Zapad, l’esercitazione congiunta di Russia e Bielorussia, è stata la scintilla a scatenare un ritorno del confronto russo-statunitense sul conflitto ucraino.

Dopo mesi di prove militari, esercitazioni e provocazioni russe, le ultime proprio ad inizio novembre, la Russia è tornata sulla gogna mediatica a supportare i ribelli filorussi del Donbass con finalità considerate pericolose per la stabilità e la sicurezza di tutto l’Occidente. La conseguenza è stata l’apertura del confronto tra Putin e Biden, al sapore di guerra fredda. Ad onor del vero, i contatti tra le due amministrazioni hanno goduto di continui aggiornamenti e confronti diplomatici e politico-strategici, non avendo l’implementazione delle minacce russe al confine ucraino mai lasciato Washington indifferente alla volontà del Cremlino di risolvere la questione centrale dell’autonomia nel Donbass[1], ovviamente ognuno a favore dei propri interessi in gioco.
Lo scorso autunno le strutture di stoccaggio e logistica militari russe in Ucraina hanno visto un aumento del 17% e la mobilitazione di truppe largamente aumentata al confine tanti che i servizi ucraini hanno subito sancito il carattere offensivo delle recenti mosse di Putin[2]. E’ stata la condivisione di tale pericolo in seno all’intelligence e ai reparti di sicurezza del governo degli Stati Uniti, dell’Unione Europea così come l’analisi strategica della NATO a porre Biden nelle condizioni di sottolineare l’impegno statunitense per un costante monitoraggio delle azioni militari, e non solo, di Mosca e riaprire il confronto diplomatico e politico diretto (prima il 7 e poi il 30 dicembre). Uno spazio di dialogo, certo, ma favorito dalla minaccia, cara agli States, di sanzioni economiche “come [Putin] non le ha mai viste”[3]. Zapad 2021 è ben più corposa dell’ultima esercitazione avvenuta nel 2017, rimanendo il più ingente gioco di simulazione (in questo caso convenzionale)[4] di attacchi che coinvolgono forze russe ed alleate.
Zapad e le altre minacce alla ormai lontana stabilità Ucraina sottolineano le mille sfumature storiche, politiche, linguistiche del confronto e delle rivendicazioni che, anche se tacitamente, costituiscono le fondamenta della partnership[5] politica, strategica, economica fra Kiev e Washington, ristabilita lo scorso 10 novembre, in occasione dell’incontro fra Anthony Blinken e il corrispettivo ucraino Dmytro Kuleba. Un’ulteriore occasione, questa, per rinsaldare l’impegno statunitense a supportare l’integrità territoriale ucraina, rifornendola di armamenti come missili anticarro Javelin e armi di fatto aprendo al supporto della Turchia attraverso i droni TB2 con il fine ultimo di indebolire le forze separatiste e rinvigorire la minacciosità atlantica, attraverso le esercitazioni NATO nel Mar Nero. Al momento in cui questo articolo viene redatto, vari paesi membri dell’Alleanza Atlantica dirigono le truppe verso Mar Nero ed Europa orientale, dove stanziano già quattro “battle group” dell’alleanza con circa 4.500 soldati e, secondo indiscrezioni, Biden starebbe valutando di inviare fino a cinquemila soldati nel Baltico (allertandone circa 9000). Gli ultimi tentativi di deterrenza, al centro della strategia statunitense, poi, hanno visto Biden minacciare Putin di sanzioni personali.
Con lo stesso proposito a Bruxelles si è chiuso il vertice sulla situazione ucraina questo 24 gennaio, annunciando misure restrittive personali e settoriali, in accordo con gli alleati, nel caso di qualsiasi azione offensiva da parte di Mosca, pur lasciando aperto – e asserendo l’importanza di – un dialogo efficace.
Un riarmo di retorica
Dall’altra parte del confine, invece, si conta che delle 130000 truppe russe e gran parte dell’armeria pesante, una parte sostanziale sia stata dispiegata meramente nel corso del 2021. Peraltro, il Ministero della Difesa a Mosca ha appena annunciato l’arrivo di ingenti esercitazioni navali nell’Atlantico, nell’Artico, nel Pacifico e nel Mediterraneo a febbraio, coinvolgendo più di 140 navi da guerra e di supporto, 60 aerei, 1.000 pezzi di equipaggiamento militare e circa 10.000 militari. Intanto, nuove esercitazioni e i vertici della difesa hanno predisposto un contingente per esercitazioni da tenersi in Bielorussia[6]. La marina, inoltre, oltre ad aver lanciato con successo un missile a lungo raggio Kaliber da posizione sottomarina della flotta del Pacifico, parteciperà a missioni congiunte con Cina e Iran nell’Oceano Pacifico.
