Haiti, terra senza pace


Una crisi umanitaria e sociale che arriva da lontano.


La colonizzazione infinita

La crisi apertasi lo scorso 29 febbraio è soltanto l’ultimo degli eventi, in ordine cronologico, ad aver sconvolto la vita della popolazione haitiana tristemente abituata a terremoti reali e figurati. Isolotto con affaccio sul Mar dei Caraibi, Haiti è un Paese dalla storia travagliata. Terreno difficile, perché prevalentemente montuoso, e mal collegato, Haiti fino al 1629 rimase completamente disabitata, poiché la popolazione originaria (i Tainos) erano stati sterminati durante la conquista spagnola. Fu proprio in quell’anno che un gruppo di francesi, in fuga dall’isola caribica di Saint Kitts, approdò sull’isola. Nacque così una delle realtà più incredibili della storia moderna: la società dei bucanieri. Quando la monarchia francese si rese conto del potenziale del territorio, iniziò a sfruttarlo in maniera massiccia, trasformando boschi e aree incontaminate in enormi piantagioni di canna da zucchero. Quest’intento rese necessario il ricorso a manodopera a basso costo tanto che l’isola, sul finire del 1600, fu popolata da quello che sarebbe in seguito divento il suo cuore pulsante: uomini e donne trasportati ad Haiti, in condizione di schiavitù, dai paesi africani. Il sistema tenne fino allo scoppio della Rivoluzione Francese e all’avvio della più importante lotta antischiavista dell’America Latina. Uomini e donne, di origine africana, si ribellarono per la prima volta alla loro condizione di schiavitù, riuscendo ad ottenere libertà e indipendenza nel 1791 e proclamando, nel 1804, la nascita della Repubblica di Haiti. Primo Stato indipendente nella storia del Sudamerica, primo Stato governato da ex schiavi, Haiti fu totalmente – e volutamente – isolata. Stati Uniti ed Europa le negarono ogni forma di commercio, facendo collassare un’economia che era stata costruita attorno e che, pertanto, si sorreggeva interamente, sulle esportazioni di zucchero e caffè. Quando, nel 1862, la Francia riconobbe ufficialmente Haiti  – colpevole di essersi liberta dalla schiavitù – lo fece in cambio di un cospicuo indennizzo in denaro utile a “risarcire” i “legittimi” proprietari francesi per le piantagioni sottratte con la dichiarazione d’indipendenza. Ma l’oppressione neocoloniale e razzista su Haiti non terminò allora. Per tutto il XX secolo il potere coloniale francese fu sostituito da quello statunitense, e in parte da quello canadese, attive potenze dominanti e ingerenti negli affari interni del Paese[1].
Basti pensare che gli Stati Uniti, che occuparono l’isola caraibica gestendone il sistema doganale e bancario dal 1915 al 1953, appropriandosi di buona parte delle risorse finanziarie nazionali per proteggere le proprietà statunitensi presenti sull’isola, mantengono tutt’oggi a Port-au-Prince la loro quarta ambasciata più grande e non hanno mai smesso di interferire sulla gestione politica ed economia del Paese[2]. In più di 500 anni di storia, infatti, diversi sono stati gli episodi di ingerenza, nonché i colpi di stato, che hanno limitato ogni genere di possibilità di crescita o miglioramento per la popolazione haitiana, creando un terreno fertile per una società politica corrotta sin dalle sua fondamenta.    

