La questione del Nazionalismo e della sua influenza sulle politiche estere degli stati lo mette al primo posto come una delle principali cause dei conflitti, se esso si tramuta in Ipernazionalismo. Ciò accade se le pulsioni non vengono gestite dalle autorità governative , perché se il nazionalismo viene messo in una via moderata può essere un fattore di unità nazionale e dare allo stato uno strumento da utilizzare in politica internazionale. Se invece lo stato predilige il Realismo e l’equilibrio di potenza, dove lo stato preferisce di ottenere potere senza avviare una politica ipernazionalista, gli attori statali possono ottenere il prestigio sullo scacchiere internazionale.


 

Introduzione

Il complesso mondo delle Relazioni Internazionali tenta di analizzare il comportamento degli stati nazionali sulla scacchiere internazionale. Negli ultimi anni John Mearsheimer, Professore di Scienza Politica all’Università di Chicago ha provato ad analizzare una complessa connessione/ scontro tra il Realismo Politico e gli istinti nazionalisti. Di seguito un’analisi sulle possibili influenze del nazionalismo sulle politiche internazionali degli stati.

Il Nazionalismo, l’Ipernazionalismo e le Relazioni Internazionali

John J. Mearsheimer

Nel 2011 il professore John Mearsheimer, docente di Scienza Politica all’Università di Chicago, discute un Paper denominato “Kissing Cousins: Nationalism and Realism durante un Workshop. Nell’introduzione dell’elaborato lo stesso Mearsheimer, citando altri illustri realisti, afferma che il Nazionalismo non fa parte di nessuna teoria delle Relazioni Internazionali, ma che rappresenta una potente forze di persuasione, poiché molti stati per sopravvivere nello scacchiere internazionale o legittimare alcune scelte di politica estera applicano alcuni atteggiamenti nazionalisti[1]. Se per i Realisti lo Stato opera in un sistema globale anarchico, dove non esiste un autorità sovranazionale, è necessario conoscere gli equilibri di potenza che regolano il mondo; per il nazionalismo il proprio stato è superiore ideologicamente o culturalmente agli altri, considerando gli altri attori statali inferiori. Però si può anche definire che esiste un gruppo che vede il sentimento nazionalista come una prova di amore nei confronti del loro paese[2].

Il sentimento nazionalista rischia, in alcuni paesi, di aumentare i conflitti quando la società civile di uno stato ha differenti gruppi etnici e minoranze[3].

Mearsheimer, su un testo del 1990 pubblicato sulla rivista International Security, descrisse i possibili pericoli dell’Ipernazionalismo. Mearsheimer mette in guardia che in alcuni casi il sentimento nazionalista si tramuta nel pericolo di un ipernazionalismo, che vede gli altri popoli e stati inferiori e che devono essere trattati con durezza. Negli anni precedenti al primo conflitto mondiale gli stati europei, che vivevano in un sistema internazionale anarchico, erano sempre in tensione con i propri vicini europei. Ciò fece sviluppare un sentimento di disprezzo ed odio tra gli stati del vecchio continente, sentimento cavalcato anche dalle classi politiche e militari per giustificare una mobilitazione delle masse verso politiche di sicurezza nazionale aggressive[4].

Nel testo Mearsheimer teorizza che il sentimento ipernazionalista possa trovare terreno fertile in quei sistemi militari  in cui sono presenti eserciti di massa, con la probabilità della leva obbligatoria. Così i governi possono sfruttare le politiche e gli appelli nazionalisti per una mobilitazione di massa della popolazione e giustificare la creazione di forze militari permanenti. Il pericolo dell’Ipernazionalismo può essere sventato se uno Stato ha un’apparato militare altamente addestrato, professionale e integrato con sistemi militari tecnologicamente avanzati, evitando un dispendio costoso di manodopera e di capitale umano[5]. Nonostante rappresenti una forza capace di influenzare gli eventi della politica mondiale, l’Ipernazionalismo è una delle principali cause che porta al conflitto[6]. Alcuni stati, in cui le élite politiche spingono sul nazionalismo, puntano a perseguire una politica estera il cui fine è incentrato nel preservare la sovranità e aumentare la propria proiezione di potenza. Per diversi stati aumentare il proprio potere all’interno del sistema internazionale è necessario per conservare la propria indipendenza e garantirsi uno status di grande potenza[7]. In altri frangenti il sentimento nazionalista cavalcato dalle classi dirigenti porta lo Stato nazionale sulla strada del conflitto militare, convinto che essa sia l’unica strada per tutelare la propria sicurezza nazionale e neutralizzare il proprio competitor. La questione del Balance of Power, sia nel realismo sia nel nazionalismo è parte fondamentale, ma con diverse visioni e strategie d’azione.

