Gli appetiti delle consorterie criminali ed i potenziali settori di business illecito
L’Italia è il primo produttore mondiale di pomodori pelati e il terzo al mondo per il pomodoro destinato all’industria di trasformazione grazie a due poli principali: il polo del Mezzogiorno, che comprende sia la Campania (Provincia di Caserta) che la Puglia (Provincia di Foggia dove si concentra il 28% della superficie agricola nazionale coltivata a pomodoro da industria), e il polo del Nord Italia, che si concentra in Emilia-Romagna nelle Provincie di Parma, Piacenza e Ferrara[1]. Ma come talvolta avviene, le risorse possono trasformarsi ben presto in fonti di illegalità, disagio sociale e sopruso, e la piaga del caporalato ne è una prova evidente.
Che cos’è il caporalato
L’ “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” trova espressa previsione giuridica nell’articolo 603bis del codice penale, come modificato dalla legge 29 ottobre 2016, n.199. Così recita la norma: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque:
1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;
2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno…”. L’articolo prosegue individuando le aggravanti specifiche e collegando l’indice di sfruttamento alla sussistenza di una o più condizioni tipizzate. Tuttavia occorre evidenziare che il polimorfismo di tale fenomeno distorsivo del mercato mal si coniuga con una individuazione aprioristica.
“Fenomeno Puglia”
Il fenomeno in Puglia affonda le proprie origini nella riforma fondiaria del 1950 che ha frazionato il “tacco dello stivale” in zone con processi di modernizzazione e coltura intensiva e altre aree arretrate con elevati tassi di disoccupazione. In zone come il foggiano si rileva una sorta di sdoppiamento del ruolo di caporale che è una persona che lavora da più tempo nello specifico territorio e dunque ne conosce i meccanismi occupazionali. La sua attività è spesso subordinata a quella di un caporale di origine italiana che a sua volta è ingaggiato da imprenditori senza scrupoli. I nuovi caporali sono divenuti figure che insieme all’intermediazione lavorativa in senso stretto gestiscono anche la vita quotidiana dei lavoratori stranieri (gli spostamenti, l’alloggio e il vitto, i contatti sociali e la paga), costruendo un sistema di potere e di controllo. Sicuramente non è possibile individuare un modello unico di intermediazione illegale della manodopera: si va dal caporalato «etnico», tipo di intermediazione tra connazionali con forme variabili di sfruttamento.
La condizione alloggiativa dei migranti impegnati nel lavoro agricolo è un fattore estremamente critico, spesso vivono in borgate poco fuori dai centri abitati ed emblematica della situazione di forte disagio è “Borgo Mezzanone”, frazione di Manfredonia a circa 15 km da Foggia, abitata da almeno 1500 persone a fronte di una capienza massima di poco più di 600.
Lo sgombero e successivamente l’incendio divampato nel “ghetto” di Rignano Garganico del 03 agosto 2019 ha riversato nella banlieue agricola di Borgo Mezzanone migranti di diverse nazionalità, età e condizione giuridica[2]. È bene sottolineare che lo sviluppo di ghetti nella provincia dauna è solo la naturale evoluzione del reclutamento nelle piazze che generava una eccessiva dispersione dei migranti sul territorio e rendeva più lungo e dispendioso il processo di selezione della forza lavoro.
L’esistenza di tali insediamenti sul territorio nazionale innalza notevolmente la percezione di insicurezza della comunità locale che percepisce questi aggregati come vere e proprie zone franche sotto molteplici profili, in primis quello criminale. La generale condizione di degrado è stata denunciata in due rapporti di Medici senza frontiere e nel 2007 nel reportage del giornalista dell’Espresso Fabrizio Gatti che, fintosi immigrato, ha lavorato per un giorno nelle campagne del Tavoliere, documentandone la routine quotidiana, meccanismi di reclutamento e abusi.
