Dalla fine della Guerra Fredda la Georgia è stata al centro delle attenzioni di Nato e Russia. Dopo l’espansione Nato del 2004 Mosca ha tracciato una linea rossa: un ulteriore avvicinamento dell’alleanza ai confini russi non sarebbe stata tollerata.
La guerra in Georgia nel 2008 e l’occupazione della Crimea nel 2014 hanno ribadito questo concetto. Oggi Tbilisi è considerata uno dei partner più importanti della Nato, sebbene la sua opinione pubblica sia divisa tra chi guarda con favore all’occidente e chi si sente più legato alla Russia.


Il cielo rosa sopra Tbilisi

Le relazioni tra l’Alleanza atlantica e lo Stato caucasico iniziarono nel 1992, l’anno dopo della sua indipendenza, quando entrò nel “North Atlantic Cooperation Council”.[1]
Nei primi anni ‘90 la Georgia era uno Paese considerato semi-fallito, a causa dell’economia al collasso e i conflitti etnici e territoriali. Dopo la guerra civile (1991-1993), in cui la Russia agì da mediatrice tra il governo che aveva portato avanti politiche accentratrici e la regione separatista dell’Abcasia, si affermò come leader Eduard Shevardnadze, eletto presidente nel 1995. Ex ministro degli Esteri di Gorbačëv, Shevardnadze promosse una politica equilibrista tra Occidente e Russia, che venne fortemente criticata a causa del suo scarso successo. Il 22 novembre 2003 un gruppo di rappresentanti dell’opposizione con a capo Mikheil Saak’ashvili irruppe nell’aula del Parlamento con delle rose in mano, costringendo Shevardnadze alla fuga. La rivoluzione delle rose portò al governo lo stesso Saak’ashvili, che l’anno dopo riuscì a riconquistare la regione separatista dell’Agiara. La cacciata di Shevardnadze fu anche l’inizio dei problemi con la Russia, poiché il nuovo governo spinse per un allineamento con l’Occidente, fino a proporre l’adesione a Ue e Nato. Nel 2008, al summit Nato di Bucarest, fu promesso alla Georgia che sarebbe entrata nell’alleanza non appena si fossero create le condizioni adeguate. Ai tempi Washington aveva spinto per farla aderire al Membership Action Plan (MAP), uno degli step verso l’adesione, ma i partner europei, soprattutto Berlino, si erano opposti, preoccupati per la reazione di Mosca, che non si fece attendere. Qualche mese dopo, quando Tbilisi provò a riprendersi le regioni separatiste dell’Abcasia e dell’Ossezia del Sud, Mosca intervenne ricacciando le truppe georgiane fino alla capitale. La sconfitta militare contribuì allo scontento della popolazione georgiana, che negli anni successivi scese in piazza contro le violazioni di diritti umani e la corruzione del governo. Nel 2013 si concluse l’avventura politica di Saak’ashvili, sconfitto da Giorgi Margvelashvili, leader di Sogno Georgiano, partito tuttora al governo. Oggi Ossezia del sud e Abcasia mantengono il loro status di autoproclamate Repubbliche indipendenti e che devono la loro sopravvivenza alla tutela russa e il primo ministro Iraklij Garibašvili ha affermato che “solo quando la Georgia avrà ripristinato la sua integrità territoriale con l’Abkhazia e l’Ossezia del sud, allora potrà entrare nella Nato”[2].
La popolazione è scontenta verso un’Unione Europea che non ha concesso lo status di candidato, dato a Moldavia e Ucraina, ma anche verso il governo, che per intercettare i voti filo-russi fa anche dichiarazioni anti-occidentali. Il 3 luglio le opposizioni hanno manifestato con lo slogan “A casa, in Europa”, chiedendo un nuovo governo tecnico per adeguarsi alle richieste europee.

Linee rosse

Dal 2008 Nato e Georgia si sono avvicinate sempre di più, irritando la Russia. L’invasione del 24 febbraio ha confermato che paesi come Ucraina e Georgia sono considerati dalla Russia come “Blizhneen zarubezhe” (near abroard) parte integrante della propria sfera di influenza. Le aperture della Georgia all’Occidente risultano molto sgradite alla Russia, che è disposta all’uso della forza pur di impedire l’allargamento di Nato e UE. A gennaio, la Russia chiedeva che Washington promettesse di non far entrare l’Ucraina nella Nato. Gli Stati Uniti risposero che non avrebbero permesso la chiusura della politica della porta aperta, e che quindi non avrebbero mai sottoscritto una promessa simile. Tra il 22 e il 24 marzo si sono tenute delle nuove esercitazioni Nato in Georgia. Prima dell’invasione Washington le aveva definite un messaggio forte di determinazione occidentale e di assistenza ai partner in difficoltà, in un momento in cui Mosca chiedeva che la promessa fatta a Bucarest venisse abbandonata. Sebbene al summit di Madrid a giugno sia il segretario Stoltenberg sia Garibašvili abbiano fatto dichiarazioni positive sulla possibilità di adesione, la realtà è che molto difficilmente la Russia concederà tale sviluppo.