Il Realismo nel pensiero strategico delle nazioni

Al contrario del pensiero nazionalista o ipernazionalista, dove i leader puntano alla creazione di una immensa e costosa forza militare concentrata maggiormente sugli eserciti di massa, i realisti hanno una concezione diversa della strategia politico-militare che deve avere uno stato. Nazionale.

Il realismo parte dalla convinzione che gli attori statali sono i principali player dello scacchiere globale, ma che solamente le grandi potenze hanno le risorse in grado di cambiare la natura dell’ordine globale. Inoltre il pensiero realista guarda con molta attenzione all’equilibrio di potere, visto che gli stati competono per ottenere maggior potere sulla scacchiere internazionale, consci che qualsiasi destabilizzazione dello status quo porterebbe le grandi potenze a scontrarsi militarmente tra loro, alterando permanentemente il sistema internazionale[8]. Nella visione del realismo il sistema internazionale è anarchico, che non significa destabilizzato in modo permanente, ma che non esiste un entità sovranazionale che sovrasta il ruolo dei player statali e delle grandi potenze[9]. Per il Realismo la guerra è lo strumento legittimo con cui lo stato ha la possibilità di perseguire i suoi interessi; Per questo molti associano la visione del Realismo politico alla guerra e alla competizione. Ma la questione è completamente l’opposto. I realisti teorizzano che se gli stati nazionali iniziassero ad agire secondo le logiche dell’equilibrio di potenza ( Balance of Power) i conflitti non si svolgerebbero. Secondo i realisti difensivi la struttura del sistema globale condanna lo stato aggressore. Inoltre sono quasi sempre alcune fazioni politiche, interne agli stati nazionali, a spingere verso un conflitto armato[10].

Per Mearsheimer, come scrisse nel paper Bound to Fail: The Rise and Fall of the Liberal International Order(International Security Spring 2019, Vol. 43, No. 4, pp. 7–50), l’ordine realista avviene quando nasce un bipolarismo o diventa multipolare. In questi due sistemi, dove sono due o poche grandi potenze a influenzare lo scacchiere, le possibilità che nascano dei conflitti si riduce a quasi lo zero ma si consolida la competizione strategica e sulla ricerca di sicurezza degli stati nazionali, che seguono le logiche dell’equilibrio di potenza[11].

Durante la guerra Fredda il sentimento nazionalista era compresso dallo scontro tra gli Stati Uniti e il fronte occidentale e l’Unione Sovietica e il blocco orientale. I due blocchi , che si erano spartiti il vecchio continente alla fine del secondo conflitto, portarono fino al crollo del muro una cooperazione realista, che mirava a mantenere il delicato equilibrio di potenza tra i due blocchi. Gli americani però, durante il periodo della guerra fredda, attuarono una politica estera che mirava ad evitare l’espansione del comunismo nei paesi che Washington considerava parte della sua sfera d’influenza. Washington applicò qualsiasi strumento che andavano dal finanziamento degli stati con carichi di armi e risorse finanziarie, appoggio indiretto o diretto di golpe militari ed infine interventi militari statunitensi[12]. Con la fine della guerra fredda nel 1989, l’implosione del patto di Varsavia e dell’Unione Sovietica, al cui interno nascevano movimenti indipendentisti di matrice nazionalista, lo scacchiere internazionale cambiò nuovamente. Il Realismo tornò, dopo il periodo liberale degli anni novanta, al centro del dibattito. Infatti la fine del confronto Est/Ovest riapre la questione del nazionalismo, che trova nell’implosione della Jugoslavia e le successive guerre jugoslave terreno fertile[13]. Infatti le diverse etnie slave( Croati, Serbi e bosniaci croati e musulmani), che avevano convissuto all’interno dello stato jugoslavo, iniziano dagli anni 90 una feroce guerra civile consumati da un Ipernazionalismo violento, dove ogni etnia aspira alla creazione di un suo stato nazionale. Soltanto con l’intervento della NATO si blocca la spirale di violenza[14].

Mearsheimer mette in guardia da ciò. La fine della guerra fredda è l’inizio di un altro ordine, dove le vecchie pulsioni nazionaliste ritornano ad influenzare le scelte di politica internazionale degli stati. Infatti secondo il politologo statunitense era necessario, se fosse avvenuto il ritiro delle truppe statunitensi e sovietiche dal continente europeo, prevenire la rinascita di politiche nazionalistiche e la sua evoluzione in atteggiamenti di Ipernazionalismo[15]. Secondo Mearsheimer gli stati che avrebbero attuato politiche revansciste sulla educazione della storia nazionale sarebbero dovuti essere sanzionati e condannati pubblicamente. Nella visione realista gli Stati devono perseguire la sopravvivenza e garantirsi la propria sicurezza, evitando atteggiamenti aggressivi o revisionisti che minerebbero la stabilità del sistema internazionale[16].

