Per qualche settimana abbiamo sentito parlare della Giordania e dei disordini a Palazzo Reale, di trame volte a sovvertire l’ordine costituito ai danni dell’attutale Re Abdallah. Ad oggi sono noti per certo solo pochi, non necessariamente significativi, dettagli di una disputa che ci fa però chiaramente intendere che il Paese è frammentato e che la Monarchia è indebolita.


 

Cosa possiamo dire sugli arresti e la trama a palazzo?

Nella giornata del 3 aprile, con un’operazione congiunta tra forze armate e intelligence giordana sono state arrestate circa una ventina di persone[1].
L’accusa è grave: essere coinvolti in un piano destabilizzante ai danni di Re Abdallah. Tra i nomi di spicco anche fedelissimi, come il capo d’ufficio del Re Yasser al-Majali, l’ex capo della Royal Court e direttore d’ufficio reale Bassem Ibrahim Awadallah, e non ultimo, il chiacchierato  Prince Hamzeh Bin Hussein fratello dell’attuale Re e ex-erede al trono.

Si è parlato molto del Principe Hamzeh tacciato di voler rubare il trono al fratello dalle narrazioni “catchy” dei media internazionali. È il caso di dire che non possiamo escludere nessuna opzione.  Non vi sono prove dettagliate della “plot” di cui si parla poiché i dettagli sul dossier a Palazzo sono estremamente riservati e non è da escludere siano addirittura sfuggiti di mano, facendo involontariamente rumore più del previsto e mostrando delle debolezze.

Ad ogni modo, Hamzeh dopo gli arresti ha comunicato attraverso dei video svariati messaggi alla popolazione sostenendo che l’accusa che gli veniva mossa fosse falsa e negando la partecipazione a qualsiasi tipo di cospirazione contro il fratello; ripetendo che le sue critiche e le sue denunce muovessero da cause giuste volte al bene del Paese che invece erano state ingiustamente silenziate. Secondariamente, ha espresso il suo disdegno per gli arresti e ha sostenuto di trovarsi anch’egli in condizione di arresto domiciliare ordinato dal fratello – arresto negato dai Servizi e dalle Forze Armate Giordane[2] – insieme all’ordine ricevuto di non comunicare più con l’esterno[3]. La crisi si è risolta dopo circa 48 ore dall’inizio delle operazioni, per intercessione dello Zio Hassan, Hamzeh avrebbe firmato una lettera in cui giurava fedeltà al Re e anteponeva a qualsiasi questione la Patria e la sua stabilità[4].

Ad oggi, la crisi è più che rientrata. La maggior parte delle persone arrestate sono state rilasciate il 22 Aprile, ad eccezione di due ufficiali, Bassem Awadallah e Sharif Hassan bin Zaid che, a causa del loro “grado di incitamento, che differisce dai restanti imputati che sono stati rilasciati”, sono ancora in stato d’arresto come riportato dalla Petra News Agency[5].

Gli arresti sarebbero avvenuti dopo circa un anno di monitoraggio e sorveglianza da parte dei servizi segreti, dell’esercito e della polizia[6] per prevenire un disordine imminente che il Principe Hamzeh avrebbe utilizzato a suo favore dati i tumulti all’interno del Paese. A fine marzo vi erano state delle proteste relativamente importanti che avevano coinvolto diverse città, in seguito al decesso di una decina di persone morte dopo aver contratto il Covid-19 nell’ospedale di al-Salt (un cittadina a 30km ad ovest di Amman) a causa della carenza di forniture mediche[7].

Quello che sappiamo per certo resta poco. Questo episodio mette in luce un elemento rilevante: la presenza di divergenze nella gestione della governance nel Paese che riflettono le già acute frammentazioni locali. L’immagine falsata della Giordania come “porto sicuro” in Medio Oriente non deve illuderci a pensare che la situazione interna sia speculare alla facciata che il Paese si vuole dare per svariate ragioni.

Il Paese allo specchio: l’immagine interna

La Giordania è un paese molto più complicato di quanto non sembri dall’esterno. Per una serie di ragioni che andremo ad elencare tende a dare un’immagine di sé semplificata e rassicurante.

