Gli scontri esplosi il 15 aprile a Khartoum, Omdurman e Bahri riflettono le consolidate tensioni politiche in Sudan. L’11 aprile scorso ha segnato il fallimento del processo politico in atto.
In quella data, dopo precedenti slittamenti, si sarebbe dovuto nominare il nuovo governo di transizione, ma il nodo cruciale da sciogliere, la riforma della sicurezza e l’integrazione delle Rapid Support Forces all’interno dell’esercito regolare ha fatto saltare gli accordi.


I protagonisti principali

Il Sudan è sconvolto da nuovi scontri militari. Dietro le violenze c’è la rivalità tra l’esercito sudanese e il gruppo paramilitare noto come RSF, acronimo di “Rapid Support Forces“.  Abdel Fattah al-Buhran, capo delle Sudanese Armed Forces (SAF), sebbene il suo attuale ruolo in Sudan, risulta un personaggio abbastanza sconosciuto. Figura tanto vitale quanto nascosta dietro il coinvolgimento del Sudan nello Yemen, fu a capo del coordinamento che nel 2015 inviò le truppe sudanesi a supporto della coalizione saudita nel conflitto yemenita. Nel 2019 si è recato in visita in Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia saudita, importanti donatori regionali che hanno contribuito, dopo la caduta di al-Bashir, con ingenti somme alle casse delle banche centrali sudanesi in cambio della tutela dei loro interessi nel paese africano. Nel febbraio 2020 ha incontrato Benjamin Netanyahu in Uganda, nell’intento di cancellare il passato antisionista a favore della normalizzazione dei rapporti con Israele, in linea con quanto stanno facendo Egitto ed Arabia saudita.
Per individuare il legame con il suo vice Hemetti bisogna fare un passo indietro. Ritorniamo al 2003, data che segna lo scoppio del conflitto civile in Darfur. Al-Buhran viene inviato come comandante delle forze regionali a combattere i gruppi armati insorti. Al-Bashir nel frattempo era intento a reclutare le milizie arabe janjaweed affinché supportassero le sue forze regolari.
La sua attenzione viene catturata da Mohammed Hamdan Dagalo, Hemetti, che ben presto diventa comandante. I janjaweed assieme a delle componenti delle SAF si macchieranno di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio, ancora oggi sotto la lente della Corte penale internazionale. Nel 2013 il presidente riformerà le milizie che diverranno le Rapid Support Forces ed Hemetti verrà nominato il loro comandante a cui verranno affidati compiti di guardia frontiera ma soprattutto di protezione della figura di al-Bashir e del suo regime.

Sviluppi politici e interruzione della transizione

Con la cacciata di al-Bashir nel 2019 in Sudan si apre un periodo politico e sociale piuttosto turbolento. All’indomani del golpe, i militari delle SAF di concerto con gli attori civili, questi ultimi riuniti nella Freedom and Change Coalition (FCC), collaborarono all’interno del Sovereign Council per stabilire un governo di transizione che guidasse il paese verso una forma di democrazia.
Se inizialmente le manifestazioni di piazza sembravano essersi calmate, con lo scorrere del tempo si riaccesero contro i militari al potere poiché questi sembravano ostacolare il processo di transizione. Di conseguenza al-Burhan, che inizialmente era in linea con i movimenti civili pro-democrazia contro il precedente leader, condurrà un colpo di stato obbligando il primo ministro Abdalla Hamdok alle dimissioni, grazie anche all’appoggio di Hemetti. Il 25 ottobre 2021 il potere è pienamente in mano ai militari, al-Burhan diventa leader de facto del Sudan e prosegue la collaborazione con il capo delle RSF.
Nel dicembre 2022 il montare delle proteste e la pressione internazionale imposero la realizzazione di un programma per la firma di un accordo quadro tra i golpisti, numerosi attori civili e diversi gruppi armati per restaurare il processo di transizione e lasciare il potere ai civili. Il patto che nascerà si baserà su cinque punti fondamentali: giustizia, riforma del settore militare, implementazione degli accordi di Juba del 2020, smantellamento delle strutture del vecchio regime, risoluzione della crisi nel Sudan orientale. In realtà non si giunse ad un risultato soddisfacente in quanto alcune parti si rifiutano di apporre la firma. All’interno della giunta compaiono le prime discordie, con Hemetti che condanna il golpe del 2021, mentre al-Buhran lo dichiara come necessario per il proseguimento del processo di transizione.
Il 25 marzo 2023 il Final Agreement Drafting Committee annuncia la bozza dell’accordo finale, ma nel frattempo i lavori preparatori sulla spinosa riforma della sicurezza falliscono. Non si riesce infatti a trovare un accordo per integrare le RSF nell’esercito regolare. Le forze armate sudanesi infatti proporranno un periodo di transizione di due anni, mentre le RSF rilanceranno allungando l’arco temporale a dieci anni. Questo mancato accordo ha fatto slittare la firma e ha innescato gli scontri nella capitale.

