L’indipendenza del Sud Sudan del 2011 ha reso la realtà dell’Africa orientale ancora più complessa. La guerra in Tigray iniziata nel 2020 e il colpo di stato della giunta militare in Sudan a ottobre 2021 stanno impattando sia a livello interno che nelle relazioni tra stati. E la Russia tesse la sua rete.


 A cura di Alessia Cannone e Giovanni Rasi

L’indipendenza del Sud Sudan del 2011 ha reso la realtà dell’Africa orientale ancora più complessa. La guerra in Tigray iniziata nel 2020 e il colpo di stato della giunta militare in Sudan a ottobre 2021 stanno impattando sia a livello interno che nelle relazioni tra stati. E la Russia tesse la sua rete.

Conflitti e relazioni tese

Come nell’area dei Grandi Laghi sono reciproche le accuse tra Etiopia, Sudan e Sud Sudan su chi arma i ribelli presenti nei propri territori nazionali. Addis Abeba non aveva visto di buon occhio la proposta sudanese di mediare tra il governo centrale e i tigrini, proprio per il timore che il vicino potesse dare sostegno militare ai ribelli e allargare così il conflitto ad altre regioni etiopi. D’altro canto, il Sudan si era proposto come mediatore per evitare che gli scontri si svolgessero sul suo territorio e soprattutto si riaccendessero le tensioni nella regione di al-Fashaga, area contesa in cui nel 2020 i contadini etiopi sono stati espulsi per timore (mai verificato) di Khartoum che fossero l’ariete per la presa del controllo da parte etiope.
Se Sudan ed Egitto pensavano che la guerra in Tigray avrebbe frenato le ambizioni del premier Abiy Ahmed soprattutto per quanto riguarda la diga GERD, i recenti sviluppi dicono il contrario. L’accordo mancato a inizio anno tra le tre capitali non ha fermato l’Etiopia che sta procedendo con l’attivazione della grande infrastruttura. Quest’ultima teme a sua volta che i due Paesi confinanti possano finanziare i gruppi armati per bloccare la riuscita del progetto.

La Russia si è offerta come mediatrice nella delicata questione della GERD. L’intenzione di Mosca di aumentare la presenza di basi militari sulle coste del Sudan e di rafforzare la cooperazione con Addis Abeba ha incrinato i rapporti con l’Egitto che accusa Putin di essere troppo filo-etiope sulla GERD. Questi sospetti non sono infondati dato che nel luglio 2021 la Russia ha stipulato accordi di cooperazione con l’Etiopia riguardo alla fornitura di sofisticate tecnologie militari russe all’esercito etiope. La Russia vede l’Etiopia come un prezioso cliente di armi e le ha fornito un grande supporto militare con l’obiettivo di contrastare il terrorismo e la pirateria. Inoltre, la strategia russa di non offendere le parti in contrasto sulla grande diga è stata apprezzata dal premier etiope Abiy Ahmed che ha portato a un rafforzamento delle relazioni bilaterali tra i due paesi, ma ha incrinato i rapporti con l’Egitto.

La giunta sudanese a Mosca

Lo scenario europeo non è l’unico ad essere rilevante per la politica estera russa. L’influenza del Cremlino si sta espandendo sul continente africano con particolare attenzione alle aree di crisi come il Sahel, la Repubblica centrafricana e l’Africa orientale. Il generale Mohammed Hamdan Dagalu Hmidti, vicepresidente del Consiglio di Sovranità sudanese ha affermato di aver avviato colloqui sulla sicurezza, la stabilità interna ed economica con ufficiali russi, durante la sua visita a Mosca a febbraio. L’avvicinamento sudanese alla Russia potrebbe essere visto anche in un’ottica di ricerca di legittimazione internazionale, ma anche di stabilità economica. La secessione del Sud Sudan ha causato uno shock economico, Khartoum infatti ha perso tre quarti delle sue risorse petrolifere. Dal 1999 le rendite da petrolio trainavano la crescita del PIL, dall’indipendenza si stanno cercando fonti di reddito alternative all’interno del settore agricolo e dell’estrazione aurifera, quest’ultima già nel mirino di Mosca. Secondo una recente inchiesta del Telegraph, l’oro illegale sudanese (in generale africano) è stato utilizzato per contrastare le sanzioni collegate all’invasione ucraina ed è stato reso possibile grazie proprio a Hmdti che prima di diventare vicepresidente era un signore della guerra e negli scorsi anni ha facilitato l’esportazione illegale dell’oro da piccoli aeroporti militari. Gli svolgimenti di questi fatti risalgono al 2017 quando l’ex dittatore Al-Bashir aveva autorizzato concessioni a compagnie minerarie russe (legate alla Wagner), mentre la Russia era già sotto sanzioni economiche da tre anni a seguito all’invasione della Crimea.
Per quanto riguarda la guerra in Ucraina il Sudan si è ben guardato dal condannare le azioni di Putin affermando, per voce del Ministro degli Esteri sudanese, che “la Russia ha il diritto di agire nell’interesse dei suoi cittadini e di proteggere il suo popolo”[1]. Dopo questa netta presa di posizione, il Ministro ha cercato di ridimensionare le parole proponendo una soluzione diplomatica al conflitto per non peggiorare i rapporti già precari con l’Occidente. Allo stesso tempo Khartoum non vuole rischiare di compromettere i legami con il Cremlino. I loro rapporti sono solidi e per il Sudan, isolato dall’Occidente dopo l’ennesimo colpo di Stato, è di vitale importanza l’appoggio della Russia. La prossima apertura di una base russa a Port Sudan conferma i forti legami tra i due Paesi e la volontà della giunta di tenere in saldo il potere con l’appoggio della potenza di Mosca.

La partita aperta del Sud Sudan

La ripresa delle violenze sta dimostrando la fragilità degli accordi di pace del 2018 e mina le autorità governative. La nazione nata nel sangue, dopo ventidue anni di conflitto civile sta ancora cercando di assestarsi. Gli scontri frustrano un’economia già poco sviluppata che importa il 90% dei beni da Uganda, Kenya e Sudan. La popolazione dipende dall’agricoltura e dagli aiuti umanitari ricevuti dal 2005 in gran parte da Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione europea per un equivalente di undici miliardi di dollari. Come detto in precedenza, l’indipendenza ha portato via molte delle riserve petrolifere sudanesi che corrispondono ora all’80% del PIL del Sud Sudan.
Anche Juba si è astenuta dal condannare l’invasione dell’Ucraina giustificandosi con la non interferenza negli affari interni di uno stato, ma si è dichiarata in linea con i rappresentanti delle nazioni africane al Consiglio di sicurezza (Kenya, Ghana e Gabon) che, il 26 febbraio, hanno votato a favore della risoluzione di condanna delle azioni russe. La già aperta porta del Sudan potrebbe agevolare la penetrazione russa nel territorio del Sud, permettendole di impadronirsi delle risorse, soprattutto petrolifere che già in gran parte transitano attraverso un condotto che arriva fino a Port Sudan. La Cina è già arrivata nel Sud con investimenti nel settore infrastrutturale ed energetico e questo fatto spingerebbe la Russia a velocizzarsi per limitare le azioni di Pechino e prendere il controllo dell’intera area.


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Note

[1] “Mali, Sudan, Repubblica Centrafricana: tutti gli amici di Putin in Africa”,  2 Marzo 2022, www.huffingtonpost.it


Foto copertina: Lunedì 12 luglio 2022 il ministro degli Esteri sudanese Mariam al-Mahdi ha compiuto una visita ufficiale di 3 giorni in Russia. Qui all’incontro con il Ministro degli Esteri Lavrov