A seguito del netto deterioramento dei rapporti tra Parigi e Bamako, il 17 febbraio la Francia, assieme al Canada e ai partner europei, ha annunciato il suo ritiro dal Mali, ponendo così termine all’Operazione Barkhane, dopo nove anni di lotta antijihadista nel paese.


A seguito del netto deterioramento dei rapporti tra Parigi e Bamako, il 17 febbraio la Francia, assieme al Canada e ai partner europei, ha annunciato il suo ritiro dal Mali, ponendo così termine all’Operazione Barkhane, dopo nove anni di lotta antijihadista nel paese. A maggio l’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’UE, Joseph Borrell, ha dichiarato la sospensione degli addestramenti militari alle Forze armate maliane nell’ambito dell’EUTM Mali e della consegna di aiuti militari al Mali attraverso la European Peace Facility.  Su questi recenti sviluppi si innestano le crescenti interferenze russe nel Sahel attraverso la Compagnia militare privata Wagner Group e per mezzo di operazioni ibride di varia natura, che pongono nuove sfide alla presenza francese ed europea in una regione definita come una “priorità strategica per l’UE ed i suoi Stati membri” nel 2019 dal Consiglio dell’Unione.


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Un decennio di presenza europea in Mali: dall’attivismo inziale all’attuale ritiro

Le radici dell’intervento francese in Mali, e successivamente della presenza dell’Unione europea per il tramite di missioni civili e militari, sono da ricercarsi negli sconvolgimenti che si sono prodotti in Mali a partire dal 2012. Il Mali ha cominciato a divenire una fonte di crescente instabilità per il Sahel a seguito dell’insurrezione dei ribelli del Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad (MNLA) contro il governo centrale di Bamako e del colpo di stato che nel marzo del 2012 ha portato alla destituzione del presidente Amadou Toumani Touré da parte del Capitano Sanogo, seguita dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza dell’Azawad.[1] La conquista da parte dei ribelli dell’Azawad dell’intera regione settentrionale del Mali e l’imposizione della legge della Sharia in quell’anno causò un esodo massiccio di persone verso le regioni settentrionali del Mali ed i paesi vicini.[2] In un clima di instabilità e violenza in Mali, il lancio di un’offensiva dei ribelli verso Bamako spinse il governo transitorio di Dioncounda Traouré a chiedere supporto alla Francia, che all’inizio del 2013 diede inizio all’Operazione Serval.[3] L’Operazione riscosse un iniziale successo. Il dispiegamento rapido di forze aeree e forze speciali francesi in stretto coordinamento con soldati di altri paesi africani ebbe un “effetto decisivo”[4]: nell’arco di alcuni mesi venne arrestata l’avanzata dei ribelli e venne ripreso il controllo di città chiave della regione settentrionale del Mali.[5] Il primo agosto del 2014 avvenne poi la transizione dall’Operazione Serval all’operazione Barkhane, che diede al dispositivo militare precedente una maggiore vocazione regionale concentrata sul Sahel e tesa a far fronte alla minaccia transfrontaliera dei gruppi jihadisti.[6] Con il dispiegamento di 3500 uomini, Barkhane si proponeva l’obiettivo di controllare una vasta area compresa tra il Chad e la Mauritania, per controllare confini e snodi strategici e privare i jihadisti del supporto logistico nell’area.[7] A seguito del dispiegamento dell’operazione Barkhane, nello stesso anno, gli stati interessati nella regione diedero avvio ad un’iniziativa multilaterale, il G5 Sahel, composto da Mali, Mauritania, Burkina Faso, Chad e Niger e teso a promuovere il coordinamento delle politiche nazionali di sicurezza e di sviluppo degli stati coinvolti. L’influenza di Parigi nella regione e i suoi legami storici, diplomatici, e militari con gli stati saheliani hanno posto le basi per un forte partenariato strategico tra le forze francesi di stanza nella zona e il G5 Sahel. Nel corso degli anni, Parigi ha cercato di armonizzare le iniziative politiche degli stati del G5 Sahel e di ridurre i costi del suo impegno militare nella regione, promuovendo un’”africanizzazione” dei processi di stabilizzazione regionale[8] e spingendo per una maggiore integrazione militare tra gli stati saheliani attraverso la creazione di una forza congiunta, la G5 Sahel Joint Force, istituita formalmente nel 2017.