Romanzo auto pubblicato di Marco Palumbo, racconta la storia di Valerio, giovane opinionista di uno dei più diffusi quotidiani d’Italia, vive una profonda crisi professionale e sentimentale
Fiordiluna. Valerio, giovane opinionista di uno dei più diffusi quotidiani d’Italia, vive una profonda crisi professionale e sentimentale.
Lavorativamente è stufo dei giochi di potere della politica e non più disposto a seguire la linea editoriale filo governativa del suo giornale, decide di dedicarsi temporaneamente alla cronaca locale come giornalista freelance.
Sullo sfondo, le vicende di una famiglia della Roma bene.
Valerio è sempre vissuto all’ombra di Stefano suo fratello maggiore. Alla festa di compleanno della madre Giulia, Valerio conosce Camilla, segretaria tuttofare allo studio di architetto di Stefano, e con lei intraprende una relazione sentimentale all’insaputa del fratello. Un giorno, nella vita di Valerio irrompe Selene, una giovane ragazza norvegese con la quale stabilisce un rapporto di corrispondenza telefonica. Ben presto Valerio si invaghisce di Selene, rapito dalla sensualità della ragazza e dalle comuni passioni per la cucina e la filosofia. Al progressivo disinteresse di Valerio verso la politica, e alla crescente sfiducia nella possibilità di un cambiamento in Italia, fa eco la sua graduale disaffezione verso i rapporti sentimentali superficiali, basati su schemi materialistici. La metamorfosi vissuta nel giro di qualche mese, porterà Valerio a lasciare l’Italia e ad intraprendere un viaggio nei paesi scandinavi.
Con Fiordiluna l’autore porta il lettore a porsi le stesse domande del protagonista. Valerio infatti trovandosi davanti un bivio esistenziale e scegliere se proseguire con un lavoro, quello di giornalista per un grande quotidiano nazionale che lo obbligare a seguire una linea editoriale che non gli appartiene più, o fare un salto nel buio, lontano dai dettami della politica, fuori dal racconto mainstream della narrativa di Stato optando per un sito di controinformazione. Sullo sfondo una complicata storia d’amore e familiare che porta il protagonista a compiere un viaggio fisico ma anche sentimentale.
Sarebbe davvero interessante chiedersi come Valerio il protagonista di Fiordiluna racconterebbe gli ultimi due anni vissuti dal nostro paese in emergenza Covid, se allineato con la narrativa di Stato o andare alla ricerca di altre forme di verità. Fiordiluna non è un romanzo autobiografico, ma traspare con evidenza il pensiero dell’autore, un pensiero anticonformista, un pensiero “diverso” desideroso di non fermarsi all’apparenza delle cose.
Nel suo libro la vita del protagonista si snoda su due binari, quello sentimentale e quello lavorativo. Da chi trae ispirazione il personaggio di Valerio?
Si dice che spesso lo scrittore si immedesima nei suoi personaggi, specialmente nei protagonisti. Mi sono sempre chiesto cosa pensa un giornalista mainstream quando è costretto a scrivere cose che riflettono la linea editoriale del suo giornale, piuttosto che il suo personale punto di vista. Perché diciamocelo, chi scrive per un giornale agisce in un ruolo gerarchicamente subordinato al proprio datore di lavoro. Come dipendente della pubblica amministrazione anch’io, in un certo senso, vivo questo dilemma, nel senso che agisco nel rispetto delle norme vigenti e degli indirizzi politici di riferimento, volente o nolente, che delimitano il mio raggio d’azione, ovvero la mia discrezionalità amministrativa. Valerio, il protagonista di Fiordiluna, mi ha dato la possibilità di esternare un modello di vita professionale e affettiva libera dai vincoli imposti dal “politically correct” e dai modelli relazionali superficiali basati su schemi materialistici. In una parola, Valerio è un anticonformista, lo si vede anche dal suo approccio minimalista alle cose e alla vita in genere.
Il lavoro di Valerio s’intreccia con la politica. Il protagonista non si riconosce nella linea editoriale filogovernativa del suo giornale ma allo stesso tempo lavora come Ghostwriter del Presidente del consiglio. Una contraddizione che lo mette in crisi…
Ed in effetti, tra il firmare gli articoli con nome e cognome mettendoci la faccia, e preparare discorsi al capo del governo nell’assoluto anonimato, Valerio sceglie quest’ultima attività. Per difendere la sua integrità, in primo luogo, ma anche per prepararsi al cambiamento, dedicandosi alla cronaca locale, prima, e fondando un sito di controinformazione, poi, per sdebito di coscienza verso i suoi lettori. Alla fine, comunque, la contraddizione viene meno, perché l’uomo politico “rinsavisce” e passa dalla parte dei “giusti”. Anche per l’uomo politico mi pongo lo stesso interrogativo del giornalista e del burocrate: come vive il ruolo di esecutore di ordini ed indirizzi provenienti da livelli gerarchici superiori, e a quali conflitti e dilemmi personali va incontro quando agisce contro la sua volontà?
