“I droni che uccidono – La tutela dei diritti umani e l’atto politico di Stato nelle operazioni con droni armati” di Michael Malinconi, edito da Multimage (2021), analizza l’uso dei droni come arma bellica contemporanea, interrogandosi sui limiti posti dal diritto internazionale sull’uso di queste armi.
La parola drone in inglese vuol dire fuco, il maschio dell’ape, ma anche sinonimo di un continuo ronzio. Il ronzio che si sente quando un drone ti sta volando sopra la testa.
“I droni che uccidono – La tutela dei diritti umani e l’atto politico di Stato nelle operazioni con droni armati” di Michael Malinconi, prova a rispondere ad una domanda: l’utilizzo dei droni come arma è conforme al diritto internazionale e alle norme che proteggono i diritti umani anche nei momenti di guerra?
L’utilizzo dei droni per compiere operazioni di targeted killing[1]si è avuto a partire dei primi anni 2000. Con targeted killing si tende a definire l’uccisione mirata di un individuo o gruppi di individui, al di fuori di una procedura giuridica o di una situazione di conflitto armato. I droni che uccidono sono diventati una delle armi maggiormente utilizzate dagli Stati nelle loro operazioni militari.
Ovviamente l’utilizzo dei droni come armi, comporta un “rischio zero” di perdite per chi possiede questo tipo di strumentazioni. Restano però tanti dubbi sull’effettiva liceità, il relazione al diritto internazionale, dell’utilizzo di queste armi e sugli effetti dei “danni collaterali”.
Il libro di Malinconi, nella prima parte descrive le caratteristiche dei diversi tipi di droni, distinguendo chi ne fa uso tra Stati e attori non statali, la prassi per l’utilizzo e l’impatto sulle azioni militari.
La seconda parte del libro rappresenta l’aspetto più interessante: la tutela del Diritto internazionale dei Diritti Umani nelle operazioni con i droni armati. Malinconi parte dalla questione (non da poco) della giurisdizione e dell’applicazione extraterritoriale, ma soprattutto sull’importanza del diritto alla vita nelle operazioni militari e sulla questione dell’ “imminenza” di un attacco e quindi l’utilizzo della forza letale per evitarlo.
Nella terza parte del libro, droni che uccidono, Malinconi analizza alcuni casi di giurisprudenza in materia di atto politico di Stato nei casi di attacchi con droni che uccidono. L’orientamento è quello di una diffusa percezione che il potere giudiziario non debba intervenire in questioni che intaccano gli interessi vitali dello Stato.
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Dialogo con l’autore
Quali sono gli Stati dotati di droni armati?
“La segretezza riguardo il loro sviluppo, compravendita o utilizzo rende difficile individuare chi possiede droni armati. Allo stesso modo è difficile quantificare l’arsenale di droni di uno Stato. Inoltre, è comune che droni acquistati per scopi di sorveglianza e ricognizione, e quindi disarmati, vengano armati in un secondo momento.
Ad oggi, almeno sedici Stati nel mondo hanno utilizzato droni armati in missioni di combattimento, cioè per colpire militarmente determinati bersagli. Gli Stati Uniti sono i maggiori utilizzatori ed esportatori di droni armati, insieme a Israele. L’Iran e la Federazione Russa li hanno utilizzati abbondantemente in Siria. L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti in Yemen. La Cina non li ha ancora utilizzati in combattimento ma si è contraddistinta per la sua politica di esportazione a basso costo verso Stati “problematici”. Negli ultimi anni è stata impressionante l’ascesa della Turchia quale costruttore e operatore di droni armati molto efficienti: droni turchi sono volati in Siria, Libia, Iraq e presto voleranno anche in Ucraina”.
Sono in dotazione anche di attori non statali?