Sicuramente, l’impiego non totale delle risorse di warfare russe ed il mancato rispetto dei canoni di una vera e propria guerra convenzionale[7], aumenta i rischi, le incertezze e le ambiguità nel dialogo sia politico che militare. Tuttavia, Putin non sembra scherzare nel reiterare l’asserzione di una ineluttabile inseparabilità tra Ucraina e Russia, minacciata dall’avanzamento dell’Alleanza Atlantica che così contravviene alla “promessa” di non avanzamento ad Est risalente al lontano (ma vicino) 1990, ai controversi accordi di Minsk, e dal sempre più stretto legame politico e strategico con le istituzioni occidentali. Per tale ragione, il 17 dicembre Mosca ha reiterato la richiesta formale alla NATO, aprendo così il Strategic Stability Dialogue (SSD) il 10 gennaio a Ginevra, di ritirare l’invito ad unirsi a Ucraina e Georgia nel 2008, così come di non stazionare con le sue truppe lungo i suoi confini orientali né proseguire con esercitazioni nell’Estero Vicino nonché non dispiegare missili a raggio intermedio ed installare basi missilistiche. Più in generale, la richiesta e l’auspicio del Cremlino è che, sia NATO che la Casa Bianca interrompano finanziamenti e sostegno a Kiev e lascino che l’influenza di Mosca possa estendersi e assicurare sempre più efficaci stabilità e controllo politico ed economico dell’area post-sovietica. Ma che questa richiesta, come è emerso, sarebbero irrealizzabili per i vertici NATO, che hanno ribadito la strategia detta di “open policy”. Jens Stoltenberg ha infatti ribadito la necessità di separare il confronto circa il futuro dell’Ucraina, non presente in nessuno degli incontri, dal tavolo sull’estensione della membership NATO mentre la Russia giudicherà fruttuoso il dialogo solo se le richieste di Mosca saranno discusse. Il nulla di fatto è stato poi reiterato 3 giorni dopo, a Vienna, nell’ambito del vertice dell’OSCE.
Lo stallo diplomatico evidenzia ancora di più la minacciosità dell’ammassamento di forze russe al confine, nonché dell’aumento del prezzo del gas importato dall’Europa e proveniente dalla Russia, simbolo e prospetto di capacità di conduzione di un conflitto anche lungo e duraturo qualora il dialogo diplomatico e politico non approdi ad alcuna concessione. Esso si spiega anche a partire dall’apertura lasciata negli scorsi Summit come quello di Ginevra lo scorso giugno e, probabilmente, dall’assenza di una minaccia diretta, forte e univoca di Bruxelles, che ha permesso alla Russia di dimostrare il significativo impatto delle sue politiche, quanto meno a livello strategico, sulla sicurezza globale. Tuttavia, negli ultimi giorni si è assistito ad un tentativo di rilancio del supporto a Kiev del formato Normandia, a guida del Presidente francese Macron. E’ questo, in ultima istanza, a fomentare l’alterità di Zelensky che, escluso dai già citati dialoghi inerenti alla sicurezza, denuncia l’appello statunitense ad una guerra imminente, screditandone le fondamenta: “Che cosa c’è di nuovo? Non è la stessa realtà che affrontiamo da otto anni a questa parte? L’invasione non è forse cominciata nel 2014? La minaccia di una guerra aperta è comparsa soltanto ora? Tutti questi rischi già esistevano. È soltanto l’eccitazione a essere cresciuta” afferma il Presidente ucraino, che ha asserito più volte che l’offensiva russa non è imminente, né probabilmente discutibile in quanto questione centrale, allontanandosi quindi dalle preoccupazioni delle istituzioni occidentali. Secondo un’interessante punto di vista sul confronto[8], lo spazio lasciato alle interlocuzioni sarebbe in primo luogo confacente alla massimizzazione delle certezze strategiche da parte di entrambi i paesi a guida della questione ucraina, un “gioco” di calcoli su avversari e le intenzioni politiche. Lo status di incertezza sarebbe la minaccia sia della nuova amministrazione USA sia del Cremlino, volto a sbloccare definitivamente una soluzione al conflitto. Guardando all’orizzonte della politica strategica e internazionale russa, infatti, si intravedono note ragioni per cui Putin possa utilizzare il campo ucraino come fronte di rafforzamento del soft power russo all’epoca in cui la decadenza americana, compensata su più fronti da più parti, appare sempre più una certezza. Non mancano ragioni di politica interna alla Federazione Russa, tra cui risollevare il paese da una ormai troppo lunga stagnazione economica e, secondo gli esperti, rinsaldare il potere politico del Presidente. Per Putin si tratterebbe dunque di tempo e, in questo arco cronologico scandito da incontri diplomatici e mosse strategiche, piccoli successi. Prioritario è il risvolto di politica estera e l’asservimento della volontà dell’ex membro del KGB di porsi a guida politica ed economica dell’Estero Vicino ed affermarsi una potenza internazionale indipendente, concepita forse come un unione di quella imperiale e quella sovietica, prospettando dunque un’unione culturale e politica a sé che il legame dell’Occidente con l’Ucraina minaccerebbe nel medio e lungo termine erodendo gli interessi russi[9].