Tra goudougoudou e colera, la già fragile società haitiana mostra le sue crepe

Evento che ha complicato la già debole tenuta socio – economica dell’isola caraibica, è stato il terremoto del 12 gennaio 2010. Chiamato Goudougoudou in creolo haitiano, il terremoto del 2010 ha provocato danni incommensurabili mettendo in evidenza quanto limitata e fallace possa, talvolta essere, la cooperazione internazionale. Gli interventi attuati in quell’occasione evidenziarono inefficienze, caos organizzativo e burocratico imputabile al ruolo e alla sovrapposizione tra Stati Uniti e Nazioni Unite. A questo si è affiancato, in tutta la sua inefficienza, il governo nazionale. Il governo dell’isola si è mostrato sostanzialmente assente nell’organizzazione delle operazioni di salvataggio, rendendo lapalissiano il vuoto di potere. La rete di governo invece, a causa del crollo del National Palace e a seguito della morte di moltissimi funzionari impiegati, si trovò impossibilitata ad offrire il sostegno necessario ad organizzare i soccorsi. «Lo stesso presidente René Préval fu relegato a una posizione secondaria. Si limitò essenzialmente a lanciare appelli alle organizzazioni internazionali, e a ricevere in visita personalità come Hillary Clinton o Ban Ki-moon. Riportò il Guardian che in data 18 gennaio, sei giorni dopo l’evento, il Presidente non aveva ancora visitato i campi nei quali i cittadini venivano stipati a migliaia»[3].
Nonostante ciò, Préval continuava a dichiararsi a capo delle operazioni e, almeno dal punto di vista formale, Stati Uniti e Nazioni Unite lavoravano sotto la sua autorità. Nella realtà la loro azione fu di fatto indebolita, soprattutto a causa della confusione generata dall’assenza di un unico referente per l’organizzazione degli aiuti. A peggiorare ulteriormente il quadro si aggiunse l’incapacità delle due strutture di intervenire e agire in maniera sinergica. «Al contrario, arrivarono a costituire due centri di coordinamento quasi indipendenti: se da una parte gli Stati Uniti si imposero fin dai primi giorni come coordinatori dell’organizzazione aeroportuale, centro nevralgico per la ricezione degli aiuti, dall’altra le Nazioni Unite si incaricarono della distribuzione degli stessi e della relativa sorveglianza»[4].
E se da un lato gli Stati Uniti furono considerati colpevoli di non sopperire al vuoto organizzativo, dall’altro la risposta delle Nazioni Unite si rivelò straordinariamente lenta e tardiva. «È un dato di fatto che i Corpi di Pace non sembrarono essere coinvolti nelle operazioni di soccorso – soprattutto nelle prime 72 ore, quelle che esperti descrivono come decisive per salvare vite umane -, impegnandosi piuttosto a reprimere gli scoppi di violenza a Port-au-Prince. Ci furono in effetti disordini nella capitale, ma la loro entità impallidiva di fronte alla severità della crisi umanitaria»[5].
La situazione sull’isola, ma anche l’immagine delle Nazioni Unite fu ulteriormente lesa dalla diffusione endemica – nove mesi dopo il terremoto – del colera a Port-au-Prince. Il colera emerse nel piccolo comune di Mirebalais, area rurale densamente popolata ed estremamente carente dal punto di vista igienico – sanitario. Da lì l’epidemia si diffuse rapidamente seguendo il corso del fiume Artibonite.
Da uno studio realizzato dall’epidemiologo Renaud Piarroux fu evidenziato che la causa della diffusione del colera era da rintracciare nella base militare MINUSTAH[6], gestita dai Caschi Blu nepalesi e lì in stanza. Con lo scopo di chiarire le fonti dell’epidemia, fu preparato un documento, redatto da quattro esperti indipendenti, pubblicato nel 2011. Secondo il documento: «Non è stata colpa […] del fatto che la base Onu nepalese non avesse un sistema capace di smaltire in modo sicuro i resti fecali dei militari, i quali erano arrivati ad Haiti solo quindici giorni prima e senza aver realizzato gli esami medici al rientro del permesso durante il quale erano stati in zone dove il colera, dello stesso tipo trovato nel fiume che scorre sotto la base, è endemico. La colpa è stata degli haitiani che usavano l’acqua del fiume per bere»[7]
