psicoterapia. Molto spesso le persone che giungono in terapia hanno conseguenze legate a sintomi evidenti della fatica emotiva, del dolore emotivo provato; arrivano per un attacco di panico, per un attacco di ansia, per depressione o per disturbi alimentari sintomatologie evidenti e “dietro” tali sintomi c’è molto altro.
A volte è difficile comprendere di aver bisogno di aiuto. Spesso le donne per paura non denunciano e si rinchiudono nei loro silenzi. Cosa ne pensa al riguardo? Che messaggio vorrebbe lanciare ai nostri lettori?
Non si può leggere questo fenomeno andando a cercare solo una causa del silenzio come per esempio soltanto la paura. Una delle cause può essere quello di sentirsi soli e per sentirsi soli non intendo la solitudine relazionale, ma la solitudine emotiva cioè il non sentirsi accolto o ascoltato. Una serie di giudizi che passano attraverso frasi che chiunque ha pronunciato all’interno di una conversazione o all’interno di una relazione. Una donna che arriva a denunciare dovrà ammettere a se stessa, portando alla luce una dinamica così disfunzionale, che è immersa all’interno di quella dinamica. È fondamentale leggere qualsiasi relazione in un’ottica sistemica, allargando lo sguardo e non andando a cercare vittima e carnefice oppure una causa lineare. Queste sono tematiche complesse che richiedono anche una lente di osservazione che permetta la possibilità di prendere in considerazione a 360° il funzionamento di una persona.
La c.d. legge sul femminicidio (d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv., con mod., dalla l. 15 ottobre 2013, n. 119) ha introdotto nel settore del diritto penale sostanziale e processuale una serie di misure, preventive e repressive, per combattere la violenza contro le donne per motivi di genere. Ci sono stati dei progressi in materia, tuttavia le carenze restano. Come conterrebbe al riguardo?
È chiaro che l’istituzione di una legge ha reso visibile un fenomeno andando a definire qual è il comportamento- problema definito come reato e quali le conseguenze penali. Il punto di forza è quello di aver messo nero su bianco il fenomeno all’interno del diritto. Il punto di debolezza è che la legge ci indica appunto che cosa si può fare, cosa e quali sono le conseguenze ma non educa la società in cui quella legge viene applicata. Credo che la parte carente abbia a che fare con una collaborazione tra diritto ed educazione che vada a colmare con l’assenza di obbligatorietà alla formazione degli esseri umani sin dalla tenera età sulle tematiche legate al rispetto del genere, all’affettività, all’educazione relazionale a alle emozioni. Ben venga ovviamente la legislazione specifica di fondamentale importanza, ma sarebbe vitale sviluppare una cultura valoriale del rispetto.
Si è parlato di recente, di una richiesta di archiviazione avanzata da una PM della Procura di Benevento in merito alla denuncia presentata da una donna per violenza da parte del marito. Nelle motivazioni, infatti, i presunti atti violenti denunciati sono ritenuti «fatti carnali che devono essere ridimensionati nella loro portata». Come vorrebbe commentare questa situazione alquanto preoccupante? Come definirebbe la tutela delle donne in materia giuridica in Italia e specificamente nel caso beneventano?
Per quanto riguarda la questione esplicitata nella richiesta di archiviazione da parte della PM della procura di Benevento è fondamentale provare ad allargare lo sguardo. Siamo immersi, e questi due anni di pandemia ce lo dimostrano, in una diffusione delle informazioni legate a allarmismo, titoloni, movimenti scatenanti estremi che poi attivano una polemica enorme. Puntare la luce su quanto richiesto da questa PM è una banalizzazione del fenomeno, un tentativo di alzare fumo perché credo che non serva l’episodio X per parlare di determinate tematiche che invece devono essere all’ordine del giorno a livello di diffusione di informazione corretta e di lavoro sulla consapevolezza. Quindi è necessario, per poter esprimere un’opinione, leggere gli atti ufficiali. Vi pongo un esempio su quanto sia necessario fare attenzione a come si comunicano i fatti. Giorni prima del 25 novembre, la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, parte puntualmente tutti gli anni la polemica perché in Parlamento il lunedì si discute della violenza delle donne e in Senato e sono stati presenti solo 8 senatori Quindi tutti i media fanno partire la polemica su una tematica così importante dichiarando che i senatori non prendono sul serio questa tematica. Se avessero studiato il funzionamento del nostro del nostro Senato, avrebbero saputo che il lunedì è proprio consuetudine e non è previsto nessun tipo di ragionamento sulle tematiche di cui si fa solo una presentazione. Invece la discussione avverrà alla presenza di tutto il Senato, il giovedì.
Questo esempio per esporre la necessità di andare oltre titoloni e non cavalcare l’onda dell’indignazione. È chiaro che una richiesta di archiviazione non è qualcosa di definitivo e la procedura giudiziaria deve continuare, non c’è la parola fine su quel tipo di processo. Per quanto riguarda la tutela delle donne in maniera giuridica, specie nello specifico nel beneventano, so che in procura dal 2018 è attivo uno spazio di ascolto e che si pone molta attenzione alla formazione istituzionale sulle tematiche della violenza di genere. Quindi credo che sia sbagliato utilizzare un esempio per infangare tutto il sistema della procura che invece su questo tema ci lavora con dedizione. È importante non utilizzare una logica discriminatoria.
In un monologo in occasione del David di Donatello 2018. Paola Cortellesi spiega come molte parole declinate al femminile diventino un “luogo comune”. Secondo lei qual è il retaggio culturale che si nasconde dietro il considerare la donna inferiore o passibile di essere etichettata? Quali sono le ripercussioni psicologiche che queste parole causano?
