Nel Caucaso si sta giocando una partita a scacchi tra Armenia, Azerbaijan, Georgia, Russia, Stati Uniti, Iran e Turchia. Chi mangerà la Regina?


L’origine dell’espressione il “Grande gioco” fu inventata da un ufficiale dell’esercito britannico, Arthur Conolly, che lo utilizzò per primo nel 1829, ma il suo uso nella letteratura sull’Asia centrale rimase saltuario sino a quando non fu reso popolare dal romanzo Kim (1901) di Rudyard Kipling.
The Great Game o in russo Turniry Teney (il Torneo delle ombre) definiva la contrapposizione militare, diplomatica, spionistica tra Regno Unito e Russia in Medio Oriente e Asia centrale nel corso di tutto il XIX secolo. Se c’è un luogo oggi dove le contrapposizioni geopolitiche, dove le grandi e le medie potenze, tanto regionali quanto mondiali, riequilibrano le pressioni e le alleanze, tra eserciti e gruppi di pressione, questo è il Caucaso.
La regione ribolle. La Georgia vive una situazione di stallo, divisa tra il desiderio di entrare nell’orbita “Occidentale” e il timore che la reazione russa possa provocare una Kiev2. Tbilisi sa bene che le questioni territoriali irrisolte delle due autoproclamate repubbliche indipendenti di Abcasia e Ossezia del Sud rappresentano una spada di Damocle sulla propria testa.
L’aggressione dell’Azerbaijan nel confronti dell’Armenia dello scorso settembre, ha aggiunto un nuovo tassello alla cronica instabilità regionale.
Attaccando alcuni villaggi al confine, Baku ha alzato l’asticella dello scontro, non più e solo nel territorio dell’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh, ma violando i confini dell’Armenia e quindi di uno Stato sovrano. L’Azerbaijan denuncia provocazioni al confine e istallazioni di mine da parte degli armeni, ma è evidente che al di là di quelli che possono essere gli episodi di scontri, più o meno gravi, siamo di fronte ad una contrapposizione troppo profonda e fatta di troppi interessi contrapposti per poter dar vita ad un concreto percorso di pace.
Da una parte c’è Baku, con il supporto della Turchia e del Pakistan, che sa che è il momento di spingere sull’acceleratore ora che Mosca, la storica protettrice dell’Armenia, è impegnata nella guerra in Ucraina.
Dall’altra l’Armenia, con il silenzioso supporto iraniano e indiano (in chiave anti-pakistana), conscia che i tradizionali garanti della propria sicurezza non sono più in grado di assolvere il proprio compito. A maggior ragione dopo che che il CSTO – Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva a trazione turcofila, considera Aliyev come un alleato e che quindi non onorerà l’articolo 4 che prevede l’aggressione nei confronti di un paese membro da considerarsi come un attacco nei confronti di tutti i paesi, e che Putin sta giocando una partita pericolosissima in Ucraina.

Secondo alcuni rumors che circolavano a Yerevan nelle ultime settimane, gli Stati Uniti avrebbero proposto al Primo Ministro Pashinyan una soluzione di questo tipo: mollare il Nagorno-Karabakh alla sovranità dell’Azerbaijan in cambio di pace duratura garantita proprio da Washington. Un proposta americana che arriva dopo un corteggiamento iniziato nell’aprile del 2021 con il riconoscimento del Genocidio armeno da parte dell’Impero Ottomano nel 1915-16 e proseguito con la visita di Nancy Pelosi lo scorso settembre. Chiaramente questa opzione sarebbe un boccone durissimo da mandar giù per il popolo armeno in Patria, e per gli armeni del Karabakh che si sentirebbero abbandonati da Yerevan. Ma per gli Stati Uniti che nella capitale armena posseggono la seconda più grande Ambasciata (dopo quella di Baghdad) sarebbe l’occasione giusta per mostrarsi più affidabile di Mosca nel mantenimento della stabilità regionale.
La proposta americana non piace ovviamente a Mosca, che la considera svantaggiosa per gli armeni, e soprattutto si vedrebbe “scavalcata” nella gestione della crisi. Il Cremlino punta a rinnovare la presenza dei propri peace-keepers a tutela della pace. Ma l’opzione russa non piace a Baku che considera questo accordo come un tentativo del Cremlino di “cristallizzare” la situazione e giustificare la presenza di una zona grigia fuori dal controllo azerbaigiano.
Azerbaijan, Armenia, Russia, Stati Uniti. Ma c’è dell’altro. Turchia e Iran non stanno a guardare, posizionate su fronti diversi, Ankara e Teheran sanno che la partita riguarda anche loro. La Turchia si considera “sorella maggiore” dell’Azerbaijan sostiene le iniziative di Baku a suon di rifornimenti militari. Le relazioni bilaterali tra Armenia e Turchia sono ufficialmente inesistenti e storicamente ostili, la questione del genocidio pesa come un macigno. La Turchia ha riconosciuto l’Armenia (nei suoi confini della Repubblica Socialista Sovietica Armena), ma nel 1993, la Turchia ha reagito alla guerra in Nagorno-Karabakh chiudendo il suo confine con l’Armenia in sostegno dell’Azerbaigian. In questi anni ci sono stati dei tentativi di riavvicinamento, in particolare nel 2008-2009 quando il presidente armeno Serž Sargsyan e quello turco Abdullah Gül assistettero insieme alla partita di calcio tra le due nazionali. Il gesto portò alla firma nell’ottobre 2009 dei protocolli di normalizzazione. Tuttavia, i protocolli non sono mai ratificati e l’anno successivo il riavvicinamento si è concluso e i protocolli sono stati ufficialmente annullati dall’Armenia nel marzo 2018. In ballo c’è un passato troppo pesante per poter essere dimenticato, ma dalle parti di Yerevan la speranza di poter un giorno, non tanto riavere indietro, ma accedere al Ararat, monte sacro per gli Armenia, sarebbe una grande conquista. Teheran si trova in una posizione molto scomoda. Da una parte supporta l’Armenia in chiave anti-Azerbaijan, ma allo stesso tempo teme che Baku possa aizzare alla rivolta le popolazioni azere dell’Azerbaijan del Nord che si trovano in Iran. La tensione tra Iran e Azerbaijan è ai massimi livelli. Il servizio di sicurezza dello Stato dell’Azerbaigian ha arrestato 19 persone e ha affermato che sono state addestrate e finanziate dai servizi di intelligence iraniani per compiere atti non specificati che sarebbero “in violazione degli interessi della sicurezza dello stato”. Ricordiamo che a metà ottobre, le forze armate iraniane hanno condotto massicce esercitazioni militari al confine con l’Azerbaigian, compreso il presunto l’attraversamento del fiume Aras, che definisce gran parte del confine tra i due stati. Da allora la tensione ha continuato a crescere, con i media filogovernativi aggressivi da entrambe le parti che lanciavano minacce contro l’altra. Il 2 novembre, il Ministero della Difesa dell’Azerbaigian ha riferito che erano iniziate esercitazioni militari senza preavviso “nei territori vicino ai confini meridionali della Repubblica dell’Azerbaigian”.  
Se c’è un luogo, una regione che possa essere considerata come la cartina di tornasole per comprendere le prospettive geopolitiche nel breve-lungo periodo, questo è proprio il Caucaso.


Foto copertina: Mappa del Caucaso