[9] Al contempo, anche l’Unione europea ha visto crescere il suo attivismo e la sua presenza nella regione. Il Sahel ha iniziato a divenire una priorità per l’Unione europea nel 2012 a seguito dell’insurrezione dei ribelli del Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad (MNLA) e del colpo di stato che ha portato all’avvio dell’Operazione Serval in Mali. È in queste circostanze infatti che venne concepito il dispiegamento della European Union Training Mission Mali (EUTM Mali), una missione di addestramento militare attivata sulla spinta delle richieste provenienti dalle Nazioni Unite e dal Parlamento europeo, nonché dallo stesso Presidente della Repubblica del Mali nel 2012, e che dal febbraio del 2013 è operativa a Bamako.[10] Lo scopo precipuo della missione è quello di rafforzare le capacità delle Forze Armate maliane (spesso denominate con l’acronimo francese FAMa) per consentirne l’autosufficienza e la capacità di difesa della popolazione e del territorio maliani. Il suo mandato è stato rinnovato per la quinta volta nel marzo del 2020 con un aggiornamento degli obiettivi strategici della missione, che includono il miglioramento delle capacità delle FAMa, il contributo alla stabilizzazione politica, il ripristino dell’autorità dello stato e dello stato di diritto, il supporto al G5 Sahel istituito nel 2017.[11] L’EUTM Mali opera attraverso l’addestramento di unità militari maliane, l’assistenza a tutti i livelli delle FAMa, il contributo al miglioramento del sistema di educazione militare, la consulenza e l’addestramento alla forza congiunta del G5 Sahel,[12] cui si accennerà in seguito. La grave instabilità politica nel Sahel e i crescenti flussi migratori nel 2015 hanno spinto l’Ue ad attribuire una maggiore attenzione al Sahel, osservato sempre più attraverso lenti securitarie.[13] Su invito delle autorità maliane, nel gennaio del 2015 l’Ue ha istituito l’EU Capacity-Building Mission Sahel Mali (EUCAP Mali), una missione civile di crisis management stabilita a Bamako e operante in stretto coordinamento con le altre missioni dell’UE nella regione: EUTM Mali, EUCAP Sahel Niger ed EUBAM Lybia. Il suo mandato è stato rinnovato numerose volte, l’ultima nel gennaio del 2021, quando il Consiglio dell’UE lo ha esteso fino al 2023, allocandovi un budget di €89 milioni.[14] La missione mira al rafforzamento dello stato maliano, offrendo consulenze strategiche ed addestramenti alla Polizia maliana, alla Gendarmerie e alla Guardia nazionale volti a rafforzare le capacità nell’ambito del controterrorismo, della lotta al crimine organizzato, della gestione dei confini, dell’affermazione dello stato di diritto e del ripristino dell’amministrazione civile.[15]Fino al 2020 si è assistito ad un proliferare di iniziative diplomatiche e militari, promosse soprattutto da Parigi e favorite dal clima di cooperazione con le autorità maliane. Il 13 gennaio del 2020, nell’ambito del summit di Pau, i capiti di Stato del Burkina Faso, del Chad, del Mali, della Mauritania, del Niger e della Francia hanno annunciato il lancio della “Coalizione per il Sahel” in presenza del Segretario Generale delle Nazioni Unite, del Presidente del Consiglio Europeo, dell’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, e del Presidente della Commissione dell’Unione Africana.[16]
