“I semi del male – Da Al Qa’eda a ISIS. La stirpe del terrorismo.” Paesi Edizioni 2020 ripercorre l’ascesa del fondamentalismo islamico e le operazioni per uccidere Osama Bin Laden e Abu Bakr Al Baghdadi. Intervista a Stefano Piazza coautore (con Luciano Tirinnanzi) del libro.
L’11 settembre 2001 l’Occidente si riscopriva fragile e insicuro, stravolto dagli attentati alle Torri Gemelle e al cuore degli Stati Uniti d’America. In questi vent’anni la minaccia terroristica dei movimenti fondamentalisti ha assunto diverse forse, cambiato sigle da Al’Qae’da all’Isis, tattiche dalla pianificazione dettagliata all’ “improvvisazione” dei c.d. “cani sciolti”, sono cambiati i protagonisti da Bin Laden ad Abu Bakr Al Baghdadi, è cambiata la strategia comunicativa dalle videocassette prodotte nelle impenetrabili caverne dello Spīn Ghar, da noi conosciute come Tora Bora, tra le montagne al confine tra Afghanistan e Pakistan alle tecnologie e la grande efficacia della comunicazione del network del terrore dell’Isis capace di coinvolgere ed attirare tanti ragazze e ragazzi nel mondo del jihadismo con video, più o meno raccapriccianti, canali social, musiche e manuali.
Sono cambiate tante sfumature ma la sostanza resta immutata, i “semi del male” che furono piantati da diverse mani, continuano a sbocciare e provocare danni.
Con “I semi del male” gli autori Stefano Piazza[1] e Luciano Tirinnanzi[2], ripercorrono le tappe per meglio comprendere con chi dobbiamo confrontarci oggi. Dalle origini delle organizzazioni terroristiche, le differenze tra i primi due “brand” del terrore per importanza Al-Qae’da e Isis, all’ascesa e caduta del Califfato, non disprezzando le critiche all’”Occidente” che in alcuni casi ha sciaguratamente favorito l’ascesa di questi gruppi con scelte geopolitiche e strategiche fallimentari. I semi dell’odio si conclude con l’analisi della Jihad nel post-Bagdadi fino alla minaccia jihadista, passata in secondo piano in questi due anni monopolizzati dall’emergenza Covid-19, ma pur sempre presente e reale. Intervista a Stefano Piazza coautore del libro.
Quali sono le principali differenze tra al Qa’eda e l’Isis?
L’estremismo islamico dalla notte dei tempi è diviso tra centinaia di fazioni e altrettante sigle che si odiano, si combattono reciprocamente che si ispirano alle numerose interpretazioni della dottrina coranica. Al Qa’eda e lo Stato islamico (le più note) pur condividendo l’obbiettivo di voler distruggere l’Occidente ed eliminare qualsiasi possibile influenza occidentale dal mondo arabo in modo da veder nascere il Califfato governato dalla sharia, sono divise dal come arrivare al risultato finale e anche sulla dottrina. Per l’organizzazione fondata da Osama Bin Laden la nascita del Califfato potrà avvenire solo e soltanto dopo che saranno espulsi tutti i “kuffar” (gli infedeli) dal mondo arabo con gli attentati ma non solo, al Qa’eda come voleva il suo fondatore, si muove in modo che ci sia una reazione armata degli Stati Uniti e dei suoi alleati in modo che la Umma islamica insorga contro l’Occidente ma come abbiamo visto nessuno è più disposto a mandare soldati nei teatri di guerra. Per l’Isis che nasce da una costola di al Qa’eda, il Califfato è realtà e vuole che tutta la Umma islamica si dedichi alla jihad per proteggerlo. Inoltre, per citare, la differenza più grande tra i due gruppi è la “giustificazione” da parte dell’organizzazione fondata da Abu Bakr Al Baghdadi del “takfirismo” ovvero la folle ideologia che ritiene che si possano uccidere dei musulmani negli attentati perché si tratta di un “sacrificio utile alla missione” di contro al Qa’eda, ritiene tutto questo sia aberrante anche se in passato non ha fatto certo differenze tra musulmani e non quando ha colpito. Poi ci sono gli odi personali tra i leader; Al Baghdadi odiava il leader di al Qa’eda il medico egiziano Ayman Al Zawahiri che io ritengo sia deceduto nel gennaio scorso ed era ricambiato. Difficile sapere come la pensano in merito gli attuali leader Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurayshi (Isis) e Saif al-Adel- Ibrahim al-Madani ex membro delle forze speciali dell’esercito egiziano che è il successore designato di Al- Zawahiri (ma non è ancora stato nominato) alla testa di al Qa’eda
Che ruolo ha svolto e svolge tuttora la comunicazione nella strategia jihadista?