Lo Stato Nazionale tra visione realista e pulsioni nazionaliste

Gli Stati, nel pensiero realista, perseguono una politica estera incentrata a garantirsi la sopravvivenza e alla realizzazione di un efficiente apparato militare. Negli anni le Grandi Potenze hanno assunto il ruolo di player grazie alla ricchezza economica. Ciò significa che le risorse economiche e l’efficienza dell’apparato industriale, connesso con la capacità di avere una certa manodopera qualificata, hanno il potenziale di consolidare l’apparato bellico dello stato[17]. Secondo Mearsheimer la misurazione della ricchezza di un paese e la sua capacità di sfruttare le risorse economico-finanziare danno ad esso la possibilità di ottenere un potere militare latente, da attivare solo in caso di necessità. Un caso fu quello prima della Prussia e poi della Germania Imperiale diretta dal Cancelliere Otto von Bismarck. Dopo la guerra franco-prussiana del 1870, in cui le forze prussiane sconfiggono le forze francesi e viene proclamato l’Impero Tedesco, la forza economico-industriale del nuovo stato tedesco supera nettamente quella degli altri stati continentali europei. Ciò mette la Germania alla pari delle grandi potenze dell’epoca raggruppati tra Impero Britannico, Impero Russo e Impero Austro-Ungarico[18]. Bismarck comprende che la Germania deve evitare di ritrovarsi circondata da potenziali nemici. Negli anni successivi, conscio che la potenza industriale tedesca da alla Germania un potere militare latente enorme,  porta avanti una politica estera moderata, con il fine di far rappresentare Berlino come potenza non aggressiva ed evitare il pericolo di una possibile coalizione antitedesca[19]. Inoltre Bismarck, attraverso una strategia legata alla realpolitik riesce ad effettuare accordi di cooperazione con moltissimi paesi come la Russia e ratifica una alleanza, denominata la “Triplice Alleanza”, con l’Impero Austro-Ungarico e l’Italia.

Oltre al caso della Germania possiamo analizzare anche il caso del Giappone, in cui esisteva un connubio tra la politica estera aggressiva legata alle pulsioni nazionaliste e le necessità di Tokyo di ottenere materie prime, di cui l’Impero Giapponese né era quasi del tutto sprovvisto. Il Giappone verso la fine dell’800 avvia una aggressiva campagna nelle zone dell’Asia orientale. Grazie alle riforme di industrializzazione, la potenza nipponica riesce a mettere sulla scacchiere politico-militare una efficiente forza bellica. Prima sconfigge le forze cinesi nel 1895, ottenendo il controllo dell’isola di Formosa e Pescadores; in seguito alla guerra russo-giapponese del 1904-1905, in cui annienta quasi tutta la forza navale russa e conquista la fortezza portuale di Port Arthur nella penisola di Liaodong[20]. Dopo il conflitto russo-giapponese Tokyo entra tra le grandi potenze , divenendo la prima potenza non europea ad essere annoverata nello scacchiere globale. Dopo il primo conflitto globale, annoverata tra le potenze vincitrici, ottiene il controllo di tutte le ex colonie tedesche presenti nel Pacifico. Negli anni del primo dopoguerra le classi politiche e militari giapponesi aumentano la retorica nazionalista, mirata a rappresentare il paese come legittimato a dominare il continente asiatico per “liberarlo” dal dominio delle potenze occidentali[21]. Dal lato del realismo politico, rappresentato maggiormente dalla dirigenza militare della Marina imperiale, alcuni politici comprendono che il paese è dipendente dalle materie prime che vengono importante dall’estero, in primis il petrolio che giunge dagli Stati Uniti. Nei piani giapponesi la guerra contro Washington è inevitabile, ma sanno che una guerra prolungata metterebbe a rischio l’efficienza dell’apparato navale nipponico visto che gli statunitensi bloccherebbero il flusso di petrolio[22]. La sconfitta del Giappone avverò lo scenario. La questione della politica aggressiva giapponese era legata sia al nazionalismo che la classe dirigente nipponica cavalcava che in parte si scontrava con la visione realista che per sopravvivere avere assolutamente bisogno di materie prime. Ma la classe politica nipponica preferì assecondare le pulsioni nazionalistiche e abbandonare la strategia del realismo[23].