Uno dei temi di fondo del libro è che l’informazione mainstream esprime un pensiero unico e che va a braccetto con una politica intesa come espressione più di gruppi di interesse che del popolo. E’ solo finzione o crede sia davvero così?

L’informazione mainstream esprime un pensiero unico perché i principali gruppi editoriali sono concentrati nelle mani di pochi imprenditori, che sono a loro volta azionisti delle società finanziarie più importanti tra quelle quotate in borsa, comprese le multinazionali proprietarie delle case farmaceutiche, di cui si parla tanto di questi tempi, a proposito dei vaccini e delle cure anti Covid. È un enorme conflitto di interessi da cui non si sottraggono di certo gli ambienti della politica, a cominciare dal nostro presidente del consiglio dei ministri che, per fare un esempio, è membro attivo del Gruppo dei 30, un’organizzazione internazionale di finanzieri e accademici portatori di interessi spesso diametralmente opposti a quelli dei comuni cittadini. In realtà, l’informazione controllata a beneficio dei gruppi di interesse rappresenta solo uno dei tanti aspetti dello strapotere esercitato dalle lobby sulla politica, ed in primo luogo sui partiti. Perché sono loro che detengono le leve del potere nelle istituzioni democratiche che, nel caso dell’Italia, dubito possano ancora considerarsi tali, specialmente da quando la legge elettorale consente, di fatto, ai partiti stessi di nominare i propri rappresentanti nelle assemblee elettive, relegando gli elettori a un mero compito di ratifica di scelte individuali compiute in piena autonomia nelle segreterie dei partiti. Uno dei temi su cui mi soffermo in Fiordiluna è proprio quello della rappresentatività dei cittadini nelle assemblee elettive che, invece, dovrebbe essere centrale nel dibattito sulla riforma delle istituzioni, se è vero che già da alcuni anni un cittadino su due ha rinunciato ad esercitare il diritto di voto.
Il sistema Italia raccontato nel libro quanto si avvicina alla realtà?
A mio modo di vedere la riflette in pieno. Per non parlare della subalternità dell’Italia nello scacchiere europeo, tema a cui ho dato ugualmente spazio nel romanzo, per muovere severe critiche alla cessione all’Unione Europea di quote di sovranità originariamente garantite dalla nostra Costituzione, nei più svariati ambiti istituzionali. Prima tra tutte la sovranità monetaria che, di fatto, relega i nostri governanti al ruolo di meri esecutori di scelte politiche compiute da istituzioni straniere, come la Banca Centrale Europea che è totalmente indipendente nell’esercizio delle sue funzioni e che ha come obiettivo primario la stabilità dei prezzi, piuttosto che il benessere economico dei cittadini europei. Non per niente la BCE è un organismo pubblico portatore di interessi privati, dato che ufficialmente è di proprietà delle Banche Centrali degli Stati che ne fanno parte, le quali a loro volta sono però controllate da società private. E torniamo al conflitto di interesse di cui dicevamo a proposito dell’informazione mainstream.
Il libro è stato scritto prima della pandemia Covid. Come valuterebbe il protagonista Valerio il rapporto tra media e Governo in questi due anni?
Alcuni sostengono che la pandemia non è altro che uno dei passaggi che dovrebbero portare il mondo occidentale al Grande Reset, ovvero ad una nuova organizzazione del sistema socio-economico mondiale basato sulla digitalizzazione e sull’automazione dei processi produttivi. Tale disegno neoliberista, adeguatamente appoggiato dai media mainstream, rappresenta una sofisticata evoluzione dello strapotere della finanza sull’economia reale, in prospettiva dell’obiettivo finale del Grande Reset. Lo scenario distopico che si prospetta avrebbe certamente influito sui già compromessi equilibri emotivi del protagonista del romanzo, aumentando la sua insofferenza nei confronti di una informazione asservita ai gruppi di potere dominanti.
Nel racconto ci sono molte trame narrative che lasciano il lettore senza una spiegazione, dalla vicende del padre al finale (che non sveliamo). Ci sarà un continuo?