Nei quattro anni seguenti nell’isola caribica si sono registrati circa 800mila casi di colera e 9mila decessi. Nel 2015 i casi sono addirittura aumentati, portando a 36mila le nuove infezioni e a 322 le morti. Le conseguenze di tutto ciò che è stato prodotto dopo il terremoto del 2010 ha generato degli strascichi sociali i cui effetti si sono protratti negli anni a seguire. Nell’estate 2018 ha avuto avvio, nell’isola, una nuova fase fatta di proteste popolari e violenze – mai di fatto sedatesi – in risposta alle politiche neoliberiste promosse dal Presidente Jovenel Moïse.
Tre sono stati, secondo il giornalista Fabrizio Lorusso, i fattori scatenanti delle proteste:
1) il tentativo del governo Moïse di eliminare tutti i sussidi al settore energetico, aumentando il prezzo della benzina del 51% in base alle linee guida tratteggiate dal Fondo Monetario Internazionale.
2) Un ulteriore intensificarsi delle contestazioni si è avuto tra il settembre 2018 e il marzo 2019 dopo l’accusa di appropriazione indebita – per una totale di 2 miliardi di dollari – mossa nei confronti di esponenti del partito al governo, l’Haitian Tèt Kale Party (PHTK), oltre che per lo stesso Presidente.
3) Terzo fattore determinante, è stata la crisi energetica in atto ad Haiti e acutizzatasi nel settembre 2019. In virtù di quest’ultima i trasporti, periodicamente bloccati, l’economia contadina, l’attività produttiva e commerciale, sono state paralizzate o comunque rallentata; l’assistenza sanitaria e le scuole, quasi completamente al collasso.
In questo contesto fame, contrabbando e precarietà si sono generalizzati – soprattutto nelle aree più periferiche – lasciando libero spazio di manovra ai gruppi  guerriglieri. Haiti si è ritrovata, dunque, bloccata mentre chiedeva a gran voce le dimissioni di Moïse. A partire dai primi mesi del 2019, e poi anche nei mesi successivi, le proteste per le strade dell’isola caraibica si sono moltiplicate sempre più in intensità e violenza. Ciò a seguito della pubblicazione, da parte della Corte Suprema dei Conti, di un documento in cui si comprovava la partecipazione di alti funzionari governativi in un caso di malversazione di fondi destinati a programmi sociali. La Corte dei Conti rivelò, inoltre, una deviazione dei fondi per un totale di 3,8 milioni di dollari, verso diversi funzionari del governo Martelly – socio in affari di Moïse – e a favore di un’impresa amministrata dallo stesso Presidente[8]. Nei mesi successivi gli episodi violenza e le uccisioni non fecero che moltiplicarsi, tanto che la soluzione adottata fu, ancora una volta, quella della militarizzazione. Tale soluzione coinvolse, ancora una volta gli Stati Uniti e i Caschi Blu dell’ONU con esiti, ancora una volta, negativi. La MINUSTAH fu, infatti sostituita dapprima dalla MINUJUSTH (United Nations Mission for Justice Support in Haiti) e in seguito – nell’aprile 2020 – dall’Ufficio Integrato delle Nazioni Unite ad Haiti (BINUH). Quest’ultimo con funzioni più politiche e non solo di peacekeeping, sempre con l’intento di “supervisionare” la situazione ad Haiti sotto la direzione congiunta delle Nazioni Unite e degli Stati Uniti[9]. Contemporaneamente, anche il presidente Moïse ha scelto di dotare nuovamente Haiti di un esercito, dopo che il presidente Aristide ne aveva predisposto lo scioglimento, in virtù dei ripetuti colpi di stato organizzati proprio da questi.

