Il nazionalismo catalano oltre Barcellona e il problema spagnolo
Tots els catalans han d’estar presents per a la defensa de la terra estimada.
Jo no pregunto com penses;
et pregunto si ets català i et senyalo l’imperatiu del deure
Lluis Companys[1]
La Catalogna è una terra di montagna. I catalani sono rocciosi, testardi. Trascorrono una vita in salita. Li puoi sottomettere ma non li puoi conquistare. Ripida è perfino Barcellona, la meno catalana delle città catalane, anche se ha cercato di mascherarlo allungandosi sulla costa. Se fin da bambino hai percorso chilometri su chilometri in salita nessun ostacolo può sembrarti troppo invalicabile. Inconsciamente, i catalani apprendono sin da giovani la necessità della perseveranza, il rifiuto della sconfitta, la soddisfazione della vittoria. Quando arriverà. Se esiste infatti una caratteristica che accomuna i catalani lungo tutta la loro storia è la resistenza alla forza, lo spirito di ribellione che spesso soverchia anche la loro identità culturale.
Il conflitto tra la Catalogna e lo Stato centrale, identificato storicamente con la regione della Castiglia, ha radici profonde e antiche. Già nelle Instrucciones de Palamòs Carlo V ammonisce il figlio Filippo II sulla necessità di vigilare sulla Catalogna “porque es un pueblo difìcil”. L’entità politica catalana, formatasi nel XII-XIII secolo e mai del tutto indipendente, scompare con l’unificazione borbonica. L’oppressione della cultura catalana susseguita al 1714, che pur c’è stata anche se non così forte come spesso viene descritta, ha creato la percezione di essere coloni spagnoli. Tale presunta oppressione ha prodotto un desiderio di sovranità del tutto legittimo ma ha provocato anche un forte sentimento antispagnolo che è un errore storico in quanto la maggioranza dei catalani non è mai stata antispagnola, né oggi, né nel 2006, né prima della guerra civile[2].
La terra catalana non deteneva né grandi fondi feudali come la Castiglia né grandi centri urbani ma aveva il mare che ha permesso lo sviluppo verso l’esterno. Si creò così una società che commercia, che negozia, che richiede diritti esclusivi garantiti dal loro peso politico-economico. In Castiglia non si è assistito a uno sviluppo così distinto di una tale massa sociale e ciò porta necessariamente a incomprensioni. Quando la Spagna acquisisce la capacità e il desiderio di essere Stato unitario la Catalogna vi aderisce senza grandi pianti.
Il ruolo della censura franchista sull’identità catalana è ancora molto presente ma è da ricordare che il franchismo abolisce la democrazia e conseguentemente tutti i regionalismi, in Catalogna come in Estremadura o in Galizia. Secondo alcuni, lo stereotipo del catalano e dello spagnolo imposto dal franchismo resiste tutt’oggi ed è stato utilizzato per compattare la base indipendentista contro il nemico comune madrileno[3]. Emblema del sentimento antispagnolo in Catalogna è l’inno ufficiale della Comunità Autonoma Els Segadors che richiama alla rivolta dei mietitori catalani contro l’esercito reale del 1640 che infatti recita: “Catalogna, trionfante, tornerà ad essere ricca e grande! Torni indietro questa gente tanto presuntuosa e tanto superba!”.
Il pancatalanismo, una corrente del nazionalismo catalano, rivendica l’unione di tutti i cosiddetti Paisos Catalans di cui la Catalogna è solo una parte, generalmente definita Pricipat divisa in quattro provincie: Barcellona, Tarragona, Lleida e Girona. Le altre regioni che formano i Paisos Catalans sono caratterizzate dall’uso della lingua catalana e sono nello specifico: i paesi Valenziani, le Isole Baleari, la Franja de Ponent in Aragona, il Carxe nella Comunità di Murcia e fuori dalla Spagna, le regioni di Rossiglione e Cerdagna in Francia, il Principato di Andorra e Alghero in Sardegna. I territori sopra elencati ricalcano in gran parte l’impero marittimo catalano-aragonese del XII-XIII secolo.
