Da qualche mese assistiamo ad una serie di dibattiti e impegni politici e normativi atti ad indurre la popolazione a perseguire la scia del “Si, vacciniamoci”. Ma quali sono gli effetti sul mercato del lavoro?


Questo è un tema che non ha trovato pace né all’interno del dibattito pubblico né nella legislazione, poiché come vediamo il legislatore torna frequentemente sull’argomento modificando le disposizioni relative alla certificazione verde, strumento soft introdotto per indurre la popolazione a vaccinarsi in assenza di un obbligo normativo specifico.
Ma cos’è questo certificato? Introdotto inizialmente solo relativamente a determinati ambienti così come indicato nelle misure contenute nel decreto legge n. 105 del 23 luglio, con il quale è stata stabilita per la prima volta l’obbligatorietà della carta verde (o come i più moderni diranno green pass), con decorrenza 06 agosto 2021 per l’accesso ai pubblici esercizi esclusivamente al chiuso, spettacoli all’aperto, musei e similari, piscine, palestre e similari, centri e parchi termali o di divertimento, centri culturali, sociali o ricreativi, sale gioco, scommesse bingo e casinò e concorsi pubblici.
Nessuna disposizione per i trasporti pubblici, nonostante quest’ultimo sia un contesto quanto mai prolifico per la diffusione del virus.
In seguito, con le disposizioni del Decreto Legge n. 127/2021, entrato in vigore mercoledì 22 settembre, è stato previsto che i datori di lavoro privati debbano assicurarsi che i propri dipendenti per accedere ai luoghi di lavoro debbano possedere ed esibire su richiesta la certificazione verde. Tale disposizione è valida dal 15 ottobre 2021 al 31 dicembre 2021, data eventuale della cessazione dello stato di emergenza dovuto al Covid-19. I datori di lavoro dovranno definire le modalità operative per l’organizzazione delle verifiche del possesso della carta verde da parte dei lavoratori, stabilendo se procedere in prima persona o delegando un soggetto ad hoc per effettuare tali controlli.
Ricordiamo che le condizioni in base alle quali la certificazione verde viene rilasciata sono indicate in maniera puntuale nell’art. 9 del D. L. 52/2021 che dispone che il green pass è valido a seguito «di avvenuta vaccinazione contro il Sars-CoV-2 o guarigione dall’infezione da Sars-CoV-2, ovvero l’effettuazione di un test molecolare o antigenico rapido con risultato negativo al virus Sars-CoV-2».
L’obbligo di possesso ed esibizione del Green pass si applica a tutti i soggetti che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato, ai fini dell’accesso nei luoghi in cui la predetta attività è posta in essere, fatta eccezione per i soggetti esenti dalla campagna vaccinale.

Gli oneri del controllo sembrano ricadere totalmente sul datore di lavoro. Lo strumento per effettuare le verifiche consiste in un’apposita App messa a disposizione dal Ministero attraverso la quale si scannerizza il Qr code e che restituisce come risultato la validità o meno della carta verde. Nessun altro dato mostra e nessun dato registra. Pertanto, al fine di evitare sanzioni, è altamente consigliata la tenuta di un registro ad hoc delle verifiche effettuate, firmato dal soggetto incaricato del controllo. In riferimento a quest’ultimo, il “controllore” può essere il datore di lavoro o un suo delegato individuato fra i lavoratori stessi.