Nella morsa dei guerriglieri

Mesi e mesi di disordini e instabilità politica in seguito all’omicidio del Presidente Jovenel Moïse nel luglio 2021 sono culminati in nuova ondata di violenza estrema tra bande.
A partire dal 29 febbraio Haiti è, infatti, precipitata nuovamente nel caos. Gli attacchi delle bande armate che controllano intere regioni e gran parte della capitale Port-au-Prince si sono intensificati in termini di quantità e violenza. Diverse sono state le istituzioni e i luoghi della città coinvolti dall’assedio dei guerriglieri tra i quali, un’accademia di polizia e l’aeroporto internazionale Toussaint-Louverture. Secondo i media locali, la struttura aeroportuale è stata colpita da colpi di arma da fuoco, costringendo le autorità a cancellare tutti i voli previsti per la giornata.
A causa dei ripetuti tentativi di fare irruzione sulle piste di atterraggio sono stati cancellati tutti i voli nazionali e internazionali, anche nei giorni successivi[10]. Nella notte tra il 2 e il 3 marzo le bande criminali sono entrate nei due penitenziari più grandi del paese, quello nazionale e la prigione di Croix-des-Bouqets, con l’obiettivo di far evadere migliaia di detenuti. Inesistenti i dati precisi circa i prigionieri rimasti nelle carceri.
Tuttavia, alcuni giornalisti che la mattina dopo gli attacchi hanno visitato il penitenziario nazionale hanno riferito che nelle celle erano rimasti solo un centinaio di persone, tra cui diciassette ex soldati colombiani accusati dell’omicidio del presidente Jovenel Moïse, ucciso nella sua abitazione a Port-au-Prince. Le azioni dei rivoltosi, nonché l’attacco alle carceri, ha riportato alla ribalta la figura di Jimmy “Barbecue” Cherizier.
Ex agente di polizia, Chérizier apparteneva all’Unité Départementale pour le Maintien de l’Ordre (UDMO, “Unità per il Mantenimento dell’Ordine”), un’unità speciale. Mentre era un ufficiale di polizia, Chérizier si sarebbe reso responsabile dei massacri di Grande Ravine del 2017, dove morirono almeno nove persone, e quello di La Saline dell’anno successivo, in cui furono uccise almeno 71 persone e oltre 400 case furono bruciate.
Nel dicembre 2018, Chérizier è stato definitivamente licenziato dalla Polizia nazionale haitiana. Da allora è il leader delle Forze Rivoluzionarie della Famiglia G9 e degli Alleati (G9, in creolo haitiano: Fòs Revolisyonè G9 an Fanmi e Alye), una federazione di gruppi ribelli. L’organizzazione era originariamente composta da nove gruppi, ma da allora è cresciuta fino a comprenderne oltre una dozzina, contribuendo in modo determinante ad anni di crescente violenza e instabilità politica nella capitale di Haiti, Port-au-Prince. Lo scorso anno, Human Rights Watch (HRW) ha documentato una serie di abusi commessi da membri della sua alleanza di bande G9, in particolare nel quartiere di Brooklyn, nel poverissimo distretto di Cite Soleil sempre a Port-au-Prince[11].
Chérizier si è assunto la responsabilità della recente ondata di attacchi e nel frattempo ha annunciato il ritorno dell’alleanza di bande “Viv Ansanm”. «A nome dei vari gruppi armati del Paese, annuncio il ritorno della coalizione Viv Ansanm. Oggi, 29 febbraio 2024, lanciamo la battaglia che deve rovesciare il Primo Ministro e il suo governo; questo è il nostro primo obiettivo», ha dichiarato. Chérizier ha, inoltre, specificato che la popolazione civile haitiana, ormai estremamente vulnerabile, non rappresenta più un obiettivo d’interesse per le bande criminali: «Le canne dei nostri fucili sono puntate sui nostri veri nemici», ovvero il governo nazionale[12]. Dopo gli attacchi alle prigioni il governo haitiano ha dichiarato lo stato d’emergenza e il coprifuoco per permettere alle forze di sicurezza, già decimate, di riprendere il controllo della situazione e arginare la violenza delle bande criminali. Mentre la violenza si intensificava, il primo ministro Ariel Henry si trovava a Nairobi, in Kenya, per discutere con il presidente William Ruto un accordo utile all’invio di una forza di sicurezza multinazionale ad Haiti. Tuttavia, il rientro a Port-au-Prince è stato reso impossibile per Henry che, pur non essendo oggetto di alcun divieto di rientro ufficiale, si è visto cancellare tutti i loro voli a causa delle violenze dei guerriglieri.  Nella giornata di martedì 5 marzo il Primo Ministro ha tentato invano di sbarcare nella Repubblica Dominicana. Il suo aereo, dopo diverse rotazioni, è stato costretto a tornare indietro, per poi atterrare a Porto Rico. Il governo di Santo Domingo ha inoltre imposto il divieto di volo tra Haiti e Santo Domingo, che condividono l’isola di Hispaniola nelle Antille. Per il momento non è nota alcuna data per il rientro di Ariel Henry nel Paese, e non è esclusa la permanenza del Primo Ministro in Giamaica dove proseguiranno gli incontri dei Capi di Governo riuniti nella Comunità Caraibica[13] (Caricom[14]).  
Nella stessa giornata, il capobanda Jimmy Chérizier ha minacciato l’avvento di una sanguinosa “guerra civile” qualora il contestato primo ministro Ariel Henry restasse al potere. «Se Ariel Henry non si dimette, se la comunità internazionale continua a sostenerlo, andiamo dritti verso una guerra civile che porterà al genocidio»[15], ha minacciato Chérizier ai giornalisti. Durante il vertice della CARICOM, cui hanno preso parte i rappresentanti delle Nazioni Unite e di alcuni stati, tra cui Canada e Stati Uniti, la gravosa situazione haitiana è stata all’ordine del giorno. Al termine della riunione il presidente della Guyana, Irfaan Ali, ha annunciato un accordo di principio utile a garantire una transizione pacifica, ripristinare la sicurezza e organizzare nuove elezioni. Contemporaneamente, il Presidente Ariel Henry ha annunciato le sue dimissioni e quelle dei suoi ministri, e ha dichiarato: «Il governo che guido andrà via immediatamente dopo l’insediamento del Consiglio presidenziale di transizione» i cui membri verranno «scelti dopo un accordo tra i diversi settori della vita nazionale»[16]
Tuttavia, mentre il Consiglio di transizione non si è ancora né formato né insediato, il livello di sicurezza a Port-au-Prince continua ad essere a minimi storici. In riferimento alla situazione ad Haiti, il corrispondente della Bbc Will Grant scrive: «Quanto più il vuoto di potere si protrae, più la situazione della sicurezza precipita nell’anarchia. Questo lascia milioni di haitiani intrappolati in una tempesta perfetta di politica, violenza, mancanza di casa e fame. In cerca di un rifugio, molti si dirigono a Cap-Haitien, una città costiera del nord che ha accolto migliaia di persone in fuga dalla capitale. Tuttavia, la città portuale stava già lottando per far fronte alle esigenze infrastrutturali della propria popolazione, in particolare nel settore idrico ed energetico, prima di diventare il principale porto sicuro del paese»[17].

