Makuchyan e Minasyan vs. Azerbaigian e Ungheria: un’analisi del ricorso presentato alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
A cura di Alice Stillone
Proporre un’analisi del caso Makuchyan e Minasyan vs. Azerbaigian e Ungheria è importante dal momento che, a causa delle sue peculiarità, il caso fa sorgere importanti spunti di riflessione circa la posizione dei giudici di Strasburgo riguardo numerose questioni spinose in diritto internazionale, in particolare: l’applicazione extra territoriale della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo, quella dell’attribuzione della condotta di un singolo allo Stato, nonché l’onere di provare l’intento discriminatorio[1].
Prima di procedere con lo studio dei punti salienti affrontati dalla Corte, è necessaria una breve introduzione ai fatti.
Nel 2004 due soldati armeni ed uno dell’Azerbaigian parteciparono ad un corso di inglese organizzato nell’ambito del programma “Partnership for Peace” sponsorizzato dalla NATO a Budapest, in Ungheria. Nella mattina del 19 febbraio 2004, il soldato dell’Azerbaigian – R. S. – fa irruzione nella stanza di uno dei soldati armeni – G. M. – uccidendolo nel sonno, per poi dirigersi verso la camera dell’altro soldato armeno tentando di fare lo stesso. Dopo essere stato fermato dalla polizia, durante l’interrogatorio R. S. addusse, tra le motivazioni che lo avevano spinto a commettere l’omicidio, il forte disdegno nei confronti degli armeni dovuto alla perdita di numerosi parenti durante il conflitto del Nagorno-Karabakh.
A seguito di ciò, nel 2006, le Corti dell’Ungheria, territorio in cui si era svolto l’omicidio del primo soldato armeno ed il tentato omicidio del secondo, condannarono il perpetratore del crimine all’ergastolo. Otto anni dopo R.S. venne trasferito in Azerbaigian dove, stando alle dichiarazioni del governo azero, una volta trasferito avrebbe continuato a scontare la pena senza beneficiare di alcuna riduzione. Tuttavia, appena entrato in territorio dell’Azerbaigian, R. S. venne rilasciato, perdonato, promosso di rango e rimborsato degli stipendi di cui non aveva potuto fruire per il periodo passato in prigione.
Il caso arriva a Strasburgo quando un parente del soldato armeno assassinato ed il soldato armeno sopravvissuto adiscono la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo lamentando una violazione dell’art. 2 (diritto alla vita) dell’omonima convenzione, nei suoi due aspetti, sostanziale e procedurale, da parte dell’Azerbaigian. I ricorrenti inoltre ritengono vi sia una violazione, da parte dello stesso Stato, dell’art. 14 della Convenzione riguardante il divieto di discriminazione, letto in combinato disposto con il suddetto art. 2, dal momento che il crimine del perpetratore e il suo successivo scarceramento in Azerbaigian furono entrambi motivati da un intento discriminatorio nei confronti dei due soldati e a causa della loro nazionalità. In ultimo, i ricorrenti lamentano una violazione dell’aspetto procedurale dell’art. 2 anche da parte dell’Ungheria per aver concesso il trasferimento del soldato all’Azerbaigian senza aver prima ottenuto garanzie sul fatto che la pena di R. S. non avrebbe subito una riduzione.
Dopo aver analizzato i fatti, la Camera conclude all’unanimità che l’Azerbaigian ha violato l’art. 2 della Convenzione nonché, con 6 voti favorevoli ed uno contrario, l’art. 14 della stessa. Tuttavia, con 6 voti favorevoli ed uno contrario, la Camera non rileva una responsabilità dell’Azerbaigian per l’omicidio della vittima armena, né tantomeno una dell’Ungheria per il trasferimento del perpetratore del crimine in Azerbaigian.
In altre parole la Camera rileva una violazione dell’aspetto procedurale dell’art. 2 – dal momento che l’Azerbaigian ha scarcerato e concesso una lunga serie di benefici ad R. S. nonostante le rassicurazioni che aveva fornito all’Ungheria per ottenere il suo scarceramento – e una violazione dell’art. 14, tuttavia non rileva una violazione dell’aspetto sostanziale dell’art. 2 da parte dell’Azerbaigian, né tanto meno ritiene che l’Ungheria avesse responsabilità per aver concesso il trasferimento del detenuto al suo paese d’origine.