Il carattere distintivo della presunta comunità catalana è sapere comprendere la lingua catalana[4], strumento di comunicazione e riconoscimento, simbolo della lotta secolare intrapresa per il suo libero utilizzo. Un criterio inclusivo: essa permette di integrare nella società chiunque dimostri di conoscere il catalano, dichiarando così la sua assimilazione alla nazione catalana. Al contrario di altri movimenti nazionalistici europei il nazionalismo catalano non ha una natura xenofoba o esclusiva, bensì abbastanza progressista dovuta all’ampio arco politico che lo comprende: dalle associazioni apartitiche ai partiti liberali, dal centro-sinistra moderato a quello radicale, dai partiti marxisti a quelli anarchici.
Il pancatalanismo difende l’unità culturale, linguistica e politica di questi territori. Pur essendo più forte in Catalogna tale ideologia è presente pure nella Comunità Autonoma Valenciana e nelle Isole Baleari. Un’ulteriore distinzione va effettuata tra catalanisti e pancatalanisti: alcuni movimenti nazionalisti lottano per l’autonomia o l’indipendenza della sola Catalogna, mentre altre entità politiche dichiarano apertamente di lottare per l’indipendenza di tutti i Paisos Catalans.
I nazionalisti catalani considerano il regime catalano represso dai Borbone un sistema che andava verso una democratizzazione completa. Affermano che l’unificazione territoriale spagnola fu un processo artificiale e per questo è necessario tornare a entità omogenee e identitarie.
La rinuncia all’espressione dell’identità catalana nel XVIII-XIX secolo è vista come un tentativo di costruire una Spagna unita e liberale, seppur soggetta alle usanze castigliane. Il fallimento di questo progetto dimostrerebbe, a parer loro, l’impossibilità di unire due così diverse società[5]. Secondo la loro opinione il Principat diventerà indipendente prima o poi. L’unico modo per impedirlo è che lo Stato spagnolo, con connotati ancora franchisti, sospenda la democrazia (e traggono ad esempio la repressione del referendum del 2017).
Il clima politico è radicalmente cambiato in Catalogna dal 1980 ad oggi. Come è stato possibile spingere una regione, che godeva della più ampia autonomia e in cui i partiti indipendentisti avevano sempre svolto un ruolo minore, sull’orlo dell’indipendenza? Perché il governo spagnolo è così mal visto? La risposta va ricercata nella convergenza di tre crisi diverse: quella sociale, innescata dalle politiche di austerity; una crisi politica, derivante dal cortocircuito del sistema politico postfranchista (“il regime del ‘78”); quella nazionale, il desiderio di recuperare la sovranità popolare erosa da processi di governance sovranazionali sempre più evidenti.
L’ipotesi più convincente sulla nascita dell’indipendentismo catalano consiste nel considerare il nazionalismo catalano quale movimento dalle varie anime che nel contesto della crisi economica globale ha risposto all’intransigenza della destra spagnola con la domanda di indipendenza, sostenuto dai movimenti della sinistra radicale e in seguito anche dall’appoggio popolare trasversale e interclassista.
Il pancatalanismo nella Comunità Autonoma Valenciana e nelle Isole Baleari
L’unione linguistica catalana supera i confini della Catalogna. Vi è accordo accademico, infatti, nel definire il valenciano e il balearico dialetti catalani6. La Reinaxenca catalana, il “rinascimento” linguistico e culturale della lingua catalano che poi dà vita al catalanismo politico, che fonda il pancatalanismo nel XIX secolo si radica di più nelle quattro provincie catalane che nella Comunità Valenciana o nelle Isole Baleari.
Lì il nazionalismo pancatalano non si diffonde mai realmente e resta sempre dipendente dalle classi dirigenti catalane. Più che altro esso facilita la nascita di una Reinaxenca valenciana e di una Reinaxenca maiorchina e poi di un nazionalismo valenciano e balearo nei primi decenni del Novecento. Si sviluppa così un nazionalismo che riconosce il legame più che altro linguistico con la terra catalana ma che desidera mantenere il suo profilo identitario.
Il nazionalismo catalano radicale contemporaneo non ha mai rinunciato all’unificazione di tutti i Paisos Catalans ma la priorità è sempre stata l’indipendenza della Catalogna. Inoltre, è molto forte l’idea dell’iniziativa autonoma dei singoli territori, del diritto a decidere del proprio futuro. Esquerra Republicana de Catalunya (ERC), partito di sinistra che ha compiuto la svolta indipendentista già negli anni Novanta, al grido di tota la nació, els Països Catalans, com a àmbit d’actuació direct è il partito più attivo sul fronte pancatalanista insieme a Candidatura d’Unitat Popular (CUP), partito della sinistra radicale anticapitalista e indipendentista[6].