Non prevedo, almeno a breve, di riprendere le vicende narrate in Fiordiluna. Tengo a precisare che il titolo nasce dall’unione di due parole, “Fiordi” e “Luna”, che alludono ad alcuni luoghi di ambientazione della storia – Bergen e le isole a nord della Norvegia – ed al nome della protagonista femminile del romanzo. La vicenda narrata, al di là delle considerazioni politiche, è di un rosa che si tinge di giallo, ed alcune conclusioni sono state volutamente lasciate alla libera interpretazione dei lettori. Per questo, ho ritenuto utile chiudere il libro con una postfazione, dove mi metto nei panni dei lettori ed offro loro la mia interpretazione del finale della storia. Tutto questo grazie all’autopubblicazione, che mi ha dato la possibilità di integrare il testo in un secondo momento.
Insomma Fiordiluna a chi è rivolto e cosa vuole trasmettere ai lettori?
Scrivere Fiordiluna per me è stato un pretesto per esprimere delle idee, che altrimenti avrei dovuto raccogliere in un breve saggio di taglio politico-economico che, sinceramente, non credo di avere la competenza, né l’autorevolezza necessarie per poterlo scrivere. Allo stesso tempo ho voluto costruirvi intorno una storia sentimentale accattivante, che possa attirare l’attenzione di un pubblico di lettori eterogeneo. Il messaggio che intendo trasmettere a quanti avranno la pazienza di leggerlo è che non basta fermarsi di fronte alle apparenze, che la verità spesso sta oltre. Non a caso ho voluto citare all’inizio del romanzo un aforisma di Alexandre Dumas, secondo cui ogni falsità che si cela dietro una maschera prima o poi si riesce a distinguerla dal volto.
Ecco l’estratto del capitolo 13
“Natura, silenzio, meditazione. Il clamore delle stanze del potere per lui ora è solo un ricordo. Siamo venuti a trovare l’onorevole Pasquale Palandrano nella sua nuova dimora non lontana da Roma, dove regna pace e serenità, ma che non riveliamo per motivi di riservatezza. Lo abbiamo incontrato per parlare di democrazia, in un momento storico in cui un italiano su due ha perso ogni fiducia e speranza nelle istituzioni, astenendosi dall’esercizio di uno dei diritti che stanno a fondamento delle moderne democrazie, cioè il diritto di voto”.
Onorevole Palandrano, da quando ha lasciato la capitale, pensavamo che di politica non avrebbe più voluto saperne.
“Purtroppo, sono un inguaribile politomane. È vero, non seguo più da vicino le vicende della politica, ma è proprio grazie a questa posizione distaccata che ho acquisito la capacità di sapere discernere i vizi dalle virtù, della democrazia”.
Cominciamo dalle virtù. Parliamo di ciò che, secondo lei, resta di buono della democrazia.
“Tra le forme di governo è ancora l’unica in grado di assicurare una certa partecipazione popolare alla gestione della cosa pubblica. Però, attenzione! Sa qual è il peggiore nemico della democrazia? Poco fa lei accennava giustamente all’astensionismo, alla sfiducia dei cittadini nella politica. Se i cittadini si allontanano dalla politica, la politica si appropria della volontà popolare che i cittadini rinunciano ad esercitare, mettendo in pericolo l’esistenza stessa della demo-crazia”.
Vuole dire che, questo, potrebbe portare a regimi di tipo autoritario?
“Non dimentichiamoci che all’avvento del fascismo, in Italia, all’indomani della prima guerra mondiale, contribuì non poco la delusione e la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni. Solo che, allora, i partiti giocavano un ruolo importante nella società civile. In quegli anni nascevano partiti di sinistra e di destra, come espressione del malcontento delle masse operaie, da un lato, e del furore di ex combattenti delusi dagli esiti della prima guerra mondiale, dall’altro. Ma quelli erano tempi in cui le ideologie facevano la differenza tra un partito e l’altro. Oggi le ideologie non esistono più”.
Perché secondo lei, onorevole, le ideologie non esistono più?