Quanto alla provenienza della manodopera straniera, il dato che emerge è la massiccia presenza nella provincia di cittadini europei, anche neo comunitari che risponde ad una logica ben precisa. Gli immigrati extracomunitari di origine africana hanno ormai sviluppato nel nostro Paese un network di conoscenze, godono di un vantaggio informativo tale da permettere anche ai nuovi arrivati di orientarsi meglio in Italia e valutare dove andare a lavorare. Le statistiche sugli stranieri in Capitanata mostrano ondate periodiche di immigrati di diverse nazionalità: il gran numero di lavoratori polacchi degli anni passati ha subito una brusca frenata, per essere sostituita da romeni e albanesi[3].
Con riferimento ai costi si consideri che, in uno schema ovviamente variabile, un bracciante sotto caporale viene pagato 3,50 euro a cassone, di cui 0,50 vanno al caporale, che in più prenderà cinque euro per il trasporto nei campi. Quindi, quando raccoglie dieci cassoni al giorno, ognuno dei quali contiene circa tre quintali di pomodori, quel bracciante guadagna 25 euro, mentre il proprietario ha versato al caporale 35 euro. Il caporale guadagna quindi dieci euro; il proprietario ne risparmia più o meno 15 rispetto ai contratti provinciali in agricoltura[4].
Le agromafie
Nella situazione sopradescritta si inseriscono le cd. Agromafie. Il monito “Segui i soldi e troverai la mafia” di Giovanni Falcone è oggi attuale più che mai in una Europa dove la libertà di circolazione e del mercato ha ridato ossigeno all’economia lecita, fornendo al contempo “spazi del liberismo selvaggio” alle consorterie criminali, come diceva Pio La Torre. Proprio attraverso questi spazi le organizzazioni criminali del vecchio continente hanno procurato un danno economico stimato in 670 miliardi di mancati ricavi per l’economia legale, mentre l’UNODC (Ufficio delle Nazioni Unite per la Droga e il Crimine) stima che le attività illegali nel mondo corrispondono a circa il 3,6% del PIL mondiale[5].
Secondo invece i dati forniti dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo il fatturato delle agromafie è quantificabile in 12,5 miliardi di euro[6]. Dai dati occorre partire se si vuole comprendere il fenomeno del caporalato ed in particolare da quelli relativi alla tratta di esseri umani per avere piena consapevolezza di come il fenomeno si sia evoluto. La tratta di esseri umani è il terzo business per ordine di grandezza e importanza delle mafie a livello globale dopo il traffico di droga e armi e si compone a sua volta di diversi reati, tra i quali due su tutti, la tratta finalizzata allo sfruttamento sessuale e, appunto, lo sfruttamento lavorativo.
Altri due settori destano l’appetito delle Agromafie della Capitanata: gestione della filiera nel mondo agricolo e “promozione” delle energie rinnovabili. È pacifico ritenere che l’agroalimentare sia un settore strategico per l’investimento delle mafie in primis perché seppure lentamente ha continuato a crescere nonostante la crisi, in secundis perché il richiamo al Made In Italy è sempre sinonimo di garanzia e qualità ed infine perché il possesso della terra significa controllo del territorio.
Questo secondo ambito costituirà sicuramente un’ambizione delle consorterie criminali della provincia di Foggia visto l’enorme potenziale dovuto alla diversità morfologica del suo territorio.
Note
[1] La filiera del pomodoro da industria, Marcello De Maria (Università di Bari), 2013
[2] Rapporto ottobre 2017, Terraingiusta, Medici per i Diritti Umani (MEDU), 2017
[3] Tra sfruttamento e protesta: i migranti e il caporalato agricolo in Italia meridionale, Angelo Scotto, 2016
[4] https://www.internazionale.it/opinione/alessandro-leogrande/2017/03/08/braccianti-rignano-caporalato
[5] Terzo rapporto agromafie e caporalato, Osservatorio Placido Rizzotto, 2016
[6] https://tg24.sky.it/cronaca/2017/03/04/Incendio-gran-ghetto-foggiano-ruspe-abbattimento-baracche-indagini-sit-in
Foto copertina: Immagine web