Gli effetti nell’ordinamento italiano delle pronunce della Corte Edu con particolare riguardo al reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Il caso Contrada.


Il principio di legalità, enunciato all’articolo 25 della Carta costituzionale, risponde, tradizionalmente, ad una duplice funzione, quella di garanzia per il cittadino, che si esplica nella delimitazione di ciò che è lecito e di quanto non lo è, orientando in tal senso le scelte di azione dei consociati, nonché quella di riservare al solo potere legislativo la determinazione delle fattispecie criminose in ossequio al principio di separazione dei poteri adottato dall’ordinamento italiano.  In questa prospettiva, le opzioni di politica criminale riservate in via esclusiva al Parlamento, organo dotato del più alto tasso di democraticità, incontrerebbero la condivisione dei cittadini, che indirettamente parteciperebbero all’individuazione dell’area dell’illecito.

Proprio sotto questo ultimo profilo, meglio noto come principio della riserva di legge, è dato riscontrare una prima grande differenza con il principio di legalità enunciato dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Difatti, dal trattato internazionale suddetto emerge un principio di legalità che non contempla il corollario della riserva di legge.

La ragione di tale mancanza deve rinvenirsi nella circostanza che alla Convenzione partecipano Stati cd. di common law, che annoverano tra le possibili fonti del diritto il potere giudiziario, e che, quindi, ammettono norme incriminatrici prodotte da  pronunce giurisprudenziali.

La non completa sovrapponibilità del principio di legalità domestico – ex art. 25 Costituzione – e convenzionale – ex art. 7 della Cedu – non si limita al solo difetto di previsione della riserva di legge nel secondo, ma sembrerebbe estendersi anche ad un diverso modo di intendere a livello sovranazionale il requisito della prevedibilità.

In particolare, il concetto di prevedibilità, come sviluppato dalla Giurisprudenza convenzionale, parrebbe investire non solo la delineazione dell’area dell’illecito – consentendo al consociato di comprendere ciò che è lecito e gli è consentito fare senza incorrere nel rischio della sanzione penale – ma ingloberebbe anche la previa conoscibilità – quale determinazione ad agire del soggetto agente, modalità di esecuzione del reato e relativa pena.

In altri termini, la funzione di garanzia del principio di legalità non si esaurirebbe nel consentire al soggetto agente di conoscere previamente la rilevanza penale della propria condotta, ma imporrebbe all’ordinamento nel suo complesso di offrire al consociato stesso la possibilità di prevedere con un certo grado di precisione la fattispecie di reato che potrebbe essergli ascritta nel caso in cui si decida a tenere un determinato contegno.

La previsione del titolo di reato contestabile contribuirebbe all’esatta individuazione della pena, anche e soprattutto in punto di quantificazione della stessa, cui si andrebbe incontro se si scegliesse di agire in un certo modo.

Il terreno di confronto tra la giurisprudenza italiana e quella convenzionale, che ha consentito di trarre maggiori spunti di riflessione sul diverso modo di intendere il principio di legalità tra i due ordinamenti, è dato dalla questione che si è sviluppata in relazione al reato di concorso esterno in associazione mafiosa ed in particolare, dalle pronunce che si sono susseguite in merito al caso Contrada.

La suddetta nota vicenda è stata foriera di diversi interrogativi che hanno animato il dibattito giurisprudenziale domestico.

Vari sono stati i quesiti che sono stati affrontati dagli interpreti.

A far discutere, in primo luogo, sono state le motivazioni con cui la Corte di Strasburgo[1] ha accolto le doglianze mosse dal Contrada nei confronti dello Stato italiano. La Corte Edu, infatti, ha stabilito che il reato di concorso esterno in associazione mafiosa non poteva essere contestato al Contrada in quanto la fattispecie criminosa parola era stata compiutamente definita dalla Giurisprudenza nazionale solo all’esito dell’intervento delle Sezioni Unite Demitry del 1994, ossia in un arco temporale successivo al momento in cui il Contrada aveva effettivamente tenuto la condotta di concorrente esterno.

In particolare, i Giudici Europei hanno affermato che il contrasto giurisprudenziale sincronico non avesse consentito al Contrada di prevedere le conseguenze giuridiche connesse al proprio agire e che, pertanto, la sentenza che lo aveva condannato per concorso esterno in associazione mafiosa si poneva in contrasto con il principio di legalità di cui all’articolo 7 della Cedu, concretandosi in un’applicazione retroattiva della norma penale incriminatrice.

La pronuncia dell’organo di Giustizia, chiamato a vigilare sull’osservanza delle Convenzione, ha ingenerato un annoso dibattito nella Giurisprudenza italiana afferente gli effetti da riconoscere a tale sentenza.

In particolare, dubbi sono sorti circa la possibilità di estendere il dictum del predetto arresto giurisprudenziale anche ai cd. “Fratelli minori” di Contrada, ossia a tutti quei soggetti condannati per concorso esterno in associazione mafiosa per fatti verificatisi prima della pronuncia Demitry[2] ed, in caso di risposta affermativa, su quale fosse lo strumento processuale idoneo ad elidere la portata dei vari giudicati di condanna.