Leggi anche:

Interessi economici e presenza russa.[1]

Uscire vincitori dallo scontro è necessario per entrambe le fazioni che dietro le incomprensioni sulla riforma della sicurezza celano l’interesse per il mantenimento del potere politico e soprattutto quello economico. Nel giugno 2022 il Center for Advanced Defense Studies (C4ADS) ha pubblicato un report che ha evidenziato le reti clientelari dei militari e delle RSF all’interno dell’economia del paese. Le due più grandi banche sudanesi, attraverso organizzazioni di facciata, erano di fatto in mano ai due attori ed è emerso che gli affari non si limitano alle banche, ci sono prove di collusione anche in compagnie del settore agricolo e sanitario.[2]
Il deep state o stato profondo è stato rinvenuto anche nel settore minerario, nel quale si palesa lo zampino russo. Il Sudan è stato uno dei maggiori produttori di petrolio africano fino al 2011, quando l’indipendenza del Sud Sudan ha strappato a Khartoum quasi tre quarti dei giacimenti petroliferi. Le esportazioni si sono conseguentemente ridotte e dirottate verso il più intenso sfruttamento del settore aurifero, dal quale è emersa la penetrazione della Wagner. L’inchiesta de “Le Monde” in collaborazione con OCCRP (Organized Crime and Corruption Reporting Project) ha fatto emergere come la compagnia dal 2017, attraverso società e prestanome, ha stretto accordi con il governo sudanese per la cessione di oro in cambio di sostegno militare.[3]  In questa inchiesta emergono nello specifico legami con la famiglia di Hemetti.

Gli USA premono sugli alleati regionali: Egitto e Emirati Arabi Uniti (EAU)

Oltreoceano si esprimono preoccupazioni intorno alla questione sudanese, l’amministrazione Biden sta facendo pressione sugli alleati egiziano ed emiratino affinché convincano la giunta militare al cessate-il-fuoco e alla fine delle ostilità. L’accordo quadro del dicembre 2022 era stato inizialmente accolto dall’Egitto, ma sembra che il Cairo, per proteggere i suoi interessi nella regione, stia aprendo un’iniziativa politica parallela, al momento ostacolata dal FFC.
Nel gennaio 2023 il capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamel si è recato in visita presso la sua controparte sudanese presentando la proposta del Cairo alla risoluzione della crisi. Proposta molto criticata in quanto sembra che l’Egitto voglia manipolare in suo favore la transizione democratica, con l’intento di lasciare ad al-Buhran e non alle RSF il comando dello stato per tutelare il proprio interesse nazionale. Il rischio è che un cambiamento di governo farebbe mancare il supporto sudanese alla causa egiziana sulla questione della diga della GERD.
Se il governo andasse in mano ad Hemetti, ci sarebbe una ridefinizione delle alleanze con l’ago della bilancia rivolto verso la Russia che appoggia l’Etiopia nella realizzazione della diga.[4]
Gli EAU negli anni hanno sempre supportato al-Buhran ed Hemetti, una linea di condotta che fatto in modo che entrambi si affermassero come uomini forti sulla scena politica.

Dal centro alla periferia: timori per la polveriera Darfur

L’area degli scontri che sembra circoscritta alla capitale potrebbe allargarsi. Le organizzazioni umanitarie sono allarmante in quanto dallo scoppio degli scontri, i civili del Darfur si stanno armando nuovamente per timore del rinvigorirsi degli scontri etnici. Il fatto che le RSF siano implicate nei combattimenti lascia un vuoto che i gruppi armati vorrebbero colmare. La violenza a sfondo etnico potrebbe riaccendersi a Nyala e al-Geneina, quest’ultima spesso teatro di scontri tra gli arabi Rizeigat e i non arabi Masalit. Ora con tutti gli occhi puntati sulla capitale, è possibile che i primi riprendano le violenze per l’allocazione delle risorse sempre più scarse. Gli scontri che potrebbero rinascere e diffondersi in tutta la regione potrebbero essere utilizzati sia dalle RSF che dall’esercito regolare per accrescere il controllo in tutto il paese.
Gli scontri si stanno intensificando e la crisi umanitaria in atto da anni sta rapidamente peggiorando. Decine di migliaia di persone sono scappate dal paese dirette verso la Repubblica centrafricana, Chad, Egitto, Libia, Etiopia e Sud Sudan. Le Nazioni Unite denunciano una situazione senza precedenti che potrebbe destabilizzare gravemente l’intera regione.


Note

[1] Per un approfondimento dei rapporti tra Russia e Sudan e nella regione si veda https://www.opiniojuris.it/etiopia-e-sudan-sempre-piu-stretti-alla-russia-il-sud-sudan-ancora-in-bilico/
[2] https://c4ads.org/reports/breaking-the-bank/
[3] Per approfondire si veda https://www.youtube.com/watch?v=ty9iFkiGHOM&t=346s  e https://www.occrp.org/en/investigations/documents-reveal-wagners-golden-ties-to-sudanese-military-companies 
[4]  https://www.opiniojuris.it/etiopia-e-sudan-sempre-piu-stretti-alla-russia-il-sud-sudan-ancora-in-bilico/


Foto copertina: il generale Abdel Fattah Burhan e il suo ex vice e attuale rivale, Mohammed Hamdan Dagalo.