La Coalizione è nata con l’intento di rafforzare la solidarietà con gli attori saheliani e di fornire un quadro comprensivo per guidare l’azione internazionale nel Sahel sulla base di quattro pilastri, due dei quali dedicati ad azioni di capacity-building: la lotta ai gruppi terroristi armati; il rafforzamento le capacità delle Forze armate nella regione; il ripristino dello stato e dell’amministrazione ed il conseguente miglioramento dell’accesso ai servizi essenziali; l’assistenza allo sviluppo.[17] Nell’ambito del primo pilastro a sostegno di azioni di contro-terrorismo, il 27 marzo del 2020 è stata attivata su richiesta delle autorità maliane la Takuba Task Force, un gruppo di forze speciali europee di oltre dieci paesi europei, dotata di 800 effettivi e posta sotto il comando dell’Operazione Barkhane.[18] L’obiettivo precipuo affidato alla forza speciale Takuba è quello di neutralizzare le capacità militari dell’Islamic State in the Greater Sahara (ISGS) nella regione di Liptako con operazioni mirate di controterrorismo, consentendo in tal modo all’Operazione Barkhane di concentrarsi in altre regioni limitrofe. Il metodo delle forze Takuba è quello della cosiddetta strategia delle “3A” (Accompany, Advice, Assist) che vede le forze speciali europee operare congiuntamente con le Forze armate maliane al fine di portare queste ultime all’”autonomia operativa”.[19] Inoltre, l’UE riveste un ruolo di rilievo nella “Coalizione per il Sahel”, contribuendo a tutti i pilastri e co-gestendo il secondo e il terzo pilastro con Segretariato esecutivo del G5 Sahel. In particolare, gli addestramenti militari dell’EUTM Mali contribuiscono agli obiettivi del secondo pilastro, mentre il contributo al terzo viene offerto attraverso le missioni civili EUCAP Sahel Mali e Niger e strumenti finanziari come l’EU Emergency Trust Fund (EUTF) ed il nuovo strumento della programmazione 2021-2027 Neighbourhood, Development and International Cooperation Instrument – Global Europe (NDICI – Global Europe).[20] L’UE ha poi riaffermato la sua disponibilità a mantenere il suo impegno nel Sahel attraverso la Strategia integrata dell’UE per il Sahel (EU Integrated Sahel Strategy), pubblicata nel 2021. Tuttavia, i colpi di stato susseguitisi in Mali nell’agosto 2020 e poi, ancora, nel maggio del 2021 hanno contribuito a mutare il quadro sinora descritto delle relazioni tra Europa e Mali e, nello specifico, ad un forte deterioramento delle relazioni tra Parigi e Bamako. Se dopo il golpe del 2020 ai danni del presidente democraticamente eletto Ibrahim Boubacar Keita, Parigi è riuscita a mantenere rapporti amichevoli con i leader della giunta militare, le relazioni si sono inasprite a seguito del coup d’état del 2021, che ha visto la rimozione del presidente di transizione Bah Ndaw, favorevole a Parigi.[21] Il punto di non ritorno è stato raggiunto lo scorso gennaio, quando la giunta militare del Mali ha rinnegato la promessa di svolgere elezioni democratiche a febbraio ed ha proposto un periodo di transizione di cinque anni, espellendo allo stesso tempo le forze militari danesi dalla forza speciale Takuba.[22] L’espulsione dell’ambasciatore francese in Mali e la più recente decisione della giunta di ritirarsi dal G5 Sahel nonché dalla sua forza congiunta, aspramente criticata dall’Alto Rappresentante Joseph Borrell[23], hanno costretto la Francia e l’Europa a ridimensionare fortemente la loro presenza nello stato maliano e a dubitare della possibilità di collaborare ulteriormente con le autorità maliane. Queste premesse spiegano gli sviluppi del 17 febbraio di quest’anno, quando, in una dichiarazione congiunta diffusa dall’Eliseo, la Francia, il Canada e gli altri alleati europei hanno annunciato il loro “ritiro coordinato” dal paese, pur proclamando la loro disponibilità a proseguire il proprio impegno nella regione contro la minaccia jihadista.