“Perché il consumismo, prima, e la globalizzazione, poi, hanno di fatto omologato gli stili di vita di quelle che un tempo erano le classi sociali, in tutto il mondo occidentale, e non solo. Questo non vuol dire che tutti stanno bene, anzi, si è ulteriormente allargata la forbice tra ricchissimi e poverissimi, ma il fatto nuovo è che i primi non hanno bisogno di alcuna rappresentanza politica, perché di fatto sono loro che governano il mondo. Si pensi alle lobby del petrolio, della finanza, delle armi, dei farmaci, dell’alimentazione. Gli altri, all’estremo opposto, sono talmente poveri e derelitti da non avere la benché minima forza di organizzarsi, o rivendicare alcunché. In mezzo ci stanno i sottomessi, una enorme classe media di piccolo-borghesi omologati. Alcuni soddisfatti del proprio status, altri insoddisfatti o indifferenti, comunque tutti incapaci di avere un ruolo o di incidere sulla politica della nazione”.
E quindi, cosa sta succedendo in Italia?
“Una supremazia dei partiti che non ha più ragion d’essere, e quindi non più tollerabile. Oggi i partiti rappresentano tutti e nessuno, perché non esistono più le classi sociali. Per cui sono diventati permeabili alle lobby, che li finanziano e che possiamo considerare gli unici soggetti ad essere veramente rappresentati in parlamento. Per questo la gente si disaffeziona alla politica, lasciando campo libero ai partiti, che sono gli unici detentori delle leve del potere, tanto che so-no loro stessi che decidono chi deve andare in parlamento e chi no. Mi dica lei, Narduccini, se questo di fatto non rap-presenti un regime autoritario!”.
Poco fa, lei diceva che, più i cittadini stanno lontani dalla politica, più i partiti fanno la parte del leone.
“È giusto e sacrosanto che i cittadini stiano lontani da questa politica. Esercitare il diritto di voto, oggi, significa fare il gioco dei partiti, essere loro complici nel mandare in parlamento gente scelta da loro, e nel loro esclusivo interesse, non certo nell’interesse dei cittadini. Del resto, diceva Mark Twain, “se le elezioni servissero a qualcosa, non ce le lascerebbe-ro fare”. Se le elezioni sono una presa in giro, perché i cittadini dovrebbero andare a votare?”.
Ma come fare, allora, per invertire questo circolo vizioso?
“Semplice, ma nello stesso tempo complicato. Bisogna limitare l’ingerenza dei partiti nelle istituzioni. Ma come farlo, si chiederanno i lettori, se le regole se le scrivono i partiti stessi? Serve più democrazia diretta, perché i cittadini sono sicuramente più capaci dei signori al potere, di amministrare la cosa pubblica. C’è ancora un’arma che la Costituzione mette nelle mani dei cittadini, che è il referendum abrogativo. Bisogna abrogare, prima di tutto, la legge elettorale, fatta nell’interesse esclusivo dei partiti, che mandano al potere chi vogliono loro. Occorre una legge elettorale fatta di collegi dove si sfidano due o più candidati, e non una legge con la quale i partiti scelgono le persone da mandare in parlamento, e gli elettori ne determinano solo la quantità, in proporzione ai voti ottenuti da ciascun partito. Occorre, in poche parole, che i cittadini si riapproprino del loro diritto di scegliere i candidati al posto dei partiti, che poi li dovrebbero rappresentare in parlamento. Perché oggi, ciò che fa la differenza sono le persone, e non i partiti”.
Penso si riferisca ai cittadini comuni, e non agli affiliati ai partiti politici.
“Mi riferisco alle donne e agli uomini liberi, per intenderci quelli che dovrebbero rappresentare i cittadini in parlamento senza vincoli di mandato, come vuole la nostra Costituzione”.
Ammettiamo che, con il referendum, si riesca a superare l’attuale sistema elettorale. Una volta demolito il vecchio sistema, come fare per cambiare le regole del gioco?
“Occorre scuotere la società civile. È un problema di coscienza collettiva, che non è la somma, ma la sintesi delle co-scienze individuali, come diceva Durkheim. Se il sistema è malato e non funziona, e non mi riferisco solo al sistema elettorale, ma all’intero sistema di potere, non servono cure palliative che promettono più moralizzazione, da un lato, e maggiore coscienza civica, dall’altro, per portare più cittadini alle urne. Serve uno scossone forte al sistema, che superi una volta e per tutte la disaffezione della gente alla politica, e che faccia diventare i cittadini i veri protagonisti, e non semplici strumenti al servizio dei partiti. Occorre invertire i ruoli, ponendo i partiti al servizio dei cittadini e non viceversa”.
Tutto questo è chiaro, onorevole. Ma, torno a chiederle, come fare per scardinare l’intero sistema di potere, in Italia?