Conclusioni

La conclusione della Guerra Fredda ha rimesso l’ordine internazionale nuovamente sulla via dello scontro tra le Grandi Potenze, soprattutto con l’ascesa della Repubblica Popolare Cinese. Molti vedono che lo scontro tra gli Stati Uniti e la Cina sarà inevitabile, vista le ambizioni di Pechino di diventare la potenza egemone del continente asiatico e del Pacifico. In molti immaginavano che la crescita economica avrebbe portato anche una transizione democratica all’interno dello stato cinese. Contrariamente Pechino ha rafforzato il dominio politico del PCC, con un apparato economico che risponde, sia nel settore privato che statale, alle esigenze del governo cinese. Nelle scelte di politica internazionale portate avanti dalla Cina, Pechino applica una visione realista, ma le pulsioni nazionaliste sono diventate con Xi Jinping parte della politica cinese in cui si punta a ricordare alla popolazione cinese quando il paese venne umiliato ed era diviso durante il periodo del secolo delle umiliazioni( 1842-1949) consolidando una visione cinese della globalizzazione, legittimando, ricordando anche il passato imperiale, le azioni della Cina e la sua ambizione di diventare una Grande Potenza. Il Nazionalismo e il Realismo, secondo Mearsheimer,  possono essere sfruttati con diligenza dalle classi politiche, ma se le pulsioni nazionalistiche non vengono controllate, portando verso un Ipernazionalismo, rischierebbe di portare verso un conflitto armato. Sovrastando il pensiero razionale del Realismo lo stato potrebbe rischiare la sua stessa sopravvivenza come entità statale. Ad oggi la Turchia di Recep Tayyip Erdogan sta portando avanti una politica ipernazionalista in cui, sfruttando il passato ottomano dello stato turco, sta attuando una politica aggressiva su diversi fronti. Inoltre Ankara è in tensione con paesi come la Grecia e la Francia, di fatto alleati e membri della NATO. Il caso della Turchia dimostra come le pulsioni nazionaliste, se non vengono controllate dalle classi dirigenti, aprono la strada ad una politica ipernazionalista, cavalcata dalla autorità governative, rischiando di destabilizzare il sistema internazionale.


Note

[1]  Mearsheimer, John, Kissing Cousins: Nationalism and Realism , 2011 https://www.mearsheimer.com/wp-content/uploads/2019/03/kissingcousins.pdf

[2]  Mearsheimer, John, Kissing Cousins: Nationalism and Realism , 2011 https://www.mearsheimer.com/wp-content/uploads/2019/03/kissingcousins.pdf

[3] Mearsheimer John La Grande illusione Perché la democrazia liberale non può cambiare il mondo , LUISS University Press 2019

[4] Mearsheimer John, Ritorno al Futuro. La Crisi dell’Europa dopo la Guerra Fredda. Edizioni La Vela 2020

[5] Ibid

[6] Ibid

[7] Mearsheimer John La Grande illusione Perché la democrazia liberale non può cambiare il mondo , LUISS University Press 2019

[8] Mearsheimer John La Grande illusione Perché la democrazia liberale non può cambiare il mondo , LUISS University Press 2019

[9] Ibid

[10]Ibid

[11] Mearsheimer John

Bound to Fail: The Rise and Fall of the Liberal International Order

International Security Spring 2019, Vol. 43, No. 4, pp. 7–50 https://www.mitpressjournals.org/doi/pdf/10.1162/isec_a_00342

[12] Mearsheimer John La Grande illusione Perché la democrazia liberale non può cambiare il mondo , LUISS University Press 2019

[13] Mearsheimer, John, Kissing Cousins: Nationalism and Realism , 2011

https://www.mearsheimer.com/wp-content/uploads/2019/03/kissingcousins.pdf

[14] Mearsheimer, John, Kissing Cousins: Nationalism and Realism , 2011

https://www.mearsheimer.com/wp-content/uploads/2019/03/kissingcousins.pdf

[15] Mearsheimer John, Ritorno al Futuro. La Crisi dell’Europa dopo la Guerra Fredda. Edizioni La Vela 2020

[16] Mearsheimer John, Ritorno al Futuro. La Crisi dell’Europa dopo la Guerra Fredda. Edizioni La Vela 2020

[17]Mearsheimer John. La tragedia delle grandi potenze. LUISS University Press 2019

[18] Ibid

[19] Ibid

[20]Mearsheimer John. La tragedia delle grandi potenze. LUISS University Press 2019

[21] Ibid

[22] Ibid

[23] Ibid

Bibliografia

 Mearsheimer, John, Kissing Cousins: Nationalism and Realism , 2011 https://www.mearsheimer.com/wp-content/uploads/2019/03/kissingcousins.pdf

Mearsheimer John La Grande illusione Perché la democrazia liberale non può cambiare il mondo , LUISS University Press 2019.

Mearsheimer John, Ritorno al Futuro. La Crisi dell’Europa dopo la Guerra Fredda. Edizioni La Vela 2020

Mearsheimer John. La tragedia delle grandi potenze. LUISS University Press 2019

Mearsheimer John Bound to Fail: The Rise and Fall of the Liberal International Order International Security Spring 2019, Vol. 43, No. 4, pp. 7–50 https://www.mitpressjournals.org/doi/pdf/10.1162/isec_a_00342


Foto copertina:”Giochi senza frontiere, guerra senza lacrime …” Kirillir_makarov