Il 28 gennaio scorso una quantità equivalente a 6.300 barili di petrolio è stata sversata nell’Amazzonia ecuadoriana a causa della rottura di un oleodotto privato, contaminando due ettari del Parco Nazionale Cayambe-Coca, nella provincia di Napo, provocando un disastro ambientale in Ecuador. 



Tale area, denominata Piedra Fina, è considerata zona protetta in quanto vi vivono diverse comunità indigene, le quali usufruiscono delle risorse naturali che la zona offre. Il grande oleodotto OCP (Oleoducto de Crudos Pesados), che trasportava petrolio per l’esportazione, ha iniziato a perdere petrolio greggio venerdì 28 gennaio sera, quando una frana ha causato una breccia nell’oleodotto, in un giorno di forti piogge. La sezione danneggiata non era sepolta ma esposta, e la sua rottura è stata facilitata da un cedimento dovuto alle pessime condizioni del letto del fiume Rio Coca, da tempo colpito da un processo di erosione regressiva.
La notizia è stata data solo il 2 febbraio, dal presidente della compagnia proprietaria dell’Oleodotto di greggio pesante (OCP), Jorge Vugdelija, e dal ministro dell’Energia ecuadoriano, Juan Carlos Bermeo[1].
Secondo quanto comunicato dalla compagnia petrolifera, sarebbero già stati recuperati circa 5.300 barili di petrolio, pari all’84% di quello sversato grazie a delle pozze di contenimento create per trattenere la perdita. Lungo circa 465 chilometri, l’oleodotto è entrato in funzione nel 2003 con una capacità di trasporto di 450.000 barili al giorno. Il presidente di OCP ha sottolineato, “siamo consapevoli della gravità dell’accaduto e per questo stiamo agendo in modo responsabile per minimizzarne gli effetti. Non risparmieremo risorse per realizzare una bonifica della zona colpita e per risarcire la comunità in conformità con quanto stabilito dalla legge”[2]. Poco dopo l’accaduto, il sistema di rilevamento automatico ha identificato la rottura istantaneamente e ha fermato il pompaggio del greggio.
La zona identificata era già stata oggetto di attenzione durante il 2020 quando una frana tra le province di Sucumbíos e Napo provocò fuoriuscite di petrolio dai tubi del Sistema Trans-Ecuadoriano di Oleodotti (SOTE), gestito dalla società pubblica Petroecuador, e della stessa OCP dal 1972. Lunga quasi 500 chilometri, la struttura attraversa le Ande e trasporta il petrolio nel Pacifico, che poi finisce nelle raffinerie di tutto il mondo. Questa era già stata considerata come la più grande fuoriuscita di petrolio degli ultimi 15 anni in Ecuador. La rottura dei tubi aveva già colpito più di 2.000 famiglie indigene e aveva compromesso l’accesso all’acqua potabile per almeno 120.000 persone[3].