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Nazioni Unite: una «catastrofica» situazione che richiede un’azione immediata

Lo scorso 28 marzo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha pubblicato un report specificatamente dedicato alla recente crisi haitiana. Secondo il report: le bande criminali – tra cui quella capeggiata da Cherizier – che di fatto controllano la vita pubblica e politica di Haiti hanno ucciso 1.554 persone e ferito altre 826 dall’inizio dell’anno al 22 marzo. Il report fotografa una situazione che viene definita «catastrofica» e che richiede un’azione immediata e coraggiosa; «La corruzione, l’impunità e il malgoverno, aggravati dai crescenti livelli di violenza delle bande, hanno eroso lo stato di diritto e portato le istituzioni statali sull’orlo del collasso. L’impatto dell’insicurezza generalizzata sulla popolazione è terribile e in peggioramento e la popolazione è gravemente privata della possibilità di godere dei propri diritti umani»[18], afferma il documento delle Nazioni Unite. A fronte di tale situazione, secondo l’Alto Commissario per i diritti umani Volker Türk, è opportuno affrontare la condizione attuale di insicurezza che dovrà: «essere una priorità assoluta utile a proteggere la popolazione e prevenire ulteriori sofferenze umane.
È altrettanto importante proteggere le istituzioni essenziali per lo Stato di diritto, che sono state attaccate nel profondo
»[19]. Il rapporto segnala anche un preoccupante incremento dei crimini sessuali spesso commessi poco dopo che le donne vittime di violenza avevano assistito all’omicidio dei mariti. Secondo il rapporto, alcune donne sono costrette ad avere rapporti sessuali non consensuali con i membri delle bande. Parallelamente, lo stupro degli ostaggi continua a rappresentare un “utile” e “vantaggioso” strumento dai gruppi paramilitari per costringere le famiglie a pagare un riscatto in denaro. Eppure, nonostante il dispiegamento di militari, la violenza sessuale resta gravemente sottostimata e largamente impunita. Al contempo le bande riescono ad agire, crescendo notevolmente in termini di dimensioni, reclutando e abusando, senza alcun problema, bambini che non riescono a lasciare i propri incarichi per paura di ritorsioni, cosa che, in alcuni casi, ha portato all’uccisione di giovani membri delle bande che tentavano di scappare. Il report ribadisce la necessità di un dispiegamento urgente di una missione multinazionale volta a sostenere il ristabilimento della sicurezza sull’isola e finalizzata al supporto delle forze di polizia, con il compito di fermare la violenza, proteggere efficacemente la popolazione e ripristinare lo stato di diritto. «È essenziale che la missione integri effettivamente i diritti umani nella condotta delle sue operazioni e stabilisca un meccanismo di conformità per mitigare e minimizzare i danni»[20], ha dichiarato l’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite. Nel rapporto si sottolinea che, però, il solo rafforzamento della sicurezza non potrà essere in grado di portare a soluzioni durature. Per avere un risultato sul lungo termine viene considerato imprescindibile il prosieguo di politiche volte al ripristino dello stato di diritto e alla prevenzione della violenza. «La corruzione diffusa e la disfunzione del sistema giudiziario contribuiscono notevolmente all’impunità dilagante per le gravi violazioni dei diritti umani perpetrate»[21], ha detto Türk.