È fondamentale per attrarre nuove reclute e finanziamenti. Lo Stato islamico così come al Qa’eda non hanno mai smesso di utilizzare il web e i social network per promuovere la loro ideologia e non si contano più i siti ufficiali e i canali Telegram e altre messaggerie telefoniche che fanno riferimento alle due organizzazioni senza contare i supporter che diffondono in ogni momento della giornata fotografie e video di decapitazioni e di altre oscenità commesse in giro per il mondo. Chi si illude che non sia così solo perché la stampa internazionale non rilancia questi contenuti (giustamente), sottovaluta la minaccia. A proposito di contenuti, dopo un periodo di appannamento i video sono tornati ad essere di buona qualità e sempre più cruenti al punto che anche chi è ormai abituato alla visione fatica a guardarli.
Nel libro affermate che il terrorismo di matrice sunnita sia figlio di scelte e azioni dell’Occidente: dal ruolo della CIA nel finanziamento e supporto al primo nucleo dei mujaheddin fino alla sciagurata decisione di Bremer di smantellare le forze regolari irachene. Un’affermazione scomoda ma vicina alla realtà (sua considerazione).
Lo dice la storia di questi anni. Finanziare Osama Bin Laden per cacciare i russi dall’Afghanistan (altra sciagurata decisione all’origine di tutto il caos) è stata una vera follia così come sono stati sciagurati gli interventi voluti da politici ignoranti e criminali in Iraq, in Libia… Senza parlare delle persone mandate a gestire quelle situazioni. Veri incapaci animati solo da ambizione personale che hanno allontanato tutti coloro che gli potevano dare dei buoni consigli. Se un pessimo politico prende una decisone folle e affida il tutto a degli incapaci cosa ci si può aspettare? I risultati sono davanti ai nostri occhi ma la lezione non è servita vedi quanto accade in Afghanistan oggi.
Abu Ghraib, Camp Bucca, Guantanamo da carceri, per sospetti terroristi, sono diventati punti di aggregazione della galassia jihadista. E’ corretta questa affermazione?
Se mettiamo delle bestie feroci tutte assieme e per molto tempo in una stanza cosa possiamo aspettarci? Come minimo che quando saranno liberi si ritroveranno e si vendicheranno anche delle torture subite. È successo questo.
Guardando i profili degli attentatori in Francia, in Belgio ma anche in Germania, vediamo che la stragrande maggioranza di loro non aveva un background di tipo religioso, non avevano alle spalle studi coranici o frequentazioni di madrasse, ma avevano avuto un passato fatto di delinquenza, una radicalizzazione velocissima, spesso nelle carceri, ma anche via web fino agli attentati. Quanto secondo Lei è determinante l’aspetto religioso e quanto più incidere una sorta di alienazione sociale?
Nelle carceri dei Paesi che lei cita succede di tutto, entra di tutto vedi testi avvelenati, telefoni, video di propaganda… Compresi sedicenti imam che gettano benzina sul fuoco di situazioni già al limite. Nelle carceri talvolta si entra come ladri di polli per uscire come jihadisti fatti e finiti come visto decine di volte. Che la versione e la rilettura più estrema dell’islam affascini soggetti a dir poco borderline (donne e uomini) è provato ma non è sempre così. Mi è capitato più volte di occuparmi di persone con un lavoro, una famiglia che una mattina sono andati nel “Siraq” a combattere. Il terrorismo islamico è prima di tutto molto “islamico” e per questo da quel mondo dovrebbero arrivare prese di posizioni continue e molto forti. Mi occupo di questi temi da anni e ne ricordo pochissime e non soffro di vuoti di memoria.
La Francia è stato il Paese europeo più colpito dagli attacchi terroristici. Dibattendo su cosa abbia spinto alcuni giovani francesi alla jihad armata, esistono due correnti di pensiero: quella che fa capo a Gilles Kepel che parla di “radicalizzazione dell’Islam”, e quella che fa capo ad Olivier Roy secondo cui assistiamo ad una “islamizzazione del radicalismo”. Un suo parere.