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La violazione degli obblighi di controllo dell’accesso, e comunque la mancata adozione delle misure organizzative nel termine previsto del 15 ottobre 2021, è punita ai sensi dell’art. 4, commi 1, 3, 5 e 9 del D.L. n. 19/2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 35/2020, che prevede sanzioni da un minimo di 400 ad un massimo di 1.000 euro. Per l’accesso ai luoghi di lavoro in violazione degli obblighi previsti, la sanzione è stabilita da 600 a 1.550 euro.
Le sanzioni sono irrogate dal Prefetto, al quale sono trasmessi gli atti relativi alla violazione dai soggetti incaricati dell’accertamento e della contestazione delle violazioni.
La norma così come è stata concepita ha lasciato molte zone ombra dalle quale sono nati dubbi e perplessità se non ultimo gli scioperi dei portuali di Trieste. Le modalità organizzative di questo controllo sono lasciate interamente in mano al datore di lavoro.
La verifica, che può essere condotta anche a campione, non è ben definita dalla legge nelle sue modalità operative lasciando un po’ tutto anche alla libera interpretazione e alla libera organizzazione delle diverse imprese. Una delle tante questioni sollevate rilevava nei confronti dei lavoratori interinali per i quali non era chiaro chi dovesse porre in essere la verifica, se l’utilizzatore o se l’agenzia di somministrazione dovesse effettuare una verifica preventiva con tutte le responsabilità del caso che sarebbero nate a cascata. Anche se tale punto non è stato ancora completamente chiarito, la logica vorrebbe che il controllo restasse in capo all’utilizzatore, colui il quale si appropria giuridicamente ed economicamente della prestazione lavorativa.
Ulteriori problemi sono nati anche in relazione ad altre categorie di lavoratori come quelli appartenenti al settore autotrasporti e ancor di più ai portuali di Trieste, anche in riferimento a chi provenisse dell’estero[1]. In materia sono stati fatti diversi chiarimenti come ad esempio quello dato a mezzo dalla nota del Ministero delle Infrastrutture di concerto col Ministero della salute[2], con la quale è stato chiarito che l’autotrasportatore che non abbondona il mezzo e sosta per il solo tempo dello scarico merci non è tenuto a mostrare il certificato verde[3].
Altro dubbio, poi chiarito a mezzo delle FAQ del Governo, era relativo al controllo a campione che si poteva effettuare. Ebbene, il Governo ha informato che se il green pass scade durante l’orario di lavoro, il lavoratore non è soggetto ad alcuna sanzione, il datore di lavoro non sarebbe tenuto ad allontanarlo ma deve lasciargli terminare la prestazione per poi andare via a fine orario di lavoro.
Con l’ultimo decreto legge n. 139/2021, all’articolo 3, il legislatore concede al datore di lavoro il diritto di richiedere al lavoratore in maniera preventiva il possesso del certificato verde alla luce di esigenze organizzative in base alle quali sarà necessaria o meno la sua presenza e l’organizzazione tutta dell’attività lavorativa in oggetto.
Questi continui interventi legislativi o meno, i quali andrebbero ad integrarsi a vicenda o comunque completando ciò che è stato cominciato con il decreto legge 52/2021, mettono in campo un composto normativo farraginoso palesando una continua mal organizzazione e rincorsa alla gestione del certificato verde.
Uno fra tutti, l’idea che si è fatto spazio nell’immaginario collettivo in maniera del tutto errata è che l’obbligo di munirsi della certificazione verde sia uguale o quantomeno simile all’obbligo di vaccinazione per alcuni lavoratori. E’ bene ricordare che l’obbligo vaccinale previsto per legge è vigente solo per coloro i quali svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche o private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali[4]. Al contrario, il D. L. n. 52/2021 disciplina l’utilizzo delle certificazioni verdi come quelle certificazioni comprovanti lo stato di avvenuta vaccinazione contro il Sars-CoV-2 o guarigione dall’infezione da Sars-CoV-2, ovvero l’effettuazione di un test molecolare o antigenico rapido con risultato negativo al virus Sars-CoV-2.