Il timore russo, ad oggi ha più a che fare con una visione geopolitica che pone al centro il popolo russo in un contesto di rivalsa favorita dalla crisi dell’unilateralismo americano, piuttosto che esclusivamente l’insicurezza legata all’eventuale invasione militare atlantica in difesa delle istituzioni ucraine. Ma la stagnazione economica resta il principale problema di Putin in quest’ottica, ma quello che può essere definito coraggio davanti alle sanzioni economiche occidentali che imperversano sulle casse del Cremlino dal 2014 è ulteriore prova della scarsa reticenza ad abbandonare la posta in gioco. Insomma, Putin vuole vincere e risolvere la questione ucraina una volta per tutte e nello stesso set di gioco: con scarso eco del suo appello ai diritti del popolo filorusso del Donbass e della retorica anti-occidentale, il Cremlino non abbandonerà la sfida del decennio ed il confronto con Washington, e lo scacco energetico è la risorsa economica e diplomatica più vasta che possiede sull’Ucraina e sull’Europa tutta.
Tale asserzione rende evidente il perché si parla di un pericolo di guerra concreto e comprensibile il legame fra lo status del Nord Stream 2 e la fermezza della nuova amministrazione statunitense, che ha già dimostrato di non temere il confronto con Putin e i suoi molteplici, diversi e già citati tentativi di ristabilire la balance of power[10].
Washington, dal canto suo, elargisce (complici i canali mediatici di massa) una retorica che nasconde la complessità dei suoi interessi in gioco in Ucraina. Ma ciò che preme capire è senz’altro il ruolo che la questione Kiev assume all’interno della nuova dottrina di politica estera di Biden. Secondo un’analisi di Hal Brands, alcuni dei fondamentali della “dottrina Biden” sono già visibili[11] e, come spesso accade, i momenti di crisi internazionali evidenziano il corso di un sistema interdipendente e globalizzato. Per Biden saremmo infatti ad un punto di svolta cruciale per decidere la direzione dei fenomeni transazionali e risolvere le fratture geopolitiche e gli Stati Uniti reincarnano adesso il rilancio democratico che Trump non ha potuto né voluto imprimere, concentrato com’era su interessi di stampo personalistico. Gli Stati Uniti sono gli unici capaci di risolvere le crisi globali e imprimere una nuova svolta democratica contro le involuzioni autoritarie globali, in primis (o esclusivamente) Cina e Russia, nate proprio a partire dal fallimento dell’unilateralismo liberaldemocratico a guida statunitense, redatto e perseguito al termine della Guerra Fredda con il duplice intento di ergere la democrazia e gli Stati Uniti a duplici manutentori dell’ordine globale.
‹‹Questi Paesi minacciano le nazioni democratiche dall’Europa orientale allo stretto di Taiwan. Ma la sfida che pongono è tanto ideologica quanto geopolitica: vogliono indebolire, frammentare e sostituire il sistema internazionale esistente perché i suoi principi liberali fondamentali sono antitetici alle loro pratiche illiberali» afferma l’analista. La scongiura dell’illiberalità politica ed economia, tuttavia, deve fare i conti con il carattere sostanzialmente e pienamente democratico che si vuole dare all’ordine internazionale, tornando così ad una storica, antica per certi versi, ma definitiva questione la cui risoluzione aiuterà a rendere anche le analisi geopolitiche più chiare ed affidabili, al netto delle controversie e ai meccanismi di insita esplicazione delle democrazie. Ripensare le democrazie può aiutare, insomma, a meglio analizzare questioni come il conflitto che sta deteriorando l’Ucraina.