Lo scrittore valenciano Joan Fuster i Ortells fu una figura chiave nel pancatalanismo e nella definizione di Paisos Catalans. In Nosaltres, els valencians riconoscendo le peculiarità sociali, politiche e culturali valenciane propone la ricostruzione nazionale (siamo ancora negli anni del franchismo) all’interno di tutto il territorio nel quale si parla la lingua catalana: i Països Catalans. Conferisce a quest’ultimo termine una valenza politica. Il pensiero politico fusteriano fu ripreso da molti partiti di sinistra che negli anni seguenti cercarono di recuperare la tradizione culturale e linguistica catalana nella Comunità Valenciana scontrandosi però con la destra reazionaria che non permise nessun grande sconvolgimento. Partiti nazionalisti, come Partit Nacionalista del Paìs Valencià, Agrupament d’Esquerres del Paìs Valencià, Front pel País Valencià e dell’Unitat del Poble Valencià, furono rilegati in secondo piano. La crisi economica cambia la situazione. Nel 2015 il Partito Socialista e Compromìs, ampia coalizione guidata dal partito nazionalista Bloc Nacionalista Valencià (BNV), arrivano al governo regionale. Compromìs racchiude varie voci, non tutte favorevoli al procés catalano.
È anche per questo che negli anni ha sempre evitato di rivendicare esplicitamente il pancatalanismo. Storicamente è appoggiata da sindacati e associazioni nazionaliste e pancatalaniste quali il Sindicat d’Estudiants dels Paisos Catalans, il Bloc d’Estudiants Agermanats, Acció Cultural del País Valencià e Escola Valenciana. Il pancatalanismo nella regione Valenciana si è concentrato in BNC, in ERC e nella sua variante valenciana Esquerra Republicana del Paìs Valencià (ERPV) come nella Plataforma pel dret a decidir.
Le Baleari hanno una storia leggermente diversa. Il carattere insulare (Maiorca, Minorca, Ibiza e Formentera) della regione non ha permesso la formazione di un’identità così forte. Sopravvissuto al franchismo grazie ad associazioni culturali, il nazionalismo è stato rappresentato dal Partit Socialista de Mallorca e da Entesa Nacionalista. Le coalizioni Mès per Mallorca e Mès per Menorca contengono anime indipendentiste al loro interno. Da sottolineare il ruolo del Partito Socialista delle Isole Baleari che contrariamente a quanto avvenuto in altre regioni supporta il pancatalanismo. L’opposizione del PP alla preminenza della lingua catalana nel sistema educativo ha risvegliato un forte sentimento di identità. Evitare la diffusione del nazionalismo catalano alle Baleari e nella Comunità Valenciana è diventato un imperativo per Madrid. Per questo ha cercato di ostacolare l’insegnamento del catalano, forte in Catalogna e nelle Baleari ma meno presente a Valencia. Fomentato da un vecchio antagonismo tra Barcellona e Valencia di cui la destra blaverista[7] si è servita, nella Comunità Valenciana la lingua valenzana è considerata distinta dal catalano, contro ogni evidenza scientifica.
Dopo alcune critiche verso il procès indipendentista catalano, nel 2019 i partiti nazionalisti valenciani, galiziani, baschi e baleari hanno firmato una dichiarazione congiunta in cui reclamano il diritto all’autodeterminazione e la liberazione dei prigionieri politici, sottolineando la scarsa democraticità spagnola[8]. Già nel 1998 nella Dichiarazione di Barcellona CiU, PNV e BNG avevano dichiarato che il modello autonomico era superato e proponevano una struttura territoriale per lo Stato.
La propaganda della CUP è forte nei circoli culturali e nelle università valenciane. Tuttavia, i risultati elettorali non sono stati buoni.