La piccola monarchia Hashemita nasce dal sodalizio tra Impero Britannico e tribù Hashemite originarie dell’Hijiaz (oggi Arabia Saudita) che danno origine a questo stato cuscinetto tra la Palestina, l’Arabia Saudita e il Levante.
La Giordania oggi confina infatti con Israele e West Bank, Siria, Iraq e Arabia Saudita. All’indomani della sua Indipendenza (1946) si ritrova un numero esorbitante, non destinato a calare, di Palestinesi reduci dalla creazione dello Stato di Israele (1948). L’afflusso di così tanti profughi,  ha portato alla formazione di un Paese – costituito morfologicamente da deserto e da pochissime risorse energetiche – ricco di discrepanze che lo hanno reso fin da subito dipendente dall’aiuto esterno di donors e automaticamente facilmente pilotabile da questi ultimi.
Prima dipendente dal sostegno Londra, poi da quello di Washington per la Giordania resta estremamente necessario l’appoggio statunitense. Gli Stati Uniti a loro volta necessitano di un paese stabile nella regione, soprattutto se confinante con Israele. La dipendenza con le potenze Occidentali muove dunque su basi politiche ed economiche e vede l’afflusso di grandi capitali che provengono anche dalle Monarchie del Golfo, necessari alleati regionali, economici e politici. Non ultimo, a complicare la posizione del Regno le difficoltà dovute ai conflitti che hanno martoriato la regione: l’interminabile conflitto Arabo-Israeliano, che ha portato con sé non solo profughi ma anche sommovimenti interni, come gli episodi di Settembre Nero negli anni Settanta[8], combinati con le relazioni problematiche con Tel-Aviv che hanno visto una pacificazione ufficiale solo nel 1994 con gli accordi di Pace firmati tra Israele e Giordani; le guerre nel Golfo (1990-1991 e 2003-2011) a cui si è susseguita la guerra in Siria (2011- in corso) e l’ascesa di gruppi di insorgenza come al-Qa’ida e lo Stato Islamico, hanno creato un teatro di difficile stabilità, dai grandi afflussi migratori e di profughi e una consequenziale necessità di aumento di aiuti umanitari e securitari.

Ritornando alla morfologia interna, le tribù locali insieme a quelle Hashemite restano lo zoccolo duro della popolazione originaria par excellance. Questa divisione interna ha aumentato le polarizzazioni in merito alla distribuzione economica e sociale delle risorse. Infatti le tribù originarie, i cosiddetti East-Bankers a cui Hamezh è molto caro, occupano di ruoli di rilievo e di pubblico accesso. Mentre ai West-Bankers, discendenti palestinesi e palestinesi residenti nel Regno, viene riservata la fetta di mercato privato.

Queste fratture interne, da quelle macro a livello regionale, a quelle più locali con impatti altrettanto cospicui sulla coesione sociale, stanno portando a delle forti frizioni interne da tempo. D’altro canto, la classe dirigente non sta dando risposte ai suoi cittadini: sul piano della governance ci sono più fronti aperti.
In primis, la disaffezione dei giordani alla politica, tempestata da sprazzi, che a volte si manifestano in modo muscolare, di volontà di cambiamento radicale e di emancipazione dai processi stagnanti interni al Paese. In secondo luogo, ad influire vi è il calo nella fiducia nelle istituzioni che è alle stelle confermato e nutrito dalle inefficienze politiche, economiche e sociali che i giordani ricevono come risposta dall’establishment. Non ultimo, negli ultimi decenni e di certo dalle Rivoluzioni del 2011 –  che la Monarchia ha elegantemente glissato non senza vedere proteste e richieste di rinnovamento –  si è parlato spesso di democratizzazione che però resta un processo dallo sviluppo irrisorio nei fatti.

Il tutto si combina con una popolazione Giordana sempre più consapevole e istruita che vorrebbe poter scalzare un sistema stagnante e cristallizzato dalla corruzione interna, dai nepotismi e dalla poca possibilità decisionale per riscattarsi positivamente. Il livello di frustrazione interno al Paese infatti è altissimo con dei tassi di disoccupazione elevanti che con la pandemia sono duplicati. Come coniugare dunque un panorama tetro e che ribolle dall’interno con un’immagine di oasi pacifica che la Giordania occupa a livello di reputazione internazionale?