Il problema energetico
E’ stato un inverno doloroso ed enigmatico per tutta l’Ucraina a livello energetico. Il rincaro generale dei prezzi del gas e la riduzione del ben 44,6% del gas presente negli impianti ucraini, con riflessi preoccupanti in quelli europei, la bassa disponibilità di materie prime ha condotto Kiev a chiedere il sostegno dei leader europei, anche a fronte dello scavalcamento di Budapest. Infatti, il contratto siglato ad inizio ottobre tra il ministro degli esteri ungherese Szijjrto e la direttrice generale per le esportazioni del gigante gasiero russo, Elena Burmistrova ha aperto la rotta del Mar Nero, poi della Turchia, della Bulgaria e della Serbia per portare 4,5 miliardi di metri cubi di gas russo in Ungheria. Così, Zelensky ha battuto il pugno di ferro sulla necessità che sia l’Europa che gli Stati Uniti blocchino l’implementazione del Nord Stream 2, il gasdotto che connette la Germania e la Russia tramite il mar Baltico, adesso sotto verifica dell’Agenzia Federale tedesca. La parola finale però, in queste settimane, dovrebbe arrivare dalla Commissione Europea, che però si unisce a Washington nell’attaccare la Russia per l’aumento spropositato dei prezzi del gas, con cui si vuole dimostrare il ricatto di Mosca. Tuttavia, l’accordo russo-tedesco deve essere rispettato e l’Europa farà fatica a recedere o interrompere il progetto, adesso in attesa di una riparazione tecnica seguita al controllo dell’autorità tedesca. Ma intanto la dichiarazione congiunta tedesco-statunitense[12] del luglio 2021 rilanciava la minaccia occidentale al gusto di guerra fredda: qualora il Nord Stream 2 fosse sfruttato come arma politica da parte del Cremlino, i due governi spingeranno per l’adozione delle ennesime sanzioni. E’ qui che si inseriscono le ultime mosse e gli sviluppi e le incertezze sull’Ucraina, anche perché il maggior bacino nel paese è nel Donetsk, mentre il 70% delle forniture di Kiev sono importate, nonostante l’Ucraina sia sesto al mondo ad immagazzinare carbone, che dopo il gas è la principale risorsa energetica[13].
Esportando in Occidente circa 200 miliardi di metri cubi annui e tenendo in scacco quasi l’intera Europa, la Russia ha i mezzi per imporre un’autorità decisionale e di gestione delle risorse sullo scacchiere come pochi paesi, grazie anche al soft power accresciuto nell’ultimo decennio e ai successi di politica estera rilanciati dall’interventismo in Medio Oriente. Il Nord Stream 2 sottrarrebbe poi l’1,3% del Pil ucraino raccolto dal Gas Transmission System Operator of Ukraine, TSOUA, prospettiva che ha portato Kiev a proporre l’estensione dell’attuale accordo di altri 15 anni a partire dal 2024 dimezzando le tariffe e più che raddoppiando la quota di gas in passaggio.
Note
[1] Per una cronistoria degli eventi scatenanti il conflitto e per un’introduzione al separatismo puoi consultare: https://www.opiniojuris.it/i-movimenti-separatisti-in-ucraina-cronistoria-di-ingerenza-diplomatica-e-azione-bellica/
[2] Seth G. Jones, Moscow’s Continuing Ukrainian Buildup, CSIS, Via https://www.csis.org/analysis/moscows-continuing-ukrainian-buildup
[3] Dal discorso di Biden: https://www.linkiesta.it/2022/01/unione-europea-russia-ucraina-stati-uniti-nato-sanzioni/
[4] Per approfondire: https://www.osservatoriorussia.com/2021/10/18/zapad-2021-un-esercitazione-per-molti-interessi/
[5] https://www.state.gov/u-s-ukraine-charter-on-strategic-partnership/
[6] https://eng.mil.ru/en/news_page/country/more.htm?id=12404744@egNews
[7] La singolarità dell’approccio strategico russo, basato su un supporto ai ribelli sin da subito irregolare e non convenzionale, avviene tramite le spesso imprevedibili infiltrazioni nel territorio ucraino, il commercio di armi clandestine nonché il pieno utilizzo delle infrastrutture di intelligence e di investigazione.
[8] Interessante analisi basata su un’intervista rilasciata ad Opinio Juris: https://www.opiniojuris.it/le-prime-battute-della-presidenza-biden-agli-occhi-del-cremlino/
[9] “We don’t want to burn bridges, but if somebody interprets our good intentions as weakness, our reaction will be asymmetrical, rapid and harsh”, ha annunciato Putin assieme alla volontà e alla capacità di decidere da sé e tutelare i propri confini e, dunque, I propri interessi. Via https://www.bbc.com/news/world-europe-56828813.
[10] https://www.opiniojuris.it/biden-e-putin/
[11] https://www.foreignaffairs.com/articles/united-states/2021-06-29/emerging-biden-doctrine
[12] https://www.state.gov/joint-statement-of-the-united-states-and-germany-on-support-for-ukraine-european-energy-security-and-our-climate-goals/
[13] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/sotto-scacco-energetico-di-mosca-32698
Foto copertina: FILE PHOTO: A militant of the self-proclaimed Donetsk People’s Republic (DNR) watches from a frontline position on the line of separation from the Ukrainian armed forces outside of the rebel-controlled city of Donetsk, Ukraine November 19, 2021. REUTERS/Alexander Ermochenko/File Photo