Circa la questione della responsabilità dell’Azerbaigian per lo scarceramento di R. S., la Corte ritiene che egli sia stato trattato dal governo azero come una persona innocente e ingiustamente condannata e che ciò gli avesse fatto ottenere l’impunità per i crimini commessi in territorio ungherese. Ciò, secondo la Corte, è incompatibile con l’obbligo, sancito all’art. 2, di scoraggiare efficacemente i crimini che comportano la perdita di vite umane [2].
Vale la pena soffermarsi sulla presunta violazione dell’aspetto sostanziale dell’art. 2 dal momento che la Corte, nel valutare la responsabilità dell’Azerbaigian per l’uccisione del soldato armeno, affronta la questione dell’attribuzione della condotta di un singolo allo Stato, richiamando l’art. 11 del Progetto di articoli sulla responsabilità statale. A tal proposito la Corte ritiene anzitutto che, nonostante R. S. fosse un soldato – quindi un organo statale – egli non stava agendo per conto dello Stato quando ha commesso il crimine [3]. Inoltre, ai sensi dell’art. 11 del Progetto di articoli, la condotta di R. S. non può essere attribuita all’Azerbaigian in quanto il suddetto articolo sancisce l’attribuzione di una condotta di un singolo allo Stato solo nel caso in cui esso la riconosca e l’adotti come propria. La corte si sofferma sui due criteri, quello del “riconoscimento” dell’atto come proprio e dell’ “adozione” dell’atto stesso, considerandoli cumulativi. Nel caso specifico, nonostante la Corte ritenga che lo scarceramento, la promozione e gli altri benefici offerti ad R. S. costituiscano di fatto una forma di approvazione delle sue condotte, ciò non basta a concludere che lo Stato convenuto abbia riconosciuto e adottato le condotte del perpetratore come proprie [4].
Per quanto riguarda l’accusa dei ricorrenti nei confronti dell’Ungheria, ai sensi della quale quest’ultima avrebbe violato l’aspetto procedurale dell’art. 2 trasferendo R. S. all’Azerbaigian, la Corte non rileva alcuna violazione. Infatti, secondo i giudici di Strasburgo, l’Ungheria avrebbe osservato correttamente la procedura contenuta nella Convenzione sul trasferimento delle persone condannate del Consiglio d’Europa e disciplinante la materia.
Infine, riguardo la violazione dell’art. 14, i giudici di Strasburgo ritengono che i ricorrenti abbiano presentato prove sufficientemente convincenti del fatto che le misure adottate dalle autorità dell’Azerbaigian volte a tutelare il perpetratore del crimine, fossero motivate da ragioni razziali e, pertanto, che sia R. S. che l’Azerbaigian abbiano violato il divieto di discriminazione ex art. 14, agendo con intento discriminatorio nei confronti dei due soldati sulla base della loro nazionalità.
In conclusione, vale la pena di accennare brevemente ad un ulteriore elemento di criticità del caso appena discusso: l’applicazione extra territoriale della Convenzione.
Infatti, le violazioni alla convenzione che i ricorrenti lamentano sono tutte extra territoriali dal momento che si sono verificate in Ungheria e che il perpetratore non ha commesso alcun crimine in territorio azero. Nonostante né i ricorrenti né gli Stati convenuti a giudizio abbiano sollevato la questione dell’extra territorialità, la Corte l’affronta proprio motu. Essa infatti conclude sul punto sostenendo che vi siano “caratteristiche specifiche” in questo caso che fanno scattare l’applicazione extra territoriale della Convenzione con riguardo all’aspetto procedurale di cui all’art. 2.
Note
[1] Kushtrim Istrefi, Cedric Ryngaert, Makuchyan and Minasyan v Azerbaijan and Hungary: Novel Questions of State Responsibility, Presidential Pardon, and Due Diligence of Sentencing Transfer Meet in a Rare Case of the Right to Life in European Convention on Human Rights Law Review. https://brill.com/view/journals/eclr/3/2/article-p263_005.xml?language=en
[2] Kanstantsin Dzehtsiarou, Makuchyan and Minasyan v. Azerbaijan and Hungary, in The American Journal of International Law.
[3] ECHR, Case of Makuchyan and Minasyan v. Azerbaijan and Hungary, Application no. 17247/13, para. 111.
[4] Cfr. ivi, para. 114-118.
Foto copertina: Makuchyan e Minasyan vs. Azerbaigian e Ungheria: un’analisi del ricorso presentato alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo