A view of a part of western Mosul, Iraq May 29, 2017. REUTERS/Alkis Konstantinidis - RTX381TN

Debolezza, frammentarietà e settarismo sono, pertanto, caratteristiche intrinseche al progetto di state-building iracheno.
L’invasione USA ha avuto degli effetti collaterali, delle conseguenze inaspettate che sono andate al di là delle buone intenzioni di liberare l’Iraq dal regime oppressivo e sanguinoso di Saddam.


 

La “peggior decisione” di politica estera della storia statunitense.
Così Peter Van Buren definiva l’intervento militare in Iraq del 2003.

Armi di distruzioni di massa e legami con al-Qaeda sono state le motivazioni impellenti che hanno spinto gli Stati Uniti a violare il principio di non interferenza negli affari interni di uno Stato e a giustificare l’intervento armato.
Nella war on terror lanciata dagli Stati Uniti, l’Iraq di Saddam Hussein costituiva una minaccia per la pace globale, poiché fonte di terrorismo.

In realtà, entrambe le accuse si sono rivelate false e l’intervento statunitense è stato funzionale per applicare un regime change in un Paese considerato strategico. Un governo filo-statunitense avrebbe non solo garantito gli interessi della superpotenza nella regione, ma avrebbe anche ostacolato l’espansionismo iraniano.
Oltre a ciò, è problematica l’idea di fondo degli interventi internazionali in Stati deboli dopo la Guerra Fredda. Tutti gli interventi si facevano promotori di principi neo-wilsoniani[1], in cui la democrazia e il neoliberismo erano gli elementi necessari per garantire la sicurezza domestica e globale. Ma il grande limite di questi interventi è che non prendono in considerazione gli specifici contesti in cui si applicano, proponendo, al contrario, dei pacchetti precostituiti. 
In base alla sua definizione, state building è un’azione mirata a sviluppare la capacità, le istituzioni e la legittimità dello stato insieme ad effettivo processo politico che faccia incontrare le richieste dello stato e quelle della società. [2]  Ben lontano dal provocare una transizione democratica in Iraq, l’invasione statunitense ha creato uno Stato fallito. La fragilità è intesa come disequilibrio dei rapporti tra società e Stato, ossia come un disequilibrio nel contratto sociale. Diversi elementi confluiscono nel contratto sociale, in particolare, le aspettative che una data società ha di un dato stato; la capacità statale di erogare servizi, ma, soprattutto, l’esistenza di un processo politico attraverso cui il contratto venga discusso e rafforzato e la legittimità, essenziale per facilitare il processo politico. [3] Se pensiamo al caso iracheno, il processo di state-building è stato un processo top-down, imposto dall’alto, ossia dagli Stati Uniti, incurante delle richieste della società ed incapace di dar vita ad un contratto sociale legittimo.
Il processo politico tende a rafforzare la legittimità dello stato quando è inclusiva di tutte le maggiori forze politiche. Anche riguardo questo aspetto, l’Iraq è significativo.
Lo state-building iracheno potrebbe definirsi sciita centrico poiché ha attutato una sistematica esclusione della componente sunnita, percepita come un blocco unico ed omogeneo, alleata del dittatore Saddam.
Difatti, dal 2003 in poi, la violenza politica è stata guidata dallo scontro tra un progetto di state-building a dominanza sciita e dal rifiuto di questo stesso progetto da parte sunnita, rifiuto che scaturisce da un profondo senso di alienazione e di vittimismo.   L’invasione del 2003 ha avuto come conseguenza, forse, inaspettata l’empowerment di attori politici settari e l’istituzionalizzazione del settarismo. Secondo il principio di dividi et impera, si voleva impedire l’emergere di una forte forza politica, capace di sfidare gli interessi statunitensi in Iraq.
Debolezza, frammentarietà e settarismo sono, pertanto, caratteristiche intrinseche al progetto di state-building iracheno. L’invasione USA ha avuto degli effetti collaterali, delle conseguenze inaspettate che sono andate al di là delle buone intenzioni di liberare l’Iraq dal regime oppressivo e sanguinoso di Saddam.
La necessità di avere dei risultati immediati, ha portato a compiere una serie di errori che hanno minato, ulteriormente, il progetto di ricostruzione. In particolare, il processo di de-bathificazione, che crea la base per l’insorgenza, data la paura di perdere il potere da parte sunnita, e lo smantellamento dell’esercito.
Quest’ultimo, lasciando, improvvisamente, migliaia di persone altamente addestrate ed armate senza un lavoro ha contribuito al rafforzamento di milizie altamente politicizzate.

The Iraqi Governing Council

Dopo la caduta di Saddam Hussein, la coalizione internazionale, capeggiata dagli Stati Uniti, istituì la Coalition Provisional Authority (CPA), un governo provvisorio, che, un anno più tardi, portò alla formazione di un governo ad interim, l’Iraqi Governing Council.

La CPA adottò estensive misure neoliberiste, con la privatizzazione di oltre 200 compagnie statali. [4] Ma ciò che è stata definita come “la versione più estrema di ristrutturazione neoliberista attuata al mondo[5] ha pregiudicato un’economia già traballante, a seguito della guerra contro l’Iran e delle sanzioni statunitensi, imposte durante il regime. Le riforme economiche hanno prodotto uno Stato incapace di gestire la sua economia.