La Giordania è quindi stabile?

L’immagine di un Paese stabile non è totalmente errata. La Giordania è un paese in pace e che tutto sommato, attraverso le pressioni poste dalla popolazione e dall’establishment, è sempre riuscito a combinare i propri interessi con quelli dei suoi alleati ricevendo aiuti. Dunque, attraverso un delicato gioco di interessi dove la Monarchia strumentalizza a suo favore il ruolo di necessario attore stabile nello scacchiere regionale, la Giordania è riuscita effettivamente a restare in equilibrio senza però risolvere i problemi strutturali.

Il Regno Hashemita è molto dipendente dalla sua immagine esterna piuttosto che da quella interna poiché ha bisogno che gli investitori abbiano fiducia nelle sue capacità più di quanto la classe dirigente non abbia bisogno del supporto dei cittadini. Non ci riferiamo solo a grossi investitori di impresa o ai donors statali, ma anche alle singole collettività come i turisti, le partnership interculturali e universitarie che si reggono sulla “buona reputazione” del Paese. Allo stesso tempo, è proprio questo gioco di specchi ad aver creato un vero divario contestuale, portando ad una positività che è più forte da un punto di vista esterno che interno.

La presenza di una gioventù e, nel complesso di una società, altamente istruita è un grande risultato che diventa però pericoloso se non si è in grado come Stato di fornire posti di lavoro e opportunità. A questo va aggiunta la drammatica situazione dell’ultimo anno dovuta alla pandemia e il taglio a mercati precari quanto fondamentali di economia informale su cui il paese si regge. L’economia della Giordania sta crescendo lentamente, il turismo resta un settore critico e fiorente, contribuendo al 19,2% del PIL del paese nel 2018 [9]. Il 2019 è stato uno degli anni più floridi da questo punto di vista con più di 1 milione di visitatori a Novembre solo a Petra[10].  Durante la pandemia però i cali sono stati esorbitanti.

Le imprese giordane hanno provato a ridurre i costi il più possibile fino a quando l’economia non avesse visto una ripresa[11]. Secondo uno studio del Centro di Studi Strategici (CSS) dell’Università di Giordania, nel 2020 il 67% dei datori di lavoro giordani ha considerato la possibilità di procedere a licenziamenti cospicui se la chiusura fosse continuata per un periodo lungo[12]. L’ultimo anno, inoltre, ha visto un deterioramento delle condizioni di lavoro soprattutto per categorie fragili come quella dei rifugiati siriani.[13]

In conclusione, la Giordania vuole proporre un’immagine positiva di sé e poco problematica considerata la reputazione che l’area mediorientale tristemente, e a tratti anche indebitamente, possiede. Ne ha estremamente bisogno ergendo gran parte della propria economia sul turismo. D’altro canto, di estrema urgenza è la risoluzione delle questioni strutturali che continua a sviare da anni e che potrebbe continuare bilanciare senza arrivare a una risoluzione nel futuro prossimo a scapito della popolazione.