La CUP si è presentata ad alternanza alle elezioni valenciane, baleari e alle municipali in entrambe le Comunità conquistando pochissimi voti. L’ERPV non ha mai raggiunto l’1% nelle regionali eccetto nel 2015 quando è arrivata al 4,38%. Alle elezioni valenciane del 2019 ha raccolto lo 0.19%. Nelle Baleari, dove si chiama Esquerra Republicana Islas Baleares, è integrata nella coalizione nazionalista ma non dichiaratamente indipendentista Mès per Mallorca. Maggiori fortune hanno avuto le forze politiche locali che si autoproclamano pancatalaniste: nelle Baleari PSM-Entesa Nationalista è al governo nella coalizione Mès per Mallorca (accusato recentemente di aver dato vita a una strategia politica pancatalanista), nella Comunità Valenciana è invece al governo Compromìs, di cui fa parte il Bloc Nacionalista Valencià. In entrambi i casi, il governo è retto anche dal Partito Socialista e da Podemos.
Il pancatalanismo, in Catalogna come nelle Baleari e a Valencia, si è rinvigorito negli ultimi anni approfittando della crisi economica e della crisi sociopolitica spagnola. Senza dubbio, la forza e il consenso popolare di cui ha goduto il nazionalismo catalano in Catalogna hanno dato nuovo vigore al nazionalismo valenciano e balearo e rivitalizzato l’idea di unire i Paisos Catalans. Pur non innescando un effetto domino di secessione, il fallimento ad oggi dell’indipendenza catalana non ha scoraggiato gli altri movimenti indipendentisti. Il procès viene considerato un esperimento da cui trarre insegnamenti. Tuttavia, l’effetto domino non è nemmeno cominciato a Valencia e a Maiorca per gli stessi motivi per cui il procés è fallito in Catalogna: scarso appoggio legale, economico e internazionale. Inoltre, in queste regioni la società, non essendo così polarizzata come quella catalana, chiede soltanto maggiore autonomia. Il progetto nazionalista comprende una Spagna federale e plurinazionale. Gli indipendentisti sono una netta minoranza. Ad oggi tali movimenti nazionalisti sono più concentrati sulle problematiche sociali rispetto al nazionalismo della Catalogna, istituzionalizzato e prettamente politico, definito anche “indipendentismo per interesse”. Il pancatalanismo a Valencia come a Maiorca resta ultra-minoritario.
Il problema spagnolo
Molte analisi della questione catalana trascurano il ruolo essenziale del nazionalismo spagnolo, storicamente castigliano, che ha portato avanti una regressione centralizzante dello Stato spagnolo. Un nazionalismo aggressivo guidato principalmente dal Partito Popolare. Ad esso va aggiunto l’instabile posizione del Partito Socialista, storicamente favorevole al federalismo ma non libero da correnti centraliste. Gli attuali governi Sanchez, formalmente allineati alle posizioni del PP e di Ciudadanos sulla questione catalana per ragioni elettorali, hanno intrapreso maggiore dialogo e importanti inversioni. Podemos invece ha da sempre una posizione molto ambigua: è favorevole al diritto a decidere dei catalani ma preferisce una Spagna federale unita e condanna il referendum del 2017 quale illegittimo. È da sottolineare come il nazionalismo spagnolo odierno si differenzi da quello franchista nella sua fedele adesione alla Costituzione, al carattere pluralista interno che però non deve minare l’unità dello Stato e nella preminenza linguistica del castigliano.
La Spagna che nasce alla morte di Franco è caratterizzata da una costruzione nazionale incompleta a cui i vari governi hanno provato a rimediare con politiche centralizzanti che si sono scontrate con le ondate di nazionalismo provenienti dalle varie periferie. Ne è dimostrazione il fatto che lo Stato spagnolo è ad oggi caratterizzato da una forma di decentramento intermedio tra regionalismo e Stato federale.
La Costituzione spagnola del 1978, inoltre, è incompleta in molti punti e ambigua in altri. Prima parla “della nazione spagnola” e della sovranità che le spetta per poi però menzionare l’esistenza di “popoli spagnoli” al suo interno. Proprio la sfiducia in una possibile riforma costituzionale (che tra le altre cose renderebbe legittimo un referendum sull’autodeterminazioni delle varie comunità autonome) nonché nel sistema politico generale ha spinto molti ad appoggiare l’indipendentismo[9]. L’inadeguatezza e l’anacronismo del sistema spagnolo delle autonomie non ha permesso di unire le doppie identità nazionali.
