Quarantacinque anni fa il sequestro di Aldo Moro per mano delle Brigate Rosse spaccava in due la classe politica italiana e arrestava definitivamente il tentativo della frangia più riformista della Democrazia Cristiana di formare un governo con il PCI di Enrico Berlinguer.


A cura di Francesca Boscariol

Era il 16 marzo 1978 quando un commando delle Brigate Rosse rapiva il Presidente della DC Aldo Moro e uccideva i cinque uomini della sua scorta. Ma perché proprio lui? E che ruolo ricopriva nel panorama politico italiano?
Per meglio comprendere le dinamiche che hanno portato ad un gesto tanto destabilizzante – quale il rapimento e l’uccisione di uno dei maggiori esponenti politici italiani dell’epoca – occorre fare un passo indietro partendo da una breve analisi dello scenario politico e sociale che si figurava in Italia tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’80, in un periodo storico successivamente passato agli onori delle cronache con il nome di “Anni di piombo”.
Ed è proprio in un contesto fatto di rivolte e, successivamente, di vere e proprie bombe e scontri armati partiti dalla strage di Piazza Fontana del 12 dicembre del 1969 per finire con la bomba alla Stazione di Bologna il 2 agosto del 1980, che bisogna collocare le rivendicazioni della popolazione e la totale incapacità della classe dirigente italiana di far fronte alle esigenze di studenti e operai protagonisti del c.d. “autunno caldo”.
Così, alla fine del decennio, l’Italia fu scossa da due ondate di radicale contestazione: la prima, nel 1968, animata dal Movimento studentesco che chiedeva più giustizia sociale e meno autoritarismo; la seconda, nel 1969, innescata dalle rivendicazioni degli operai. Manifestazioni, scioperi e occupazioni di fabbriche erano all’ordine del giorno in un contesto reazionario in cui l’Italia sembrò spostarsi a sinistra nel tentativo di un superamento del capitalismo che il governo e gli organi dello Stato tentarono di fermare tenacemente.
Una simile situazione di scompiglio sociale si rifletteva poi anche sulla politica in quanto, seppure in seguito alle elezioni del maggio del 1968 la V legislatura si apriva con un governo monocolore della Democrazia Cristiana, non poteva passare inosservata la crescita del Partito Comunista, il quale era riuscito ad ottenere circa il 27% dei consensi dei votanti.
Tuttavia, quella che poteva apparire come una primavera rivoluzionaria italiana doveva fare i conti con la posizione del Paese nello scenario internazionale in quanto, fin dal secondo dopo guerra, l’Italia era parte integrante dell’Alleanza atlantica guidata dagli Stati Uniti in un periodo in cui Guerra Fredda e sentimento anticomunista si presentavano come la priorità.
Evidente dunque che, seppure il Partito comunista italiano era il più forte di tutto l’Occidente e aveva contribuito alla sconfitta del fascismo, il suo stretto legame con l’Urss tanto bastava ad escluderlo dal governo nazionale.

La strategia della tensione e la nascita delle Brigate Rosse

In un quadro già così ampiamente complesso, la situazione non tardò a degenerare quando il 12 dicembre 1969 lo scoppio di una bomba nella sede milanese della Banca Nazionale dell’Agricoltura, metteva in evidenza tutta l’incapacità dell’esecutivo e degli apparati statali di gestire la situazione di disordine sociale che si respirava nel Paese. Era l’inizio della “Strategia della tensione” messa in atto da frange neofasciste nel tentativo di scalfire il sistema democratico in favore di una svolta autoritaria, in una catena di eventi che trovò il suo apice nella bomba esplosa alla stazione di Bologna il 2 agosto ‘80 causando un totale di 85 morti e circa 200 feriti.
Alla violenza neofascista non si fecero poi attendere le reazioni dei gruppi estremisti di sinistra, i quali, dalla loro, non condividevano la politica mediatrice del PCI accusandolo di essersi integrato nel sistema e di aver tradito la classe lavoratrice per non aver attutato la rivoluzione comunista delineata dall’Unione Sovietica. Nacquero così le Brigate Rosse, una piccola formazione nata e cresciuta all’interno delle fabbriche milanesi.
Anche da questa frangia gli attacchi non si sprecarono: furono incendiate le auto di neofascisti e picchiati o sequestrati dirigenti industriali, il tutto accompagnato da volantini raffiguranti una stella a cinque punte con il solo scopo di sottolineare la necessità della lotta armata anche in Italia.
Obiettivo principale delle BR era “l’attacco al cuore dello Stato”, il cui episodio più clamoroso fu il sequestro, dal 16 marzo al 9 maggio 1978, e l’uccisione del presidente della DC Aldo Moro, la cui unica colpa era stata quella rendersi fautore e sostenitore di un governo finalmente aperto anche al PCI di Enrico Berlinguer.
Secondo l’allora leader della Democrazia Cristiana era infatti giunto il momento che il partito di maggioranza prendesse in considerazione la partecipazione del secondo partito d’Italia per consensi, il Partito Comunista Italiano appunto, nella gestione del governo. Quello che per Berlinguer era un “nuovo grande compromesso storico”, venne definito da Moro come una sorta di “strategia dell’attenzione nei confronti dei comunisti italiani, in risposta alla volontà di destabilizzazione del Paese da parte delle vecchie classi politiche, al fine di “rendere possibile, lasciando da parte ambiguità e comodità, il più ampio dialogo in vista di una nuova e qualificata maggioranza“. 

Le conseguenze politiche del rapimento di Moro

Non può dirsi un caso che il rapimento di una figura di spicco del panorama politico del tempo si fosse consumato proprio il mattino del 16 marzo 1978, giorno in cui il Parlamento veniva convocato per discutere e votare la fiducia al quarto governo Andreotti, il primo ad essere sostenuto anche dalle forze comuniste del Paese.
D’altronde, era ben noto il progetto di alleanza con il PCI non fosse ben visto dagli alleati internazionali dell’Italia tanto che lo stesso Moro, negli anni precedenti la sua uccisione, aveva tentato in più occasioni di rassicurare Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania dell’ovest circa la fedeltà dell’Italia all’Alleanza Atlantica nonostante l’eventuale ingresso del Partito Comunista nel governo.
Ebbene, con il rapimento e la morte del segretario della DC naufragava definitivamente anche il progetto di un governo di unità nazionale che, sulla scia del governo cileno di Unidad Popular di Salvator Allende, mirava allo sviluppo di una cooperazione fra le forze popolari di ispirazione comunista e socialista con quelle di ispirazione cattolico-democratica, al fine di dar vita a uno schieramento politico capace di realizzare un programma di profondo risanamento e rinnovamento della società e dello Stato italiani, sulla base di un consenso di massa tanto ampio da poter resistere ai contraccolpi delle forze più conservatrici.


Foto copertina: Aldo Moro