Un primo orientamento, valorizzando il senso letterale dell’articolo 46 delle Convenzione europea di diritti dell’uomo – che limita alle parti processuali gli effetti delle pronunce della Corte di Giustizia – riteneva che quanto stabilito dai Giudici Europei nel caso Contrada non potesse estendersi anche a casi simili, in quanto questi non sarebbero stati oggetto di giudizio. Inoltre, sempre secondo l’orientamento in esame, lo strumento processuale attraverso cui l’ordinamento interno avrebbe potuto dare attuazione alla pronuncia della Corte di Strasburgo si sarebbe dovuto individuare nell’incidente di esecuzione di cui all’articolo 670 c.p.p., non sussistendo alcuna necessità di riapertura del processo e, quindi, di revisione ex art. 673 c.p.p.

Le prospettazioni di quest’approdo ermeneutico sono state adottate dalla Giurisprudenza interna che ha annullato il giudicato di condanna a carico di Contrada, dichiarandolo ineseguibile ex art. 670 c.p.p. in quanto la pena comminata difetterebbe di una valida base legale.

La tesi giurisprudenziale descritta pone a fondamento delle proprie conclusioni un ulteriore argomento. In particolare, gli Ermellini hanno statuito che al caso Contrada non è possibile riconoscere un’efficacia generale ma solo valenza limitata al caso oggetto di giudizio della pronuncia della Corte Edu poiché il consesso di giustizia convenzionale non avrebbe fatto ricorso alla procedura prescritta per l’emanazione delle cd. Sentenze pilota[3].

Tali conclusioni, tuttavia, non hanno incontrato il consenso unanime della giurisprudenza.

Un altro filone interpretativo, infatti, ritiene che, sebbene la sentenza Contrada non sia una sentenza pilota, la stessa esprima un principio generale cui l’ordinamento italiano deve necessariamente adeguarsi anche con riguardo ai cd. «Fratelli minori di Contrada».

Il contrasto così evidenziato è stato sottoposto al vaglio delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali sono state chiamate a dirimere il contrasto sula portata effettiva della commentata sentenza della Corte Edu.

Prima di riportare la soluzione prospettata dal Giudice di legittmità[4], appare opportuno evidenziare i maggiori aspetti problematici occasionati dalla determinazione della Corte convenzionale.

Difatti, quest’ultima sembrerebbe dar rilievo, ai fini dell’accertamento del requisito di prevedibilità della norma penale incriminatrice, al mero contrasto giurisprudenziale sincronico ossia a quello che ha ad oggetto la qualificazione giuridica della fattispecie.

Per effetto del contrasto giurisprudenziale sincronico, a venire in discussione non è l’an della responsabilità, ma l’esatta qualificazione giuridica di una determinata condotta penalmente rilevante.

In altri termini, ciò che risulta controverso è il titolo di reato e conseguentemente il quantum della pena. Orbene, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state chiamate a stabilire se l’esistenza del mero dato oggettivo del contrasto giurisprudenziale sincronico possa dirsi sufficiente a far venire meno il requisito di prevedibilità, imposto dal principio di legalità convenzionale, e, di conseguenza, non consenta di punire quelle condotte che si siano consumate in costanza di esso.

Una tale esito non sembrerebbe potersi condividere sulla scorta di svariate considerazioni.

Anzitutto, appare opportuno evidenziare che non può parlarsi di imprevedibilità in presenza di un contrasto giurisprudenziale sincronico che, piuttosto, determinerebbe una situazione di incertezza. Difatti, al consociato non sarebbe in alcun modo preclusa la possibilità di previamente conoscere le possibili conseguenze penali connesse alla propria condotta.

Al più il contrasto giurisprudenziale sincronico, potrebbe ingenerare, semplicemente, nella persona l’incertezza in ordine all’esatta qualificazione giuridica della fattispecie, ed il soggetto potrebbe essere posto dinnanzi al dubbio se la propria condotta costituisca un’ipotesi delittuosa anziché un’altra.

Tuttavia, un siffatto dilemma non preclude al soggetto la possibilità di prevedere, se non in termini di certezza, ma, certamente, con un certo grado di probabilità, atto ad escludere l’imprevedibilità (che è impossibilità oggettiva di previsione), le conseguenze legate al proprio agire illecito. Del resto, come ha chiarito la Corte costituzionale con la sentenza 364 del 1988[5], il dubbio inerente alla liceità di un determinato comportamento deve indurre il soggetto ad astenersi dal porlo in essere, non potendo in tale caso affermarsi l’imprevedibilità delle conseguenze penali a giustificazione della condotta. Incertezza, dunque, non può dirsi sinonimo di imprevedibilità.

Di contro, potrebbe rilevare, ai fini dell’accertamento del requisito della prevedibilità della norma penale incriminatrice, il contrasto giurisprudenziale diacronico, ossia il mutamento repentino dell’orientamento giurisprudenziale. In altri termini, la circostanza che al tempo in cui il soggetto ha posto in essere una determinata condotta esistesse un orientamento giurisprudenziale consolidato, che sussumeva il fatto sotto una determinata norma incriminatrice, rileva nel senso che ai fini del giudizio non può essere considerato il successivo approdo giurisprudenziale (intervenuto prima della definizione del processo) che qualifica la condotta in termini di reato più grave[6].