Un ulteriore problema è la corruzione del sistema politico spagnolo e la politicizzazione del sistema giudiziario. Il Tribunale Costituzionale, vera miccia del processo indipendentista catalano, è molto politicizzato in quanto i suoi membri sono di nomina parlamentare. La rivendicazione del “diritto a decidere” è frutto di tale sistema inefficiente. Basti pensare che lo Statuto di Autonomia catalano approvato dal governo centrale, da quello regionale e poi da un referendum popolare nel 2006 è stato modificato nel 2010 dal Tribunal Constitutional dopo un ricorso del principale partito di opposizione, sia in Spagna che in Catalogna, e non è mai più stato sottoposto a consultazione popolare. Alcuni analisti, come Antonio Pedrol Rius e Jordi Amat11, hanno sottolineato il ruolo eccessivo assegnato al Tribunale Costituzionale dalla Costituzione spagnola in questioni lasciate volutamente aperte. Il rischio consisteva proprio nello scontro inevitabile nel caso in cui una legge approvata in referendum popolare regionale fosse considerata illegittima dal Tribunal Constitucional, i cui membri sono di nomina parlamentare. Inoltre, la Spagna ha leggi durissime per chi critica, anche sui social network, la monarchia o gli organi statali. I casi dei rapper Valtonyc e Hasel, condannati a vari anni di reclusione per incitamento all’indipendenza catalana, vilipendio alle forze dell’ordine e offesa alla Corona, hanno acceso ampi dibattiti e violente proteste.
La crisi catalana ha mostrato chiaramente come il nazionalismo catalano e lo spagnolismo avevano due concezioni diverse della Carta Costituente: per i primi era un punto di partenza per gradi maggiori di autonomia, per i secondi era un limite invalicabile per preservare una supposta unità spagnola. Questa doppia concezione fu certificata dalla sentenza del 2010 sullo Statuto di Autonomia della Catalogna. In quel momento un indipendentismo catalano che stava già mutando ideologicamente e socialmente acquista piena legittimità agli occhi della cittadinanza Non appena l’intransigenza del governo centrale ha dimostrato che una maggiore autonomia non avrebbe garantito l’effettiva sovranità, si è cominciato a chiedere l’indipendenza.
Il fatto che una larga parte della cittadinanza creda che problemi strutturali sociali, economici e politici si possano risolvere con la creazione di una Catalogna indipendente e non all’interno dello Stato spagnolo dimostra come la Spagna, almeno in Catalogna e forse non solo lì, è una democrazia vicina al fallimento. Non è stata capace di integrare le rivendicazioni di uno dei suoi popoli nell’apparato statale centrale. Il vincolo di rappresentazione democratica tra la Spagna e la Catalogna si è rotto.
Il governo spagnolo, in particolare il Partito Popolare, è stato incapace di adottare una risposta politica efficace, non violenta e non autoritaria al nazionalismo catalano. L’incosciente azione violenta delle forze dell’ordine la mattina del 1° ottobre e la sproporzione delle accuse rivolte ai capi dell’indipendentismo (quando il Codice penale spagnolo parla di ribellione violenta) con una carcerazione preventiva eccessiva non fanno altro che polarizzare ulteriormente la società civile catalana e impressionare l’opinione pubblica spagnola. La violenza trasforma la lotta per l’indipendenza in lotta per esprimere il proprio diritto a decidere, che immancabilmente raccoglie più sostenitori. Polarizzazione che diventa in certi casi fanatismo. Da entrambe le parti. La polarizzazione è evidente nella condotta dei media spagnoli, nei pochi libri o articoli scientifici sul nazionalismo catalano in castigliano. Gli unici fruibili consegnano un giudizio di parte e negativo. Dall’altra parte, se ne trovano molti in catalano che, tuttavia, sembrano soltanto difendere le azioni politiche intraprese dalla Catalogna negli ultimi anni e deplorare l’operato di Madrid. L’errore di Madrid è stato quello, da una parte, di sopportare indifferente per tanti anni la lenta crescita del fenomeno indipendentista nelle istituzioni catalane, colpevoli di aver a volte falsificato la realtà e aver adottato leggi chiaramente incostituzionali. Dall’altro lato, il continuo rifiuto al dialogo (tra il 2012 e il 2015 gli organismi statali spagnoli, principalmente il Tribunal Constitutional, hanno rigettato 25 attività legislative catalane, spesso adottate con l’appoggio dell’opposizione) e un esasperante nazionalismo spagnolo con chiari tratti franchisti ha trasformato una domanda di maggiore autonomia in lotta per l’autodeterminazione. La decennale mancanza di empatia e rispetto, manifestata nel discorso di Re Filipppo VI il 3 ottobre 2017, è stata un grave errore politico e umano. Il referendum indipendentista è scaturito anche da una sottovalutazione da parte delle forze governative spagnole: pensare che la maggioranza dei catalani contrari all’indipendenza siano devoti a Madrid e che non cambieranno mai idea. Tutto ciò in nome della pace apparente tra Comunità Autonome e governo centrale. La difficoltà di conciliare unione politica e diversità culturali però non è solo spagnola ma europea.