“Assolutamente. Vengono utilizzati soprattutto in operazioni di ricognizione o per il lancio di materiale propagandistico ma non sono mancati episodi di droni modificati allo scopo di trasportare esplosivo o modificati direttamente in droni kamikaze. Il tipo di UCAV (Unmanned Combat Aerial Vehicle) utilizzato dipende dalle capacità, economiche ma anche tattiche, del gruppo non statale: l’ISIS, come i cartelli di narcotrafficanti messicani, utilizza droni commerciali, facilmente reperibili in Occidente, che poi modifica per trasportare esplosivo; i ribelli Houthi in Yemen hanno droni più sofisticati di provenienza iraniana, mentre Hezbollah ha addirittura raffinati droni ad ampio raggio, in parte di proprio sviluppo in parte di origine iraniana. Molti attori non statali, infatti, vengono riforniti direttamente di droni, o aiutati nel loro sviluppo, da Stati. Il salto di qualità è evidente, seppur non comparabile con gli strategici droni armati in dotazione a certi Stati. In Libia entrambe le fazioni durante la guerra civile hanno operato droni di origine estera, penso soprattutto ai droni turchi ed emiratini. Ma è anche il caso dei ribelli separatisti di Doneck che utilizzano droni di fabbricazione russa o dell’Iran che rifornisce di droni i propri proxy in tutto il Medio Oriente.”
L’Italia che ruolo gioca in questa partita di droni che uccidono?
“L’Italia ad oggi possiede droni MQ-9 Reaper di fabbricazione statunitense e di stanza presso il trentaduesimo Stormo dell’Aeronautica Militare all’aeroporto di Amendola (Foggia). I droni italiani sono stati utilizzati, solo per scopi di ricognizione e sorveglianza, anche in numerosi teatri di conflitto: in Iraq, in Afghanistan, in Libia nel 2011, nella missione NATO in Kosovo e nelle operazioni di controllo dell’immigrazione nel Mediterraneo. Importante è stato il contributo dei droni italiani di stanza a Gibuti nell’ambito di missioni antipirateria e come membro della coalizione anti-ISIS dal 2014.
A seguito della richiesta italiana, nel 2015 gli Stati Uniti hanno concesso la loro approvazione alla vendita, da parte della General Motors, del software per armare i droni. Nonostante l’armamento non sia ancora avvenuto, sembra che la volontà italiana sia di armare i Reapers già nei prossimi anni. Tale volontà affiora abbastanza chiaramente, seppur il linguaggio sia a tratti insidioso, anche nel Documento Programmatico Pluriennale della Difesa 2021-2023.
Grazie a Leonardo l’Italia è diventata anche esportatrice di droni: secondo l’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (SIPRI) dal 2010 avrebbe venduto settanta droni Selex ES Falco, modello di drone riservato a operazioni di intelligence, a sei Stati, tra cui spiccano particolarmente Pakistan e Turkmenistan. In partnership con altri Stati europei, l’Italia è parte di due programmi di sviluppo di droni armati: nEUROn e EuroMALE”.
Quali sono i vantaggi dall’utilizzo di questo tipo di arma?
“I droni sono stati presentati, soprattutto in anni passati, quale arma rivoluzionaria capace di colpire con estrema precisione bersagli circoscritti senza porre in pericolo l’operatore o truppe amiche. Senza dubbio, la possibilità di progettare forza letale in teatri lontani garantendo l’incolumità del pilota è il principale vantaggio del drone. Considerando il valore crescente della vita umana nel mondo occidentale i droni rispondono alla retorica degli interventi militari a perdite zero, risultato vero tallone d’Achille degli ultimi interventi armati occidentali poiché capace di abbatterne la legittimità popolare. Non è da dimenticare, inoltre, che i droni garantiscono velocità, elusività e un risparmio economico non indifferente. Dall’altra parte, la supposta precisione dei droni è relativa. I droni armati sono equipaggiati con missili e bombe laser che generalmente uccidono chiunque sia nel raggio di quindici metri dall’impatto. È accettabile o meno? È sufficientemente “preciso”? Nonostante ciò, restano un dato di fatto i numerosi “danni collaterali” degli attacchi con droni. Proprio per mitigarli, recentemente è entrato in azione una variante non esplosiva di missile Hellfire, denominata R9X, a testata cinetica e lame a comparsa.”
Perché la liceità dell’utilizzo di tale arma non è condivisa da tutti?
“L’originalità dell’arma ha innescato ampi dibattitti nel diritto internazionale. Parallelamente alle questioni morali ed etiche che l’utilizzo di droni armati suscita, dalle modalità di uccisione a mezzo drone emergono quesiti di diritto internazionale di non facile risoluzione, soprattutto riguardo il supremo diritto alla vita.