Ancora, da un punto di vista della tutela della privacy, il Garante ha sollevato diversi dubbi e delle vere e proprie opposizioni a mezzo del “Provvedimento di avvertimento in merito ai trattamenti effettuati relativamente alla certificazione verde per Covid-19 prevista dal D. L. n. 52/2021”. Il Garante aveva affermato che risultava «non proporzionata rispetto all’obiettivo di interesse pubblico, pur legittimo, perseguito, in quanto non individua puntualmente le finalità per le quali si intende utilizzare la certificazione verde e, in ossequio ai principi di privacy by design e by default, le misure adeguate per garantire la protezione dei dati, anche appartenenti a categorie particolari, in ogni fase del trattamento, e un trattamento corretto e trasparente nei confronti degli interessati (artt. 5, 6, par. 3, lett. b), 9, 13, 14, 25 e 32 del Regolamento)”. A tal proposito, infatti, aveva specificato che “nel progettare l’introduzione della certificazione verde, quale misura volta a contenere e contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19, si ritiene che non si sia tenuto adeguatamente conto dei rischi, di seguito illustrati, che l’implementazione della misura determina per i diritti e le libertà degli interessati, e, quindi, non siano state adottate le misure tecniche e organizzative adeguate per attuare in modo efficace i principi di protezione dei dati, integrando nel trattamento degli stessi le garanzie necessarie a soddisfare i requisiti previsti dal Regolamento (UE) 2016/679 e a tutelare i diritti degli interessati (art. 25, par. 1, del Regolamento)”. Tra le criticità sollevate dal Garante per la privacy vi erano la mancata consultazione dello stesso, l’inidoneità della base giuridica, la violazione del principio di minimizzazione dei dati, del principio di esattezza dei dati e del principio di trasparenza “non indicando in modo chiaro le puntuali finalità perseguite, le caratteristiche del trattamento e i soggetti che possono trattare i dati raccolti in relazione all’emissione e al controllo delle certificazioni verdi (artt. 5, par. 1, lett. e) e 6, par. 3, lett. b) del Regolamento)”. Inoltre, il Garante aveva specificato che risultava violato anche il principio di limitazione della conservazione “secondo cui i dati devono essere conservati in una forma che consenta l’identificazione degli interessati per un arco di tempo non superiore al conseguimento delle finalità per le quali sono trattati”. Nonostante i chiarimenti forniti dal Ministero della Salute, il Garante non ha ritenuto che le criticità sollevate fossero state superate e pertanto, in sede di conversione in legge del D.L. n. 52/2021, l’autorità ha fatto introdurre una riserva di legge statale per l’individuazione puntuale delle finalità per le quali possono essere utilizzate le suddette certificazioni verdi[5]
Lo scenario che va delineandosi è quanto più complesso possibile. Ad oggi non vi è un quadro normativo uniforme e univoco, il che porta non solo ad aggravare la posizione dei datori di lavoro nei confronti dei propri dipendenti ma anche a gravare sulla condizione sociale generale laddove il concetto di cittadino e lavoratore possa diventare sempre più labile. Non sono sicuramente gli scenari dei lavoratori esclusi dalle mense aziendali le ultime immagini che ricorderemo in quanto maggiormente le condizioni lavorative diverranno complesse, più costantemente vedremo nascere testi normativi lontani dalle realtà lavorative quotidiane che vanno a minare sempre più la solidarietà tra lavoratori e tra datori di lavoro e dipendenti.


Note

[1] ADAPT – Focus – Effetto greenpass nella vita delle imprese e nel mercato del lavoro, https://www.radioradicale.it/scheda/650563/adapt-focus-effetto-greenpass-nella-vita-delle-imprese-e-nel-mercato-del-lavoro
[2] Chiarimenti sulle vigenti disposizioni in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 nel settore dei trasporti.https://www.mit.gov.it/nfsmitgov/files/media/notizia/2021-0/Nota%20di%20chiarimento%20disposizioni%20per%20trasporto%20marittimo%20e%20autotrasporto.pdf
[4] Art. 4 del decreto legge n. 44 del 01 aprile 2021
[5] cfr. Benincasa G., Piglialarmi G., Green pass e rapporti di lavoro, Working Paper n. 7/2021


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