Più che alle teorie degli intellettuali, che da decenni non vanno nei quartieri off-limits ammesso che mai ci siano andati sia in Francia che nei luoghi sparsi per il Vecchio Continente e che mi annoiano a morte, è più utile ragionare su come siamo arrivati fin qui. Negli ultimi 30 anni si è deciso che in Europa potessero arrivare milioni di persone da ovunque come forza lavoro ma senza occuparsene davvero. Sono stati costruiti orribili quartieri fatti solo di cemento e dove non c’è nulla edificati da costruttori senza scrupoli amici dei politici al potere e degli intellettuali da salotto, pensando che questo era il modello da adottare. Così quando il miracolo economico è finito e la gente si è trovata a dover vivere solo di sussidio si è rotto il giocattolo e chi ha capito che la situazione era perfetta per cavalcarla sono stati i predicatori del male che hanno fatto un semplice discorso ‹‹se te le passi male la colpa è dello Stato e l’unica soluzione è l’Islam vendicatore››. Ovvio che in contesti dove non c’è una biblioteca, un cinema, un teatro e del verde dove poter giocare e dove lo Stato non c’è e dove le forze dell’ordine non possono entrare, il discorso ha fatto presa. E dov’erano gli intellettuali quando questo accadeva? A bere champagne nelle suite degli hotel e a scrivere libri. E che facevano i politici loro amici che davano e danno soldi a pioggia ad associazioni e moschee a dir poco sulfuree per prendersi i voti come accaduto a Molembeek (Belgio)? Facevano carriera passando da sindaco a ministro. Abbiamo imparato la lezione? No. Per verificarlo invito tutti andare in Svezia, Olanda, Danimarca, Norvegia, Spagna, Germania, Austria, Francia, Inghilterra o in qualche periferia italiana per vedere cosa sta accadendo. E cosa si sta facendo per arginare la Fratellanza musulmana ancora più pericolosa del terrorismo? Nulla. Anzi, la si legittima nelle istituzioni e persino in quelle europee. Intanto tra il 2019 e il 2021 sono stati sventanti almeno 100 attacchi mentre le azioni dei cosiddetti “lupi solitari” (che solitari non sono mai) proseguono.
Perché l’Africa è considerata la nuova frontiera del terrorismo mondiale?
In Africa la situazione è drammatica e i gruppi affiliati all’Isis o ad al Qa’eda si macchiano ogni giorno di crimini efferati; pensiamo a quanto succede in Mozambico, Cameroun, Bukina Faso, Mali, Niger, Nigeria, Mauritania, Somalia o nella Repubblica Democratica del Congo o in Sudan ma solo per citarne alcuni. Paesi già fragilissimi con altissimi indici di corruzione, di miseria e da sempre depredati da dittatori senza scrupoli appoggiati dall’Occidente che ora sono finiti nelle braccia della Cina che li ha fatti sprofondare nella trappola del debito con le infrastrutture delle Via della Seta. L’Africa rischia davvero di esplodere e nessuno se ne occupa se non con stupidaggini legate ai barconi carichi di disperati. Attenzione anche al Sud Est asiatico, le dinamiche al Qa’eda vs Isis sono le stesse.
Cosa ha permesso all’Italia di restare praticamente indenne rispetto agli attacchi terroristici? Bravura dell’intelligence o esiste una specie di “lodo Moro” dei nostri giorni?
Il cosiddetto Lodo Moro valeva per il terrorismo palestinese -non certo disprezzato a sinistra- mentre quello odierno fino ad oggi non si è manifestato come altrove grazie alle capacità degli apparati di sicurezza ma la scena sta cambiando e gli stessi apparati temono che presto potrebbero colpire l’Italia. Magari la prossima primavera del 2022 quando l’Italia assumerà il comando della Nato Mission Iraq.
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Note
[1] Stefano Piazza giornalista e saggista, vincitore del premio “Cerruglio” con Allarme Europa (2016) e Sbirri, maledetti eroi (2019). Collabora con Panorama e il magazine di geopolitica Babilon.
[2] Luciano Tirinnanzi laureato in Scienze Politiche e relazioni internazionali all’Università di Pisa. Giornalista professionista ed esperto di terrorismo. Collabora con Panorama e il magazine di geopolitica Babilon.
Foto copertina: Copertina libro