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Nonostante l’impegno del presidente esecutivo di OCP Ecuador, Jorge Vugdelija, per avviare la bonifica del territorio ed evitare un’estesa contaminazione, le comunità indigene della zona hanno reclamato di non aver ancora ricevuto un risarcimento completo per il danno ambientale di due anni fa. Nel 2020, infatti, le comunità avevano già presentato una richiesta di protezione davanti ai tribunali per un risarcimento dei danni[4].
Per queste ragioni il Governo ecuadoriano ha chiesto alla compagnia che gestisce l’oleodotto di fornire informazioni sull’entità del disastro, specificando l’entità del danno ambientale e l’impatto sulla salute, per garantire azioni di riparazione, ma anche per definire le sanzioni corrispondenti. Il Comité de Operaciones de Emergencia (COE), che controlla le attività in questi casi di emergenza, ha attivato una delle sue unità per garantire l’uso, la qualità e la quantità di acqua per la popolazione della provincia di Napo, ma non è sufficiente. L’OCP come parte del contratto di trasporto di petrolio aveva attivato una polizza di responsabilità civile e danni all’ambiente[5]. Tuttavia, il Governo ha annunciato una multa per l’impresa responsabile del mantenimento dell’oleodotto danneggiato.
Secondo il presidente della Confederazione delle nazionalità indigene dell’Amazzonia ecuadoriana “questo è il risultato della tecnologia all’avanguardia che il governo vuole continuare a sviluppare nello sfruttamento del petrolio”, accusando ancora una volta gli interessi economici che intercorrono tra le grandi compagnie petrolifere ed il Paese, a discapito dei più vulnerabili[6]. Mitch Anderson, fondatore di Amazon Frontlines, è intervenuto nell’ennesima crisi ambientale affermando che la fuga di petrolio non sarà l’ultima in quanto non si tratta solo di una conseguenza causale ma di un circolo vizioso di affari per lucrare attraverso la distruzione di aree protette[7]. Gli sversamenti di petrolio costituiscono una vera minaccia per le comunità indigene Kichwa che vivono grazie alle risorse che la riserva naturale offre.
Inoltre, secondo la comunità indigena locale il petrolio avrebbe danneggiato 300 chilometri dalla zona della fuoriuscita fino all’entrata dell’area Yasuní del Parco Nazionale Yasuní, specialmente protetta dalle attività estrattive.[8]
Tali catastrofi devono essere considerate anche nel contesto della pandemia da COVID-19. Secondo Andrés Tapia di CONFENIAE, la Confederazione delle nazionalità indigene dell’Amazzonia ecuadoriana, durante la pandemia, molte famiglie non hanno potuto usare l’acqua del fiume per svolgere le loro attività quotidiane o mangiare il cibo che piantano poiché l’area è contaminata dal petrolio. Ciò significava reperire tutte le risorse necessarie nelle città più vicine, fortemente colpite dal virus. Dunque, per le comunità indigene della zona uscire dalla foresta significava contrarre più facilmente il virus[9].
Anche la riserva naturale del Parque Yasunì, sopracitata, è già nota per aver subito danni ambientali di grande portata e per essere stata al centro delle lotte delle comunità indigene per la protezione di riserve naturali e per una maggior trasparenza da parte delle multinazionali[10]. In Ecuador, lo scontro tra governo e popolazioni indigene si è verificato a proposito della politica di difesa della natura nel caso Yasunì-ITT del 2007 e più recentemente con il caso della popolazione Waorani di Pastaza insorta contro il Ministero dell’Ambiente e dell’Energia del Governo ecuadoriano del 2012. La popolazione Waorani è considerata una minoranza etnica nel territorio ecuadoriano, stanziata nella zona che comprende il Parco Nazionale Yasunì tra i fiumi Tiputini al Nord e Curaray al Sud nella frontiera con il Perù[11]. Nel 2012 il Governo decise di concedere 3 milioni di ettari di Amazzonia ad esplorazioni petrolifere, in particolare l’area della provincia di Pastaza.
La decisione del Governo era quella di dividere la zona in blocchi petroliferi da vendere in un’asta internazionale. Tuttavia, tra questi, una vasta area era luogo di insediamento di diverse popolazioni indigene, fra cui quella dei Waorani.
La disposizione era stata presa senza avere il consenso della popolazione stessa, quindi violando l’art. 57 della costituzione ecuadoriana che fissa l’obbligo della consulta previa per i provvedimenti in quei territori.
I progetti petroliferi proseguirono sino al 2018, ma grazie alle lotte dei membri della comunità Waorani e la dirigente del gruppo CONCONAWEP, il loro diritto alla consulta e all’autodeterminazione venne approvato e determinato il 26 di aprile 2019. La giudice Esperanza Del Pilar Araujo Escobar decise a favore della nazionalità indigena di Pastaza poichè il governo non aveva realizzato la consulta previa e dunque qualsiasi progetto estrattivo non poteva essere attuato[12].
Attualmente, circa il 68% dell’Amazzonia ecuadoriana che copre 12 milioni di ettari è stata data in concessione all’industria petrolifera. I dati del ministero del Medio Ambiente analizzati da Amazon Frontlines mostrano circa 1.169 fuoriuscite ufficialmente segnalate tra il 2005 e il 2015 in Ecuador. Di questi, l’81% era in Amazzonia[13].
Il problema principale consiste nel fatto che i tradizionali approcci legali nazionali e internazionali hanno i loro limiti nel prevenire o correggere l’impatto ambientale delle attività commerciali poiché esse non sono direttamente vincolate da trattati ambientali o dal diritto internazionale consuetudinario, ma possono aderire a standard ambientali come forma di autoregolamentazione aziendale[14].
Il relatore speciale sui diritti umani e l’ambiente, Dr. David R. Boyd, ha espresso già nel 2019 come le imprese debbano adottare politiche per i diritti umani e porre rimedio alle violazioni dei diritti umani di cui sono direttamente responsabili lavorando per influenzare altri attori a rispettare i diritti umani dove esistono relazioni di influenza[15].