“Occorre un’eutanasia del sistema! Bisogna staccare la spina una volta e per sempre ad un malato terminale, tenuto artificialmente in vita da uno Stato che si identifica nei partiti. Lo so che è difficile, caro Narduccini, perché chi dovrebbe staccare la spina in realtà è lo stesso malato terminale, che non è così sciocco da volersi suicidare. Ma mi faccia fantasticare, solo per un momento. Mi faccia partire dal nuovo, da come potrebbe essere rifondato il sistema dopo il big bang. Come arrivarci lo vedremo insieme, perché è necessaria anche la collaborazione di voi giornalisti. Lo so che è un sogno, ma mi faccia sognare, per un attimo, come i bambini, perché un vecchio come me può permettersi pure, qual-che volta, di sognare ad occhi aperti”.
Mi racconti il suo sogno, allora.
“Partiamo da un semplice ragionamento. La politica è fatta di scelte, la prima su tutte è quella di provare a spendere nel modo migliore i soldi dello Stato, che i cittadini contribuiscono a finanziare pagando le tasse. Le altre scelte riguardano il come tutelare la salute dei cittadini, come difenderli dai pericoli interni ed esterni ai confini dello Stato, come informarli ed istruirli, garantendone nel modo migliore i diritti al lavoro ed al benessere individuale e collettivo. Le scelte politiche dovrebbero compiersi sempre nell’interesse generale, dei più, e non per soddisfare interessi particolari di pochi. Un tempo i partiti, come i sindacati, servivano a garantire gli interessi di classi di persone, o di lavoratori. Quelli erano i tempi delle scelte ideologiche, dei grandi ideali in cui si confrontavano diverse mentalità e stili di vita, a cui si confacevano diverse e spesso contrapposte forme di stato e di governo. Abbiamo detto che oggi le ideologie non esistono più e, quindi, le scelte si reggono solo sulle idee, sulle buone idee, e non sugli ideali, o sugli idealismi. Non abbiamo bisogno di politici idealisti e mistificatori”.
Potere alle idee, dunque. D’accordo, ma su quali gambe dovrebbero camminare, queste idee?
“Chi lo ha detto che le migliori idee siano quelle dei politici di professione, e non anche quelle dei semplici cittadini? C’è bisogno di gente colta e preparata al comando, non di abili strateghi, esperti di marketing o, peggio ancora, di maghi del compromesso. C’è bisogno di un governo dei cittadini, e per far questo occorre espellere i partiti dalle istituzioni. E glielo dice uno che è stato segretario del partito di maggioranza per cinque anni di fila. Sogno un parlamento senza maggioranze e opposizioni, dove gli eletti si confrontano senza tatticismi e pregiudizi, dove le proposte di legge non hanno il colore politico di chi le presenta, né la possibilità di essere approvate ad opera dei soggetti che ne beneficeranno, o insabbiate da quelli che ne subirebbero gli sgraditi effetti. Sogno un parlamento dove regnano le idee, e non il peso politico di chi le rappresenta”.
Per arrivare ad un governo dei cittadini bisogna fare entrare i cittadini, quelli veri, in parlamento.
“Appunto! E siccome non mi faccio illusioni che il referendum riesca ad abrogare la legge elettorale, né che il parla-mento ne approvi una nuova che tolga ai partiti la prerogativa di scegliere i candidati, ho pronto un piano “B”. Una lista dei Cittadini, un contenitore elettorale dove si ritrovano uomini e donne portatori di idee proprie, originali e innovative, sulle materie più svariate, dalla ricerca scientifica all’economia, dalla difesa all’ambiente, dall’istruzione alla imprenditoria, e via discorrendo. Mi creda, c’è tanta gente intelligente e preparata in Italia, voglio finalmente l’élite al potere! Una volta eletti, la sintesi – ricordi Durkheim – e non la somma delle loro idee, sarà il programma di governo dei Cittadini. Una volta eletti in parlamento, i Cittadini agiranno come un cavallo di Troia, per scardinare una volta e per tutte il sistema della partitocrazia”.
Non è cosa da poco! Immagino che un simile traguardo debba avvenire per gradi.
“La lista dei Cittadini, all’inizio, funzionerà come un normale partito politico, secondo le attuali regole del gioco, che mandano in parlamento un numero di eletti in proporzione ai voti ottenuti dalle liste di appartenenza”.
A quale percentuale potrebbe puntare in parlamento, alle prossime elezioni, secondo lei, la sua lista dei Cittadini?