[24] Più recentemente invece, a seguito del Consiglio Affari esteri cha ha riunito i ministri della Difesa europei lo scorso 17 maggio, l’Alto rappresentante Joseph Borrell ha annunciato la sospensione degli addestramenti operativi alle unità delle Forze armate maliane e alla Guardia nazionale, così come l’interruzione della consegna di equipaggiamenti militari finanziata dalla European Peace Facility,[25] un Fondo posto al di fuori del bilancio comunitario e utilizzato per finanziare missioni militari e di peace-building. Secondo l’Alto rappresentante le autorità di transizione maliane non offrirebbero garanzie sufficienti a conferma della non-interferenza dei mercenari russi nelle Forze armate maliane addestrate dall’EUTM Mali.[26] La Francia, l’UE ed i suoi stati membri vedono la propria influenza in Mali progressivamente erosa e sono dunque costretti a spostare il focus geografico della loro presenza nel Sahel, ricollocando soldati e mezzi nei paesi vicini. A febbraio, durante lo svolgimento del summit Unione Europea-Unione Africana, Emmanuel Macron aveva già annunciato l’intenzione di rafforzare la cooperazione militare con il Niger allo scopo di proseguire la lotta contro i gruppi di insorti jihadisti attivi nel Sahel. [27] Più recentemente invece, a seguito del Consiglio Affari esteri cha ha riunito i ministri della Difesa europei lo scorso 17 maggio, l’Alto rappresentante Joseph Borrell ha affermato che l’UE ridurrà i suoi effettivi presenti in Mali e provvederà ad una riallocazione delle risorse militari nei paesi limitrofi. Ciò, tuttavia, non significa che l’UE stia abbandonando il Sahel.[28] L’attenzione verrà concentrata sugli sviluppi nel Golfo di Guinea, mentre si procederà ad una revisione strategica delle due missioni dell’UE in Mali. [29] Lo scontro con i leader della giunta militare in Mali non porrà dunque termine alla presenza militare e alle operazioni di contro-terrorismo della Francia, dell’UE e degli altri partner occidentali nella regione del Sahel e nell’Africa occidentale. La Francia conserva basi permanenti a Niamey, in Niger, e a N’Djamena, in Chad, e possiede inoltre personale stazionato su base permanente in Costa d’Avorio e Senegal: questo potrebbe dunque condurre la Francia a spostare i propri sforzi nella lotta al terrorismo in questi stati litoranei dell’Africa occidentale, dove vari gruppi islamisti stanno guadagnando terreno.[30]

Le interferenze russe pongono nuove sfide per le forze europee nel Sahel

Una variabile fondamentale alla base della decisione francese di ritirarsi dal Mali e di quella dell’Alto rappresentante dell’UE di sospendere l’assistenza alle Forze armate maliane nel quadro dell’EUTM Mali è la crescente presenza russa in Africa Sub-sahariana, con rilevanti ramificazioni in paesi come la Repubblica Centrafricana e il Mali. La Russia ha esteso la sua influenza nel continente africano a partire dagli ultimi quattro anni ed il suo crescente ruolo in Africa si carica di ulteriori significati alla luce dell’invasione in Ucraina. In precedenza, la Russia probabilmente non percepiva quest’ultimo nei termini di una competizione con l’Europa, ma il conflitto in Ucraina ha significativamente mutato la realtà.[31] Ora, nella visione strategica di Mosca, l’Africa acquisisce due dimensioni di rilievo: essa diviene in primo luogo una fonte di commodities e di risorse minerarie utili per far fronte alle sanzioni dell’Occidente; in secondo luogo, l’Africa assume il ruolo di campo di battaglia alternativo per spostare l’attenzione degli stati europei verso il Sud e minarne la coesione interna.[32] Per quanto attiene alla prima dimensione, la Russia ha sviluppato la prassi di utilizzare compagnie militari private (CMP) nei paesi dell’Africa Sub-sahariana allo scopo di offrire servizi di sicurezza per ottenere in cambio diritti di estrazione di risorse e accesso a risorse energetiche.