Note

[1] R. Codazzi, “Antefatto: i maiali di Haiti, la cooperazione che era meglio evitare”, in Haiti: il terremoto senza fine, R. Codazzi (a cura di), People, 2020, pp. 5-7.
[2] F. Lorusso, “Un anno e mezzo d’insurrezione ad Haiti”, in Haiti: il terremoto senza fine, R. Codazzi (a cura di), People, 2020, p.130.
[3] S. Zanni, “Le grida inascoltate, Haiti e il caos dei soccorsi”, in Haiti: il terremoto senza fine, R. Codazzi (a cura di), People, 2020, p. 18.
[4] Ibidem.
[5] Ivi, p. 20.
[6] La MINUSTAH (Mission des Nation unies pour la stabilisation en Haiti) è stata una missione di stabilizzazione politica promossa dalle Nazioni Unite dopo la destituzione del Presidente Jean – Bernard Aristide nel 2004. La missione concluderà la sua attività soltanto nell’ottobre 2017, dopo tredici anni.
[7] R. Codazzi, in Haiti: il terremoto senza fine, R. Codazzi (a cura di), People, 2020, p. 33.
[8] F. Lorusso, “Un anno e mezzo d’insurrezione ad Haiti”, in Haiti: il terremoto senza fine, R. Codazzi (a cura di), People, 2020, pp. 127-136.
[9] Ivi, p. 140.
[10] R. Alphonse, “Haïti: annulation des vols à cause des attaques contre l’aéroport international de Port-au-Prince”, Le Nouvelliste, 4/03/2023, https://lenouvelliste.com/article/247072/haiti-annulation-des-vols-a-cause-des-attaques-contre-laeroport-international-de-port-au-prince.
[11] “Who is Haitian gang leader Jimmy ‘Barbecue’ Cherizier?”, AlJazeera, 14/03/24, https://www.aljazeera.com/news/2022/10/21/who-is-haitis-sanctioned-gang-leader-jimmy-barbecue-cherizier.
[12] “Bandas criminales desatan ola de ataques en capital de Haití”, TeleSur, 1/03/24, https://www.telesurtv.net/news/haiti-violencia-ataques-bandas-criminales-puerto-principe–20240301-0022.html.
[13] R. Geffrard, “Du Kenya à Porto Rico, les pérégrinations d’Ariel Henry”, Le Nouvelliste, 5/03/24, https://lenouvelliste.com/article/247093/du-kenya-a-porto-rico-les-peregrinations-dariel-henry.
[14] La Comunità Caraibica (CARICOM), originariamente chiamata Comunità e mercato comune caraibici, è un’area di libero scambio nata per promuovere l’integrazione e cooperazione economica nei Caraibi. Affianca il Mercosur e la Comunità Andina, ed è nata nel 1973 con la firma del Trattato di Chaguaramas da parte di Barbados, Giamaica, Guyana e Trinidad e Tobago.
[15] “Jimmy Chérizier menace d’une « guerre civile » si Ariel Henry reste au pouvoir”, Le Nouvelliste, 5/03/24, https://lenouvelliste.com/article/247099/jimmy-cherizier-menace-dune-guerre-civile-si-ariel-henry-reste-au-pouvoir.
[16] R. Geffrard. “Ariel Henry annonce sa démission et le départ prochain de son gouvernement”, Le Nouvelliste, 11/03/24, https://lenouvelliste.com/article/247190/ariel-henry-annonce-sa-demission-et-le-depart-prochain-de-son-gouvernement.
[17] W. Grant, “Haiti hunger spreads: ‘I go to bed with an empty stomach’”, BBC News, 21/03/24, https://www.bbc.com/news/world-latin-america-68622814.
[18] “A/HRC/55/76: Situation of human rights in Haiti – Report of the United Nations High Commissioner for Human Rights – Advance unedited version”, 28/03/24, https://www.ohchr.org/en/documents/country-reports/ahrc5576-situation-human-rights-haiti-report-united-nations-high.
[19] Ibidem.
[20] “Haiti: “Cataclysmic” situation demands immediate and bold action – UN report”, 28/03/24, https://www.ohchr.org/en/press-releases/2024/03/haiti-cataclysmic-situation-demands-immediate-and-bold-action-un-report.
[21] Ibidem.


Foto copertina: Haiti