Note

[1] https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2022/02/02/ecuador-6.300-barili-di-petrolio-sversati-in-amazzonia_ba58e7ad-de92-4a68-b8e7-03e00da8eb70.html
[2]https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2022/02/02/ecuador-6.300-barili-di-petrolio-sversati-in-amazzonia_ba58e7ad-de92-4a68-b8e7-03e00da8eb70.html
[3]https://www.dw.com/es/ecuador-ind%C3%ADgenas-temen-hambruna-por-derrames-de-petr%C3%B3leo-en-la-amazon%C3%ADa-durante-la-pandemia/a-53297986
[4]https://www.elespectador.com/ambiente/amazonas/preocupacion-por-derrame-de-petroleo-en-la-amazonia-ecuatoriana/
[5] https://www.elespectador.com/ambiente/amazonas/preocupacion-por-derrame-de-petroleo-en-la-amazonia-ecuatoriana/
[6] https://elpais.com/internacional/2022-02-01/un-derrame-de-petroleo-contamina-21000-hectareas-de-la-amazonia-ecuatoriana.html#:~:text=El%20fuerte%20caudal%20del%20r%C3%ADo,Petroecuador%2C%20y%20del%20mismo%20OCP
[7] https://www.dw.com/es/ecuador-ind%C3%ADgenas-temen-hambruna-por-derrames-de-petr%C3%B3leo-en-la-amazon%C3%ADa-durante-la-pandemia/a-53297986
[8] https://elpais.com/internacional/2022-02-01/un-derrame-de-petroleo-contamina-21000-hectareas-de-la-amazonia-ecuatoriana.html#:~:text=El%20fuerte%20caudal%20del%20r%C3%ADo,Petroecuador%2C%20y%20del%20mismo%20OCP.
[9] ibid
[10] https://elpais.com/internacional/2022-02-01/un-derrame-de-petroleo-contamina-21000-hectareas-de-la-amazonia-ecuatoriana.html
[11] A.J.P. CARDONA, Ecuador: sentencia frena negociación petrolera en territorio de indígenas waorani, en 9 mayo 2019, Revista Mongabay, https://es.mongabay.com/2019/05/ecuador-indigenas-waorani-sentencia/.
[12] Defensoria del pueblo Ecuador, Demandantes waorani presentan recursos de revocatoria ante una notificación judicial inmotivada, https://www.dpe.gob.ec/demandantes-waorani-presentan-recurso-derevocatoria-ante-una-notificacion-judicial-inmotivada/ ; Tribunal de garantías penales con sede en el cantón Pastaza, 09 de mayo de 2019, Juicio No. 16171201900001
[13] https://elpais.com/internacional/2022-02-01/un-derrame-de-petroleo-contamina-21000-hectareas-de-la-amazonia-ecuatoriana.html
[14] https://www.ohchr.org/en/issues/business/pages/businessindex.aspx
[15]https://www.ohchr.org/EN/Issues/Environment/SREnvironment/Pages/CleanAir.aspx


Foto copertina: Bambini delle comunità di Kichwas duramente colpiti dal disastro ambientale in Ecuador