Il primo di essi è l’applicazione extraterritoriale degli accordi internazionali in materia di diritti umani con la conseguente differenziazione tra giurisdizione personale e territoriale. Il tema non è banale visto che numerosi attacchi con droni vengono condotti da determinati Stati sul territorio di altri Stati e spesso contro cittadini di Stati terzi.
Inoltre, il diritto alla vita è articolato in modo diverso nei vari strumenti di protezione dei diritti umani. La protezione del fondamentale diritto alla vita nel Patto Internazionale dei Diritti Civili e Politici e nella Convenzione Americana sui Diritti Umani è espressa in modo differente rispetto alla protezione dello stesso diritto nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: nel primo caso si parla di protezione da privazione arbitraria della vita, nel secondo di protezione da privazione intenzionale della vita. Gli organi di implementazione di tali trattati internazionali hanno poi sviluppato rispettivi standard per disciplinare la protezione del diritto alla vita, frutto dello sviluppo della rispettiva giurisprudenza. Quali sono allora le condizioni affinché un attacco con droni sia legittimo alla luce degli obblighi derivanti dal diritto alla vita?
Seppur non primarie, emergono poi questioni giuridiche riguardo il diritto a non essere sottoposto a tortura o ad altri trattamenti degradanti e riguardo il diritto a un giusto processo.
Un ulteriore tema è la posizione dello Stato territoriale per attacchi con droni condotti da altri Stati sul proprio territorio. Il suo consenso è necessario? Lo esime da responsabilità?
Spesso preliminare a qualsiasi altra determinazione di illegittimità è la necessaria determinazione dell’esistenza o meno di una situazione di conflitto armato. La legittimità della privazione della vita avvenuta nell’ambito di un conflitto armato deve essere infatti vagliata primariamente alla luce del Diritto Internazionale Umanitario, che ha standard diversi, e solo in seguito, quale norma supplementare di interpretazione, alla luce del Diritto Internazionale dei Diritti Umani. Non scordiamoci però che i droni armati sono stati utilizzati, ad oggi, spesso in contesti in cui la definizione di conflitto armato avrebbe poche basi su cui essere sostenuta.
Le condizioni di legittimità per un attacco con droni armati, come la giurisprudenza e le opinioni della dottrina sui quesiti giuridici sopra menzionati, sono spiegate e discusse diffusamente nel libro”.
Si potrà arrivare a codificare l’utilizzo dei droni armati?
“La speranza è l’ultima a morire. Sicuramente non sarà facile. I droni strategici sono ancora monopolio di pochi Stati e consentono di sfruttare un vantaggio militare non indifferente. Il conflitto in Nagorno-Karabakh tra Armenia e Azerbaijan dell’autunno scorso ne è un valido esempio: la vittoria azera è merito in gran parte dei loro efficienti droni armati. Difficilmente gli Stati che possiedono droni vorranno regolarne l’uso. Le Nazioni Unite sono probabilmente l’organismo che sta prestando maggiore attenzione al tema, attraverso i rapporti del Consiglio dei Diritti Umani e dei suoi Relatori Speciali, e spinge per una qualche forma di regolamentazione. Non a caso la notizia virale dei mesi scorsi dei droni turchi in Libia che avrebbero ingaggiato il bersaglio “autonomamente” proviene da un report delle Nazioni Unite. La sensazione è che l’uso dei droni armati sarà codificato solo quando diventeranno merce comune nei conflitti armati, cioè quando l’arma diventerà così comune e letale da richiedere un intervento internazionale. Non è da dimenticare, comunque, che molti giuristi sostengono che l’attuale quadro normativo del diritto internazionale sia già sufficiente a regolamentare efficacemente l’uso dei droni armati senza ulteriore codificazione. Ciò può essere vero, ma di fronte alla centralità che i droni stanno assumendo nei conflitti armati contemporanei la necessità di norme giuridiche chiare ed efficaci che disciplinino la condotta dei droni armati dovrebbe essere una priorità per la comunità internazionale.”
Note
[1] Omicidio mirato
Foto copertina: Copertina libro