Questo monologo della Cortellesi è molto d’impatto. Il linguaggio e quindi l’utilizzo delle parole ci danno la possibilità di immaginare le cose. Negli ultimi anni stiamo assistendo ad una svolta nell’uso del femminile, per esempio nelle professioni, come le grandi lotte su l’avvocato uomo e l’avvocata donna. Fa molto sorridere che spesso sono le donne stesse che dicono “Io non ho bisogno di avere questo femminile del mio titolo”. Personalmente la leggo come una censura di una propria parte dato che nella lingua italiana e nell’accademia della Crusca si conferma che esiste il femminile di una determinata terminologia. E dare un nome alle cose legittima la loro esistenza.
Per moltissimi anni la storia dell’umanità è stata diretta dal maschile e veniva concesso dall’idea che c’era un qualcun altro che aveva il potere di decidere. Questo non significa che non ci siano state donne nella storia ma non sono state valorizzate; quante volte dietro a premi Nobel ci sono le compagne, le mogli che hanno lavorato a quella ricerca, eppure il premio Nobel è al maschile. Anche nella storia biblica Eva nasce dalla costola di Adamo per cui già è un dopo l’uomo, cioè qualcosa che arriva in un secondo momento. Forse anche da tutto questo si è generata l’idea che la donna sia inferiore. Le donne che arrivano al potere o in ruoli dirigenziali di leadership sono sempre in un numero inferiore ma molte donne raggiungono posti dirigenziali e poi per prime non lavorano per l’inclusione o per facilitare l’accesso a determinate postazioni anche per le altre donne.
Mi viene da pensare alla Merkel, per 16 anni cancelliere tedesco ma quanto ha facilitato dalla sua posizione, l’ingresso delle donne in politica per esempio?
Secondo lei, nella società odierna ove nonostante i progressi, resta specialmente al Sud una mentalità patriarcale, è importante avviare un percorso psicologico non solo con le DONNE ma soprattutto con gli uomini? Come si potrebbe provare attraverso persone competenti nel settore, un percorso di educazione all’amore e alla parità di genere ?
Nel 2022 possiamo affermare con certezza che il primo passaggio fondamentale è spiegare che cos’è il patriarcato agli uomini e alle donne perché molto spesso sono le donne stesse a non rendersi conto di essere immerse in un sistema che funziona secondo queste regole. Sarebbe importante avviare un lavoro di consapevolezza sul funzionamento dell’essere umano e sulla destrutturazione degli steretipi che ci accompagnano, partendo dalla scuola dell’infanzia; si potrebbe attivare appunto attraverso professionisti formati nell’ambito psicologico e pedagogico. Come in Italia per prendersi la patente esiste un corso di formazione, sarebbe necessario un lavoro di consapevolezza sul funzionamento dell’essere umano di cui tutti noi siamo assolutamente responsabili. Nessuno escluso. Dovrebbe diventare un punto prioritario in agenda per la politica e per la società.
Il messaggio è molto chiaro: educare le donne a non colpevolizzarsi e ad amarsi. Educare gli uomini a distinguere la linea tra amore ed ossessione, controllo, persecuzione. Educare ad una maggiore consapevolezza del proprio modo di funzionare emotivamente parlando, tutti gli esseri umani, senza distinzione di genere.
La pandemia, inoltre, ha rappresentato un’esplosione che ha portato a galla un fenomeno di violenza di cui si conoscevano già le caratteristiche.
La legge ha assunto sì un compito guida in questa faglia sociale, ma il percorso è ancora complesso.
Come sottolineato dalla Commissione europea nella comunicazione relativa alla strategia per la parità di genere 2020-2025, finora nessuno Stato membro ha realizzato la parità tra uomini e donne: i progressi sono lenti e i divari di genere persistono nel mondo del lavoro e a livello di retribuzioni, assistenza e pensioni; nelle posizioni dirigenziali e nella partecipazione alla vita politica e istituzionale. A livello globale, il raggiungimento dell’uguaglianza di genere e della emancipazione di tutte le donne e le ragazze rappresenta uno dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile che gli Stati si sono impegnati a raggiungere entro il 2030.[8]
Note
[1] Available on https://www.youtube.com/watch?v=4WjhLSkXqTk
[2] La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, nota anche come Convenzione di Istanbul, è un trattato internazionale contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011 ed aperta alla firma l’11 maggio 2011 a Istanbul.
[3] Available on https://www.amnesty.it/ecco-perche-la-convenzione-di-istanbul-puo-salvare-vite/
[4] Available on https://www.gnewsonline.it/violenza-di-genere-cartabia-si-alle-regole-ma-necessario-intervento-culturale/
[5] https://www.opiniojuris.it/fenomeno-del-revenge-porn-legge-612/
[6] Cartabia Marta, Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio in occasione della “Giornata internazionale sull’eliminazione della violenza sulle donne”, 2021.
[7] Dr.ssa Lucia De Rosa psicologa, psicoterapeuta sistemico relazionale, esperta in Sessuologia. Lavora con individui, coppie e famiglie a Benevento e Napoli (in presenza e online). Si occupa di empowerment femminile e di creazione del senso di comunità. E’ attualmente la Presidente dell’ Associazione Artemide Aps di Pago Veiano (Bn).
[8] Available on https://www.camera.it/temiap/documentazione/temi/pdf/1105539.pdf?_1554030827490 Camera dei Deputati, Servizi Studi.
Foto copertina: Frida Kahlo è stata una pittrice messicana nata nel 1907 a Coyoacán, un sobborgo di Città del Messico. Considerata una delle icone del femminismo.