Nel complesso mondo della globalizzazione i temi della competizione economica, del soft power e dei grandi fenomeni sociali si intrecciano e si sovrappongono con particolare forza e visibilità nel mondo del calcio, che oltre ad essere lo sport più popolare al mondo è un rilevante business di portata miliardaria


 

Il calcio è oggi, più che mai, la continuazione della competizione geopolitica con altri mezzi. Grandi potentati economici non occidentali hanno scelto la via del pallone per inserirsi nei mercati europei promuovendo in maniera diretta e sistemica la loro immagine. Traffici d’interessi, scambi di favori, tangenti hanno contraddistinto gli ultimi processi di assegnazione dei grandi eventi sportivi. L’industria globale del calcio è stimata capace di muovere un giro d’affari annuo pari a 36 miliardi di dollari[1] e i grandi team del mondo del calcio sono tra le società, non solo sportive, capaci di avere il brand più penetrante su scala internazionale. Pensiamo che club come il Barcellona, il Real Madrid o il Manchester United, le uniche squadre capaci di generare un fatturato annuo superiore ai 700 milioni di dollari[2], hanno un brand pervasivo e globalmente riconoscibile, fattore impensabile per qualsiasi impresa ordinaria dotata del medesimo fatturato.

Il calcio ha e ha sempre avuto nella storia un grande effetto leva sotto il profilo economico, ideologico, politico. Sia nei regimi totalitari (dall’Italia fascista all’Argentina dei colonnelli) sia in quelli democratici questo fattore è stato ben capito da coloro che hanno puntato, nel corso dei decenni, a cavalcare l’onda globale dell’entusiasmo per il mondo del pallone. Ma chi sono i “padroni” del calcio nel mondo contemporaneo? Alla domanda ha provato a rispondere il giornalista Marco Bellinazzo, titolare del blog Calcio e Finanza de Il Sole 24 Ore, nel suo saggio I veri padroni del calcio (Feltrinelli, 2017).

Il saggio di Bellinazzo è di alto valore perché l’autore ha grande dimestichezza con tre temi fondamentali: calcio, finanza, geopolitica. Ovvero tratteggia di ogni vicenda raccontata nel saggio sia la componente sportiva che la competizione politica e gli interessi economici in ballo. Interessante, in particolar modo, sono i capitoli dedicati ai Mondiali in Russia del 2018 (scritti prima dello svolgimento della rassegna), indicati giustamente da Bellinazzo come un volano per il rilancio economico del Paese e una vetrina per il soft power russo (pag. 96), e rivelatisi in seguito fondamentali per celebrare il (controverso) nuovo corso politico del Cremlino, vincitore della guerra in Siria, ma anche per coprire la più controversa riforma del suo governo, quella delle pensioni.

Ma non solo. Il saggio di Bellinazzo segnala il dirompente ingresso dei capitali arabi e cinesi nel mondo del pallone, la loro funzione di leva geoeconomica ben precisa. Il passaggio del club inglese del Manchester City in mani emiratine ha segnato l’apoteosi del legame tra il Regno Unito e il Golfo, quella del Paris Saint Germain nelle mani della famiglia regnante del Qatar suggellato, durante lo scorso decennio, un asse Parigi-Doha che ha avuto nell’ex presidente Nicolas Sarkozy e nell’ex fuoriclasse e a lungo dominus del calcio europeo Michel Platini i principali portavoce. Un asse fatto di investimenti strategici, interventi militari comuni (Libia 2011) e tanto, tanto pallone, come dimostra il percorso in discesa del Qatar verso l’assegnazione dei Mondiali 2022. Spazio anche per l’Italia, dove Milan e Inter sono transitate (e la seconda permane) sotto il controllo cinese negli anni in cui Pechino proponeva con maggior insistenza all’Italia investimenti a tutto campo nell’economia tricolor, culminati nella firma del memorandum di adesione di Roma alla “Nuova via della seta” nel marzo 2019.

Di questi tempi si sente e si è sentito a lungo parlare. Bellinazzo ha avuto, per primo in Italia, la capacità di far fare loro sistema. “Il calcio”, scrive l’autore, “è per molti aspetti un’ideologia. O perlomeno una moderna versione dell’ideologia che racchiude in sé un sempre più definito armamentario culturale, economico, sociale”. È la vera lingua franca dell’era globalizzata, un mezzo di comunicazione popolare e comune che può essere utilizzato per veicolare azioni politiche. È l’ultimo bastione dell’egemonia europea, già persa in ambito culturale, commerciale, tecnologico, demografico ma che resta, nella somma d’interessi, primario nel contesto del mondo del pallone, per quanto con dinamiche che lasciano presagire un consolidamento dell’assalto alla diligenza da parte dei Paesi del resto del mondo.

Essere “padroni del calcio” non significa, in sostanza, essere padroni di un impero o di un fattore di hard power. Ma per la sua rilevanza internazionale, il suo peso economico e il suo ruolo di aggregatore il calcio, e questo è il dato più importante del saggio di Bellinazzo, è un importante proxy dell’ascesa di nuovi potentati politici e finanziari nell’agone globale. Un “termometro” dei nuovi equilibri, come può esserlo la corsa alle nuove tecnologie, l’espansione dei mercati culturali, la nascita di nuove piazze finanziarie. Nel mondo complesso e competitivo del presente tutto è fattore di potenza: e il saggio di Bellinazzo ci aiuta a capirlo appieno.


Note

[1] Dati SportBiz

[2] Top-20 European soccer clubs by total revenue 2018/19 season, Statista.com


Foto copertina: Copertina libro