[33] Questa strategia rispecchia le azioni russe intraprese in Mali. Attualmente, infatti, la CMP russa Wagner Group ha dispiegato 1000 unità in Mali e le è stato affidato il compito di addestrare le forze armate locali e di fornire servizi di sicurezza a funzionari maliani, in cambio di un compenso di 10.8 milioni di dollari al mese e della possibilità di accesso a risorse locali come l’oro.[34] La presenza di una delle maggiori CMP russe in Mali risulta estremamente problematica per la Francia ed i partner europei. Sussiste infatti l’elevato rischio che la Wagner Group possa compromettere i risultati ottenuti dalle operazioni di controterrorismo condotte dalla Francia negli ultimi nove anni. La CMP russa ha infatti dimostrato inesperienza e scarsa preparazione nel contrasto alle minacce locali come il jihadismo; inoltre, non sembra probabile che sia intenzionata a compiere operazioni di controterrorismo e a risolvere i problemi di governance dello stato maliano, essendo mossa dalla priorità di garantirsi la dipendenza dello stato dai suoi servizi di sicurezza e l’accesso continuato alle risorse naturali locali.[35] Un altro aspetto estremamente controverso della presenza della compagnia Wagner in Mali sono le violenze perpetrate dalla compagnia stessa, al di là dei gruppi jihadisti: la Wagner ha compiuto torture, stupri, saccheggi, occupazioni di scuole, violenze indiscriminate verso i civili nella Repubblica Centroafricana, ed è probabile che simili abusi vengano ripetuti anche in Mali.[36] I tentativi di Mosca di accrescere la propria influenza nel continente africano non si limitano al dispiegamento di CMP come la Wagner Group ma fanno leva su altri strumenti che includono il ricorso a tattiche ibride, ad operazioni coperte ed operazioni di informazione.[37] Uno studio dell’European Union Institute for Security Studies, infatti, ha fatto luce sulla diffusione di attacchi ibridi in Africa, perpetrati da attori statali e non-statali e frequentemente diretti alle missioni di Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC) dell’Unione europea in Africa Sub-sahariana, allo scopo di minare le capacità e la credibilità dell’Ue come attore di sicurezza nella regione. La Russia figura tra gli attori statali più attivi nell’attuare operazioni ibride ai danni dell’Ue, soprattutto tramite la manipolazione delle informazioni. Nella Repubblica Centrafricana sono stati individuati numerosi articoli nella stampa locale volti a screditare l’operazione di addestramento militare dell’Ue EUTM RCA, dipinta come un “piano machiavellico per indebolire le Forze Armate Centrafricane con cattivi addestramenti”.[38] Anche in Mali sono emerse minacce ibride di simile natura. Sono state trovate prove del coinvolgimento della Russia come attore ibrido nello stato maliano attraverso manifestazioni pro-Russia svoltesi in periodi elettorali che, pur non attaccando direttamente le operazioni civili e di addestramento dell’Ue presenti in Mali, hanno contribuito a screditare l’immagine della Francia e dell’Occidente, alterando indirettamente il modo in cui le operazioni dell’Ue vengono percepite nel contesto locale.[39] Ciò avviene in uno scenario sempre più teso, nel quale “l’Africa sta diventando un campo di battaglia ibrido in un più ampio confronto geopolitico tra potenze che cercano di ostacolare i reciproci obiettivi strategici”.[40] In questo scenario, la fragilità statale e l’instabilità politica di molti paesi africani, così come l’inasprimento di violenze e conflitti forniscono un terreno fertile per una varietà di operazioni ibride.[41] Il ricorso a minacce ibride per minare la credibilità delle operazioni e delle missioni europee ben si comprende nel quadro della visione strategica russa descritta precedentemente, che fa dell’Africa un terreno di scontro alternativo con l’Europa verso il quale deviare l’attenzione degli stati europei. 