Inoltre, il governo è stato formato da politici iracheni esiliati durante la dittatura di Saddam, di conseguenza, privi del supporto popolare e lontani dalle necessità della società irachena, a cui erano estranei, data la lunga assenza.  Difatti, fu percepito come espressione degli interessi statunitensi nel Paese, ben lontano dal rappresentare un’autorità nazionale.
Il suddetto governo ha ampliato ed inasprito le fratture politiche poiché non ha attuato una rappresentanza inclusiva di tutte le forze politiche, finendo per essere percepito come un governo fantoccio. La mancata rappresentanza e l’esclusione di molteplici gruppi dal processo politico ha provocato la loro alienazione e radicalizzazione, aprendo a quel ciclo di violenze di cui l’Iraq è ancora vittima.

Costituzione del 2005

Il contesto in cui è avvenuta la redazione della costituzione è stato ambiguo, connotato da illegalità e da interferenze da parte statunitense, nel tentativo di salvaguardare gli interessi in fase negoziale.
Come spiega Naomi Klein “il processo di scrivere una costituzione è una delle cose più strazianti che una nazione può fare, anche per una nazione in pace. È un processo che porta in superficie ogni tensione e risentimento. Imporre il suddetto processo in un contesto diviso e frantumato come era l’Iraq post-Saddam ha esacerbato la possibilità di un conflitto civile.”[6]
Inoltre, sotto le pressioni del governo statunitense, il processo di redazione della costituzione avvenne per un periodo troppo limitato, solo un mese, non sufficiente per garantire un’adeguata rappresentanza delle varie parti della popolazione. Il tempo limitato impedì, anche, per le Nazioni Unite o altri attori internazionali di mediare tra le parti durante le negoziazioni, offrendo suggerimenti o alternative che potessero ridurre le divisioni. [7] Questo, al tempo spesso, ha permesso una visibile intromissione degli Stati Uniti in un progetto nazionale, come quello di redigere una costituzione, interferenza tale che la costituzione irachena poteva “essere stata scritta a Washington e, poi, sganciata su Baghdad da un elicottero”. [8]
Il principio di non interferenza negli affari interni di un altro Stato, un tempo, costituiva il cardine delle relazioni internazionali.
L’ “interferenza competitiva” era il metodo utilizzato per influenzare la politica di un altro stato, ad esempio finanziando un colpo di stato, ma evitando le dirette accuse di interferenza.

Dopo la guerra fredda, la coniazione del termine “stato canaglia”, ossia uno stato percepito come minaccia alla pace globale perché violatore delle norme internazionali e dei diritti umani, ha reso l’interventismo, disegnato in base agli interessi USA, un imperativo, contribuendo all’erosione della nozione di sovranità statale. [9]
Proprio la necessità di neutralizzare il pericolo alla pace e alla sicurezza globale rappresentato dal regime di Saddam Hussein ha guidato l’intervento americano in Iraq.
Il principale ed unico obiettivo degli Stati Uniti era la caduta del regime di Saddam Hussein e la distruzione delle ipotetiche Armi di Distruzione di Massa. Lo sviluppo di un progetto coerente di ricostruzione non rientrava tra questi obiettivi, la ricostruzione post conflitto, secondo molti membri dell’amministrazione statunitense, non era un compito che spettava loro.[10] Dal punto di vista militare, l’intervento si è rivelato un successo: il regime è stato abbattuto e la capitale Baghdad conquistata in pochi giorni. Al medesimo tempo, però, gli Stati Uniti hanno creato uno stato fallito.
La caduta di Saddam Hussein ha creato il vuoto necessario per la radicalizzazione delle identità politiche e l’inizio di intense violenze per la definizione dell’Iraq e del nazionalismo iracheno. Errori di calcolo, ma anche scarsa conoscenza della realtà irachena, oltre alla necessità di ottenere dei risultati nel breve periodo, hanno reso fallimentare il progetto di state-building iracheno, le cui conseguenze sono ben visibili ancora oggi.


Note

[1] Belloni, R. (2007) ‘Rethinking Nation-Building: The Contradictions of the Wilsonian Approach at Democracy Promotion’, Whitehead Journal of Diplomacy and International Relations, vol. 7, pp. 97-109

[2] Concepts and Dilemmas of State Building in Fragile Situations

[3] Ibid.

[4] https://www.opendemocracy.net/en/north-africa-west-asia/iraqs-security-2003-2019-death-and-neoliberal-destruction-par-excellence/

[5] Ibid.

[6] Klein, N. (2007), “The shock doctrine: The rise of disaster capitalism”, Toronto: Alfred A. Knopf Canada, p. 353

[7] https://www.usip.org/publications/2005/12/iraqs-constitutional-process-ii-opportunity-lost

[8] Ibid.

[9] Ismael T.Y & Ismael J.S. (2015), Iraq in the Twenty-First Century: Regime Change and the Making of a Failed State, London: Routledge, p.6

[10] https://www.brookings.edu/articles/the-seven-deadly-sins-of-failure-in-iraq-a-retrospective-analysis-of-the-reconstruction/


Foto copertina:Una vista di una parte della parte occidentale di Mosul, Iraq. 29 maggio 2017. Autore: Alkis Konstantinidis Ringraziamenti: REUTERS. VoaNews