L’adesione da parte del giudice, investito della causa, all’orientamento giurisprudenziale, affermatosi successivamente al momento della consumazione della condotta in contestazione, potrebbe corrispondere ad un’applicazione retroattiva della norma penale incriminatrice, non prevedibile dal soggetto agente, che confidava legittimamente in una determinata qualificazione giuridica della propria condotta. Dunque, esclusivamente il contrasto giurisprudenziale diacronico dovrebbe dar luogo alla violazione dell’articolo 7 della Cedu, in quanto determinerebbe un effettivo difetto di prevedibilità in ordine al titolo di reato e, pertanto, alle conseguenze penali connesse ad un dato contegno, soprattutto in merito al quantum di pena.

Nel caso Contrada, la Corte di Strasburgo, tuttavia, sembrerebbe aver attribuito rilevanza al solo dato oggettivo del contrasto giurisprudenziale sincronico ai fini delle violazione del principio di legalità di cui all’articolo 7 della Cedu.

Una conclusione in tal senso determinerebbe l’impossibilità per gli operatori di diritto di pronunciare una condanna tutte le volte in cui al tempo di consumazione della condotta illecita da parte dell’imputato sussisteva un contrasto giurisprudenziale in merito all’esatta individuazione del titolo di reato.

Proprio in vista delle conseguenze di ordine pratico e concettuale derivanti dall’eventuale adesione delle Corti interne alla nozione di prevedibilità espressa dai Giudici europei nel caso Contrada,  gli Ermellini si sono espressi nel senso di non riconoscere portata generale alla determinazione in commento, argomentando tale diniego con molteplici valutazioni.

Partendo dal dato normativo ed, in particolare, dal disposto degli articoli 46  e 61 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, il Supremo Consesso di legittimità  ha chiarito che le sole ipotesi nelle quali è possibile estendere la statuizione dettata dalla Corte di Strasburgo anche a quelle vicende giudiziarie nazionali, che non abbiano costituito oggetto specifico di giudizio, ma che si debbono considerare analoghe a quella su cui i Giudici europei si sono pronunciati,  non osservando la procedura prescritta per le sentenze pilota, sono quelle in cui la regola di diritto enunciata costituisca espressione di un orientamento giurisprudenziale consolidato.

Tanto, affermano le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel recente arresto, non può riscontrarsi con riguardo al concetto di prevedibilità delineato nella sentenza Contrada.

Difatti, la soluzione interpretativa adottata dalla Corte di Strasburgo in occasione del giudizio sulla fattispecie del concorso esterno in associazione mafiosa, non trova riscontro in altre pronunce del medesimo plesso giudiziario, che, anzi, in diverse circostanze si è pronunciato nel senso di escludere il difetto di prevedibilità tutte le volte in cui, per effetto di un contrasto giurisprudenziale a carattere sincronico, il consociato versasse in una situazione di incertezza, che avrebbe dovuto suggerirgli, per andare esente da sanzione, di astenersi dal compiere una condotta che, sebbene non unanimemente sussunta dagli operatori di diritto in una determinata fattispecie tipica, non mancasse, comunque, di assumere una sicura rilevanza penale.

Quest’ultima sembrerebbe la nozione di prevedibilità accolta dagli Ermellini nella pronuncia in commento.

Il solo contrasto giurisprudenziale, che rileverebbe per potere affermare un difetto di prevedibilità, con conseguente violazione del principio di legalità, nel suo corollario dell’irretroattività della norma penale incriminatrice, sarebbe quello diacronico ossia il mutamento improvviso e non ragionevolmente immaginabile di un determinato orientamento giurisprudenziale, nel quale il consociato ha fondatamente riposto affidamento, orientando le proprie scelte di azione.

Alla luce di tali assunti, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha finito per negare l’estensione degli effetti della sentenza della Corte di Strasburgo sul caso Contrada anche ai casi analoghi (cd. Fratelli minori), che non abbiano costituito oggetto di specifico giudizio dinnanzi al Giudice europeo.


Note 

[1] Corte europea dei diritti dell’Uomo, Strasburgo, 14  Aprile 2015  Causa Contrada c. Italia, Ricorso n.66655/13

[2] Corte di Cassazione Sezioni Unite Penali, sentenza  n° 16. del 5.10.1994.

[3]La sentenze pilota deve intendersi come quella pronuncia che, per il principio di diritto che enuncia, è destinata  ad avere effetti anche con riguardo a casi analoghi a quello che costituisce specifico oggetto di giudizio.

[4]    Cassazione Penale, Sezioni Unite, 3 marzo 2020, n. 5844

[5]Corte Costituzionale sentenza 23/03/1988 n°364 dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 5 c.p. nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile.

[6]Si fa qui riferimento al cd. Fenomeno dell’overruling ossia il mutamento di orientamento improvviso della giurisprudenza.


Copertina:Dea della  Giustizia

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