Conclusioni

Il Sahel appare dunque un teatro sempre più teso e destabilizzato da interferenze di attori esterni, che impediscono all’UE e ai suoi Stati membri, primo fra tutti la Francia, di perseguire i propri obiettivi e di puntare ad una stabilizzazione duratura del Mali, dove si prevede che il ritiro dell’Occidente determinerà un proseguimento, se non un inasprimento, della violenza armata connessa ai gruppi terroristi come l’ISGS e Jama’at Nasr al-Islam wal Muslimin (Group for the Support of Islam and Muslims—JNIM), ai gruppi separatisti Tuareg e alle operazioni della stessa Wagner.[42] In un tale contesto, si ritiene necessario un ripensamento dell’approccio che sinora ha guidato le azioni dell’Unione europea e le iniziative dei singoli stati europei e di altri partner occidentali nel contesto maliano. In primo luogo, risulta opportuna una riflessione sui fallimenti delle operazioni francesi in Mali, riconducibili ad una molteplicità di fattori che includono errori politici ed operativi, accompagnati da un fraintendimento delle dinamiche di conflitto locali.[43] Tuttavia, il limite principale messo in evidenza nella letteratura sull’impegno della Francia e degli altri partner europei in Mali tramite l’Operazione Barkhane e le forze speciali Takuba è la priorità accordata ad un approccio di tipo militare, finalizzato a contrastare i gruppi jihadisti nella regione, sulla base dell’assunto erroneo secondo cui il terrorismo jihadista è la causa di fondo dell’instabilità nel Sahel.[44] La Francia avrebbe fallito ad affrontare la crisi della governance in Mali, a promuovere leader in grado di garantire la legittimità delle strutture di governance e ad affrontare le radici profonde dei conflitti e dell’instabilità saheliana.[45] Questi fallimenti hanno messo in luce l’incapacità della Francia a risolvere la crisi della sicurezza in Mali, alimentando così un crescente sentimento antifrancese nella popolazione[46], che – come visto nel paragrafo precedente – la Russia riesce a manipolare sapientemente anche grazie all’utilizzo di tattiche ibride. Un simile approccio promuove priorità che sono essenzialmente internazionali, spesso non corrispondenti a quelle locali che danno maggiore enfasi alla sicurezza alimentare e all’occupazione.[47] La militarizzazione può produrre risultati positivi di breve termine ma può avere impatti profondamente negativi sulla mobilità delle persone per scopi economici e sulla legittimità ruolo dello stato come fornitore di servizi, fallendo così a garantire una stabilità per le popolazioni nel lungo termine.[48]  Le considerazioni sugli aspetti problematici di un approccio focalizzato sulla militarizzazione possono essere estese anche all’operato dell’Unione europea: secondo le analisi del Centre for European Policy Studies di Bruxelles sarebbe necessario un cambiamento di paradigma nell’engagement dell’UE nel Sahel, che dovrebbe puntare a riequilibrare un’azione e una logica securitaria, basata sulle operazioni e l’assistenza militare, con un approccio maggiormente centrato sullo sviluppo e sulla human security.[49]  Un altro aspetto critico dell’engagement dell’Unione nel Sahel messo in luce dagli analisti è l’accento posto sul rafforzamento delle capacità statali, attraverso il supporto militare, ignorando dinamiche socio-politiche e contribuendo ad esacerbare le tensioni a seguito del fallimento della ricostruzione dello stato del Mali.[50] Inoltre, proseguire con un approccio fondato sulla promozione dello state-building, secondo un modello che pratica l’equidistanza da tutti gli attori locali, ma che di fatto trae vantaggio dalla presenza di autocrati, è controproducente in un contesto in cui altri attori esterni come Russia e Cina intervengono per ottenere influenza sui regimi autoritari africani ed accedere a risorse strategiche, come sostiene Theordore Murphy, direttore del Programma Africa presso l’European Council on Foreign Relations.[51] Questo potrebbe condurre l’Ue a compromettere i propri valori e a farsi coinvolgere in una competizione al ribasso con Cina e Russia, una mossa rischiosa se non eseguita per perseguire imperativi strategici prioritari: nel caso del Mali, l’imperativo del controterrorismo è tuttavia venuto meno, con i partner europei scalzati dai mercenari russi. Sarebbe quindi auspicabile, ridefinire la strategia europea nella regione, attribuendo maggiore priorità ai valori europei e alla collaborazione con partner africani che condividono i valori dell’Unione, anche se collocati al di fuori delle istituzioni governative, come nel caso di movimenti di protesta popolare che operano in contesti repressivi.[52] In questo modo, verrebbero poste delle basi più durature per il successo degli sforzi di state-building e si potrebbe espandere il bacino di alleati vicini ai valori europei da poter puntellare in una regione definita come “arco di instabilità” [53]. In ultima analisi, un nuovo approccio è necessario per scongiurare che il Mali, così come la regione del Sahel nel suo complesso, divengano uno scacchiere dove potenze illiberali quali la Russia e la Cina intervengono utilizzando l’instabilità politica come leva per perseguire i propri interessi strategici.[54]


Note

[1] https://eutmmali.eu/background/
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] Boeke S., Schuurman B., Operation Serval: the French Intervention in Mali, Leiden Security and Global Affairs blog, 28 luglio 2015. https://www.leidensecurityandglobalaffairs.nl/articles/operation-serval-the-french-intervention-in-mali
[5] Ibidem.