“Avrebbe la maggioranza assoluta, ne sono certo! Facciamo due semplici calcoli, io e lei, insieme. A quanto ammonta oggi l’astensionismo? Poco fa lei diceva che un cittadino su due non va a votare. Dunque, siamo al cinquanta per cento. E lei crede che di fronte ad una iniziativa del genere, almeno la metà dei delusi dalla politica non punterebbe sul-la lista dei Cittadini? Mettiamoci poi tutti quelli che ancora votano i partiti turandosi gli occhi, un altro venticinque per cento. Non siamo già ad almeno un cinquanta per cento abbondante? Le dico io chi continuerebbe a votare i partiti: li voterebbero solo tutti quelli che fanno parte del sistema – neanche i loro amici e parenti -, e tutti quelli che ancora han-no un vantaggio dai loro sporchi giochi di potere!”.
Cosa dovrebbe fare il nostro cavallo di Troia, una volta in parlamento?
“Rivoltare il sistema come un calzino! Invertire l’ordine dei fattori. Eleggibilità solo per chi è fuori dal sistema, in-compatibilità tra cariche pubbliche e private, abolizione di società a partecipazione pubblica, enti e consigli di amministrazione. Via gruppi e commissioni dal parlamento e dai consigli comunali e regionali; non servono più, se i partiti escono fuori dalle assemblee elettive. Le decisioni si prendono solo a maggioranza, che non è fatta da quelli che vinco-no le elezioni, partiti o coalizioni che dir si voglia. Nel mio parlamento gli eletti vincono tutti, non esistono opposizioni che devono a tutti i costi rompere le scatole al governo ed alla maggioranza. Niente rancori, vendette e ostruzionismi, gli eletti stanno lì per servire la nazione, per fare le leggi nell’interesse degli italiani. Si parte dalle proposte, se sono buone passano perché sono buone, non perché le propone pinco pallino per fare un favore agli amici suoi. Se non sono buone non passano, perché puoi corrompere uno, dieci, venti deputati, ma non un intero parlamento. Oggi, invece, è sufficiente che il capo di un partito dia l’ordine si suoi di votare una legge, perché quella legge passi anche se è una porcheria e serve solo agli amici, se non agli stessi parlamentari che l’hanno votata. Non vogliamo imprenditori, sindacalisti, lobbisti al potere, ma semplici cittadini colti, istruiti e di buona volontà, perché la legge deve essere generale e astratta, come ci insegnano all’università, non si rivolge ai destinatari con nome e cognome”.
Il suo sogno è molto interessante, onorevole Palandrano. Ora, però, io le do un pizzicotto, lei si sveglia e le faccio l’ultima domanda: ha già in mente il nome del cavaliere che dovrebbe condurre il cavallo a destinazione, dentro le mura del palazzo?
“Le persone in grado di portare avanti una lista dei Cittadini non verranno dal mondo della politica, ma dalla società civile. Non uno, ma tanti nuovi Cavalieri salveranno l’Italia dalla deriva dei partiti, ma non saranno cavalieri del lavoro, né personaggi pubblici, perché abbiamo detto che, chi entra in politica, non può appartenere contemporaneamente al mondo dell’industria, del commercio, delle banche, dell’università, né del sindacato, del giornalismo, della televisione, della magistratura, e via dicendo. Devono scegliere, o la politica o la professione”.
Può tracciare un identikit dei leader che potrebbero mettersi a capo della sua nuova lista dei Cittadini?
“Forse non sono stato chiaro. Non stiamo parlando di un nuovo movimento politico, altrimenti scadremmo nuova-mente nella partitocrazia. La lista dei Cittadini è un contenitore, è l’insieme di più persone armate di buona volontà. Una volta eletti in parlamento, i Cittadini si riconoscono nel gruppo dei Cittadini, concepito come un’agorà, uno spazio fisico e metafisico dove le persone si collocano alla pari e si scambiano le idee. Se avessi parlato di un nuovo movimento, per renderlo innovativo potrei dirle che il suo leader dovrebbe venir fuori da un blog, da un social network, come li chiamate voi, insomma dalla rete. Ma non è questa la mia idea di rinascimento!”.
In vista delle prossime elezioni politiche, ci dovrà pur essere qualcuno che crei la lista dei cittadini, che diffonda l’idea tra la gente, e che ne raccolga le adesioni?
“Bisogna diffondere al più presto l’idea della lista dei Cittadini, attraverso la rete, ma anche tramite i giornali e le televisioni. Mi appello a voi giornalisti e a tutti quelli che credono nel cambiamento. Conto su di voi, questo è il vostro momento”.
Foto copertina: Copertina libro