Note

[1] S. Al-Khalidi, “Jordan says prince liaised with ‘foreign parties’ over plot to destabilise country Reuters”. Reuters. 4 Aprile 2021.  In: https://www.reuters.com/article/uk-jordan-security-idUKKBN2BR0DK
[2]R. F. Sweis, I. Kershner, N. Kulish. “Jordan Arrests High-Profile Figures, and Ex-Crown Prince Cries Foul”. New York Times. 3 Aprile 2021. In:https://www.nytimes.com/2021/04/03/world/middleeast/jordan-security-arrests.html
[3] Jordan’s Prince Hamzah releases video saying he’s under house arrest. The Sidney Morning Herald. 4 Aprile 2021. In: https://www.smh.com.au/world/middle-east/jordan-prince-says-he-s-under-house-arrest-in-video-20210404-p57gd2.html
[4]“Prince Hamzeh vows loyalty to King, Hashemite legacy”. The Jordan Times. 6 Aprile 2021. In:  https://www.jordantimes.com/news/local/king-entrusts-prince-hassan-deal-issue-prince-hamzeh-%E2%80%94-royal-court
[5]“SSC releases 16 defendants in the ‘sedition’ case upon King’s directives” In: Jordan News Agency (Petra)
[6]“N. Bulos. “Jordan’s powerful tribes on collision course with monarchy over alleged royal plot” . Los Angeles Times. 14 Aprile 2021. In: https://www.latimes.com/world-nation/story/2021-04-14/jordan-royal-sedition-plot-tribesmen-arrested-raids?fbclid=IwAR0fE1Qlg_tX6AdQR_mjuOiYDU49jvcwBdBsMQFK9WxGjyRCIvcypITdfx0
[7] France25 “Protests in Jordan after Covid-19 patients die due to hospital oxygen shortages”. 15 Marzo 2021. In: https://www.france24.com/en/middle-east/20210314-protests-in-jordan-after-covid-19-patients-die-due-to-hospital-oxygen-shortages
[8]G. Macario, “Il Settembre Nero: un tasto (ancora) dolente per i rapporti tra comunità in Giordania”. Opinio Juris. 2 Aprile 2019. In: https://www.opiniojuris.it/il-settembre-nero-jordan/
[9] Knoema. 2019. “Jordan Contribution of Travel and Tourism to GDP (% of GDP), 1995–2018.” World Data Atlas. In: https://knoema.com/atlas/Jordan/topics/Tourism/Travel-and-Tourism-Total-Contribution-to-GDP/Contribution-of-travel-and-tourism-to-GDP-percent-of-GDP.
[10] Roya News. “Petra Celebrates 1 Million Tourist within a Year.” Roya News, 21 November 2019. 2019. In: https://en.royanews.tv/news/19272/Petra-celebrates-1-million-tourist-within-a-year
[11] L. F. Alajlouni, “Jordan’s Battle With Coronavirus Is yet to Start”. ISPI. 9 aprile 2020 In: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/jordans-battle-coronavirus-yet-start-25714
[12] Ibidem.
[13]Impact of Covid-19 on workers in Jordan a rapid assessment. (n.d) ILO In:https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/—arabstates/—ro-beirut/documents/briefingnote/wcms_743393.pdf


Foto copertina:This photo from the Royal Court twitter account, shows Jordan’s King Abdullah II, center, Prince Hamzah bin Al Hussein, second left, and others during a visit to the tomb of the late King Hussein. Abdullah II and his half brother Prince Hamzah have made their first joint public appearance since a palace feud last week. Members of the Jordanian royal family Sunday marked the centenary of the establishment of the Emirate of Transjordan, a British protectorate that preceded the kingdom. (Royal Court Twitter Account via AP)

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Giulia Macario
Nata in Italia, attualmente studia Ricerca Avanzata in Criminologia Internazionale (IMARC) presso l’Erasmus University e la Kent University. Precedentemente ha vissuto un anno in Giordania, ad Amman, dove ha lavorato come ricercatrice e tirocinante presso “Arab Institute for Security Studies” (ACSIS) e dove ha studiato la lingua araba presso Qasid Institute. Nel 2018 ha iniziato il Master in Middle Eastern Studies (MIMES) offerto dall’ Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (ASERI - Università Cattolica del Sacro Cuore) a Milano. La sua tesi “WMD, al-Qa'ida and the Hashemite Kingdom of Jordan: response to Violent Extremism” analizza la Giordania come caso studio nella difesa attuata contro l’estremismo violento, sia dal punto di vista strategico militare che dal punto di vista della contro-narrativa, prevenzione e riabilitazione. Nel 2017 ha ottenuto due diplomi presso l'Istituto per gli di Studi di Politica Internazionale (ISPI) in "Geopolitica e Sicurezza Globale" e "Crisi ed Emergenza Umanitaria". Precedentemente ha conseguito la laurea in Studi Internazionali all' Università di Trento con una tesi intitolata "I media nella galassia jihadista: Analisi e comparazione dei magazines di al-Qa ‘ida e delle Stato Islamico". Giulia è interessata particolarmente ai movimenti salafiti-jihadisti, all'islam politico con una particolare attenzione alla prevenzione e alla lotta contro l'estremismo violento e il terrorismo