[6] Redazione di ISPI Online Publications, Sahel: Via dal Mali, ISPI, 17 febbraio 2022. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/dal-mali-33375
[7] Ibidem.
[8] Casola C., G5 Sahel: The Joint Struggle for Regional Stability, ISPI, 9 settembre 2019. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/g5-sahel-joint-struggle-regional-stability-23858
[9] Redazione di ISPI Online Publications, Sahel: Via dal Mali, ISPI, 17 febbraio 2022. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/dal-mali-33375
[10] https://eutmmali.eu/background/
[11] https://eutmmali.eu/eutm-mali-mission/
[12] Ibidem.
[13] Schmauder A., Soto-Mayor G., Goxho D., Strategic Missteps: Learning From a Failed EU Sahel Strategy, ISPI, 5 novembre 2020. https://www.ispionline.it/en/pubblicazione/strategic-missteps-learning-failed-eu-sahel-strategy-28130
[14] Servizio europeo per l’Azione Esterna, About EUCAP Sahel Mali, SEAE, 15 settembre 2021.  https://www.eeas.europa.eu/eucap-sahel-mali/about-eucap-sahel-mali_en?s=331
[15] Ibidem.
[16] Ministère de l’Europe et des affaires étrangères, The International Coalition for the Sahel, marzo 2022. https://www.diplomatie.gouv.fr/en/country-files/africa/the-international-coalition-for-the-sahel/
[17] Ibidem.
[18] Ibidem.
[19] Schmauder A., Gorman Z., Berger F., Takuba: A new Coalition for the Sahel?, Clingendael Spectator, 30 giugno 2020. https://spectator.clingendael.org/en/publication/takuba-new-coalition-sahel
[20] Ministère de l’Europe et des affaires étrangères, The International Coalition for the Sahel, marzo 2022. https://www.diplomatie.gouv.fr/en/country-files/africa/the-international-coalition-for-the-sahel/
[21] Harris M., Doxsee C., Thompson J., The End of Operation Barkhane and the Future of Counterterrorism in Mali, Centre for Strategic and International Studies, 2 marzo 2022. https://www.csis.org/analysis/end-operation-barkhane-and-future-counterterrorism-mali
[22] Ibidem.
[23] Squadra stampa del Servizio Europeo per l’Azione Esterna, Mali : Déclaration du Haut représentant Josep Borrell sur la décision du Mali de se retirer du G5 Sahel, SEAE, 16 maggio 2022. https://www.eeas.europa.eu/eeas/mali-d%C3%A9claration-du-haut-repr%C3%A9sentant-josep-borrell-sur-la-d%C3%A9cision-du-mali-de-se-retirer-du_en?page_lang=fr
[24] Redazione di ISPI Online Publications, Sahel: Via dal Mali, ISPI, 17 febbraio 2022. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/dal-mali-33375
[25] Squadra stampa del Servizio Europeo per l’Azione esterna, Foreign Affairs Council (Defence): Remarks by High Representative Josep Borrell at the press conference, [Conferenza stampa], SEAE, 17 maggio 2022. https://www.eeas.europa.eu/eeas/foreign-affairs-council-defence-remarks-high-representative-josep-borrell-press-conference-0_en?s=108
[26] Ibidem.