Conclusioni
Il pancatalanismo è un’ideologia profonda e radicata nella storia. Il nazionalismo indipendentista è oggi però un movimento contro la storia. L’indipendentismo, per quanto legittimo, si scontra con la tendenza di costruzione sovranazionale. Nel contesto dell’Unione Europea, in cui vi sono forze economiche e sociali molto forti e globali, lo smembramento interno di uno Stato è quantomeno impensabile.
Il processo indipendentista catalano è sembrato il chicken game di Gioventù bruciata: due macchine sfrecciano verso un burrone e il primo che frena ha perso perché è un pollo. In questa inutile lotta verso il burrone nessuno dei due schieramenti ha voluto fermarsi in tempo. La malagestione politica, sia spagnola che catalana, ha prodotto la polarizzazione della società spagnola. Una frattura difficile a ricomporsi. Oggi, il conflitto sembra essersi moderato. Forse aspetta solo la giusta miccia per riaccendersi.
Note
[1] Front, Gerona, n. 666, 3 gennaio 1939.
[2] Intervista a José Enrique Ruiz-Domènec in El Paìs, 9 dicembre 2018, p. 5.
[3] EDUARDO MENDOZA, Qué está pasando en Cataluña, Barcelona, Seix Barral, 2017.
[4] “Cada naciòn piensa como habla y habla como piensa. Quien atenta contra la lengua de un pueblo atenta contra su alma” BORREL, CARRERAS, BURNIOL, PIQUE (2017), p. 119.
[5] Intervista a Josep Fontana, Josep Fontana: «Mil años nos han ido haciendo diferentes», El Periodico, 21 ottobre 2014. 6 Dictamen sobre els principis i criteris per a la defensa de la denominació i l’entitat del valencià de l’Acadèmia Valenciana de la Llengua del 9 febbraio 2005.
[6] Qué és la CUP? (www.cup.cat/que-es-la-cup); Articolo 2 dell’Estatuts di ERC.
[7] Il blaverismo è il movimento politico valenziano contro il pancatalanismo.
[8] PNV y Compromís se desmarcan de un manifiesto por la autodeterminación, El Periodico, 25 ottobre 2019.
[9] LALOUH, Las calles siempre seràn nuestras, pero queremos màs, El Periodico, 3 gennaio 2018. 11 AMAT, La conjura de los irresponsables, p. 9 e 15.
FONTI
AMAT, J. (2017) La conjura de los irresponsables. Barcelona: Editorial Anagrama
BORREL, CARRERAS, BURNIOL, PIQUE (2017) Eschuca, Cataluna. Eschucha, Espana. Barcelona:
Ediciones Peninsula.
FORTI, S., GONZALEZ VILALTA A., UCELAY-DA CAL E. (2017) El proceso separatista en Cataluña : análisis de un pasado reciente (2006-2017). Granada: Editorial Comares, 2017
FORTI, S. (2018) La Catalogna: dalla cultura dell’autodeterminazione alla tentazione dell’indipendenza. in R. Toniatti (Ed.), La cultura dell’autonomia: Le condizioni pre-giuridiche per un’efficace autonomia regionale (pp. 31-46).
Università degli Studi di Trento.
FORTI, S. (2018) Analisi, cronache e memorie della crisi catalana in Spagna contemporanea, 2018, n. 53, pp.
213-229.
LIMES, Madrid a Barcellona, n. 10, 2017
MARULL, D. (2016) Breve historia de un proceso independentista. La Vanguardia. 30 dicembre 2016
PERALES, M. (2018) La penetración del nacionalismo catalán en la Comunidad Valenciana y las Islas Baleares, Cuadernos de Pensamiento Político, No. 59, pp. 19-26.
Foto copertina: Immagine web