Difesa o espansionismo?

Il tema dell’allargamento della Nato fu affrontato nel 1995 da uno studio pubblicato da Survival[3]. Furono ipotizzate tre strategie. La prima, “Evolutionary Expansion”, subordinava l’ingresso nella Nato a quello dell’Unione Europea. L’UE avrebbe dettato i criteri per l’allargamento, supportando i nuovi membri nei loro problemi economici e politici. Questo approccio aveva il vantaggio di preparare i nuovi membri in un periodo più lungo, assicurandone la stabilità interna e la democraticità. Tuttavia, l’Evolutionary Expansion estrometteva gli Stati Uniti dal processo di ammissione e non affrontava i problemi immediati di sicurezza.
La seconda opzione fu chiamata “Promote Stability” e ipotizzava l’esatto contrario. La Nato avrebbe avuto il ruolo primario nel garantire sicurezza ai nuovi membri e solo dopo si sarebbe proceduto con l’adesione all’UE. La terza opzione, “Strategic Response”, prevedeva invece un allargamento solo nel caso in cui la Russia si ripresentasse come minaccia militare.
Negli anni furono le prime due opzioni a prevalere, soprattutto la seconda, che aveva il vantaggio di dare agli Stati Uniti il controllo sull’allargamento e stabilità alle nuove democrazie, facilitando l’integrazione nell’UE.
Eppure, il comportamento della Russia verso Ucraina e Georgia dimostra che la politica della porta aperta ha dei limiti. Da organizzazione difensiva nata con lo scopo di difendere l’Europa e contenere la Russia, oltre che “tenere dentro gli americani, fuori i russi e sotto i tedeschi”, la Nato ha successivamente ampliato il proprio raggio d’azione con nuovi membri e core tasks. I detrattori del Trattato di Washington vedono in questo un tentativo di estendere l’egemonia euro-atlantica all’Asia centrale e al Pacifico. Russia e Cina utilizzano quindi la retorica dell’espansionismo occidentale per giustificare azioni aggressive come quelle del 24 febbraio.
Si può riflettere su quali siano i possibili sviluppi futuri del rapporto Nato-Georgia, che per forza di cose include anche la Russia.
Dopo la guerra del 2008 e l’invasione della Crimea nel 2014, l’Occidente decise di perseguire una politica di appeasement verso la Russia. Berlino in particolare credette di poter domare Mosca tramite rapporti economici più stretti, il cui simbolo fu Nord Stream 1 e 2. Washington supportò la ricostruzione della Georgia con lo “Stand for Georgia Act of 2008”, ma non riuscì a convincere i partner europei ad assumere una posizione più decisa contro Mosca. Questo fu visto da Putin come una debolezza e di reagire con forza alle politiche anti-russe portate avanti da Kiev dopo il 2014, e che dunque fosse l’occasione giusta per annettere la Crimea, dar vita alle repubbliche separatiste di Luhans’k e Donets’k e che ora minaccia la sopravvivenza dell’Ucraina intera. Questa volta la reazione all’invasione è stata molto più forte, il che probabilmente impedirà alla Russia di tornare ad essere aggressiva nel breve e medio periodo. Nonostante ciò, Mosca non intende lasciare il proprio estero vicino nelle mani occidentali, e controllerà Abcasia e Ossezia del Sud al fine di ostacolare l’integrazione di Tbilisi nell’UE. Inoltre, La Commissione Europea ha rimarcato come la polarizzazione dell’élite georgiana, divisa tra Russia e Occidente, sia un ostacolo allo status di candidato. La Georgia non può fare altro che cercare di rispettare i criteri posti dall’Unione, al fine di non rimanere inerme nelle mani russe. Mosca probabilmente non teme una partecipazione di Tbilisi all’Unione quanto alla Nato, dato che questo non preclude vicinanza alla Russia, l’Ungheria di Orbán ne è la prova. La Georgia può anche puntare sul suo ruolo di territorio di transito del Corridoio Meridionale del Gas, divenuto più importante dopo il 24 febbraio e la conseguente guerra energetica.
Il futuro della Georgia è incerto, ed è probabile che rimarrà nel limbo tra Russia e Occidente ancora a lungo.


Note

[1] Relations with Georgia, nato.it
[2] Vladimir Rozanskij, Le ambiguità di Tbilisi tra Nato e Russia, asianews.it
[3] Ronald D. Asmus, Richard L. Kugler, F. Stephen. Larrabee, NATO Expansion: The Next Steps, “Survival” – Spring 1995


Foto copertina: Mappa geografica della Georgia, divisa tra la Russia e la Nato