[27] Rich D., Niger becomes France’s partner of last resort after Mali withdrawal, France24, 18 febbraio 2022. https://www.france24.com/en/africa/20220218-niger-becomes-france-s-partner-of-last-resort-after-mali-withdrawal
[28] Squadra stampa del Servizio Europeo per l’Azione esterna, Foreign Affairs Council (Defence): Remarks by High Representative Josep Borrell at the press conference, [Conferenza stampa], SEAE, 17 maggio 2022. https://www.eeas.europa.eu/eeas/foreign-affairs-council-defence-remarks-high-representative-josep-borrell-press-conference-0_en?s=108
[29] Squadra stampa del Servizio Europeo per l’Azione esterna, Foreign Affairs Council (Defence): Remarks by High Representative Josep Borrell at the press conference, [Conferenza stampa], SEAE, 17 maggio 2022. https://www.eeas.europa.eu/eeas/foreign-affairs-council-defence-remarks-high-representative-josep-borrell-press-conference-0_en?s=108
[30] Harris M., Doxsee C., Thompson J., The End of Operation Barkhane and the Future of Counterterrorism in Mali, Centre for Strategic and International Studies, 2 marzo 2022. https://www.csis.org/analysis/end-operation-barkhane-and-future-counterterrorism-mali
[31] Murphy T., Competitive values: Russia’s conflict with Europe in Africa, European Council on Foreign Relations, 10 marzo 2022. https://ecfr.eu/article/competitive-values-russias-conflict-with-europe-in-africa/
[32] Ibidem.
[33] Harris M., Doxsee C., Thompson J., The End of Operation Barkhane and the Future of Counterterrorism in Mali, Centre for Strategic and International Studies, 2 marzo 2022. https://www.csis.org/analysis/end-operation-barkhane-and-future-counterterrorism-mali
[34] Ibidem.
[35] Ibidem.
[36] Ibidem.
[37] Faleg G., Kovalcikovà N., Rising Hybrid Threats in Africa: Challenges and Implications for the EU, EUISS Policy Brief n.3, marzo 2022.
[38] Ibidem, p.3
[39] Ibidem, p.3
[40] Ibidem, p.5.
[41] Ibidem, p.2
[42] Harris M., Doxsee C., Thompson J., The End of Operation Barkhane and the Future of Counterterrorism in Mali, Centre for Strategic and International Studies, 2 marzo 2022. https://www.csis.org/analysis/end-operation-barkhane-and-future-counterterrorism-mali
[43] Harris M., Doxsee C., Thompson J., The End of Operation Barkhane and the Future of Counterterrorism in Mali, Centre for Strategic and International Studies, 2 marzo 2022. https://www.csis.org/analysis/end-operation-barkhane-and-future-counterterrorism-mali
[44] Ibidem.
[45] Ibidem.
[46] Ibidem.
[47]Schmauder A., Gorman Z., Berger F., Takuba: A new Coalition for the Sahel?, Clingendael Spectator, 30 giugno 2020. https://spectator.clingendael.org/en/publication/takuba-new-coalition-sahel
[48] Ibidem.
[49] Macchiarini Crosson D., The EU-AU Summit: Untying the Sahelian knot, Centre for European Policy Studies, 16 febbraio 2022. Disponibile su: https://www.ceps.eu/the-eu-au-summit-untying-the-sahelian-knot/
[50] Schmauder A., Soto-Mayor G., Goxho D., Strategic Missteps: Learning From a Failed EU Sahel Strategy, ISPI, 5 novembre 2020. https://www.ispionline.it/en/pubblicazione/strategic-missteps-learning-failed-eu-sahel-strategy-28130
[51] Murphy T., Competitive values: Russia’s conflict with Europe in Africa, European Council on Foreign Relations, 10 marzo 2022. https://ecfr.eu/article/competitive-values-russias-conflict-with-europe-in-africa/
[52] Ibidem.
[53] Ibidem.
[54] Macchiarini Crosson D., The EU-AU Summit: Untying the Sahelian knot, Centre for European Policy Studies, 16 febbraio 2022. Disponibile su: https://www.ceps.eu/the-eu-au-summit-untying-the-sahelian-knot/


Foto copertina: Manifestazione in Mali contro la Francia e a favore della Russia (foto Ansa)