In occasione del bicentenario dalla morte di Napoleone, ne “Il volo dell’Aquila” (Castelvecchi, 2021) Salvatore Santangelo e Pietro Visani raccontano l’epopea dell’Imperatore in 50 istantanee, ricostruendone l’immagine attraverso la voce dei protagonisti di uno dei periodi centrali della modernità.


Salvatore Santangelo Giornalista professionista e docente universitario. Esperto di politica internazionale e di storia del Novecento, mi occupo delle nuove dimensioni dei conflitti e studio la sfera mitica dell’attualità occupandomi di “geosofia”: l’esplorazione “dei mondi che si trovano nella mente degli uomini” (John K. Wright – Berkeley 1947). Tra le pubblicazioni: Gerussia (2016), Babel (2018) e Geopandemia (2020), tutti pubblicati con Castelvecchi.

Capace di innescare tanto un processo di modernizzazione politica, amministrativa e militare quanto una vera e propria “accelerazione della storia” – a duecento anni dalla morte di Napoleone – l’esperienza del Bonapartismo si conferma un comprovato fenomeno storico, geopolitico e sociologico.
Benché attorno alla figura dell’imperatore dei francesi permanga una controversa atmosfera di fascino ed ambiguità, la sua passione per il potere e la brama di esercitarlo hanno sconvolto e ridefinito i confini politici dello spazio compreso fra il Mare del Nord e il Mediterraneo.
Le campagne napoleoniche e i campi di battaglia europei hanno dato inizio alla guerra moderna totale, di massa e di annientamento, tema centrale nella riflessione del teorico militare prussiano Carl Von Clausewitz. Allo stesso modo, il tentativo utopico di unificare il continente sotto la guida militare della Grande Armée ha rappresentato un’eredità cruciale per la costruzione, dopo il secondo conflitto mondiale, di quell’esperimento di cooperazione e coesistenza pacifica a cui attualmente facciamo riferimento con il termine Unione Europea. 
Abbiamo incontrato Salvatore Santangelo, giornalista, docente e (co)autore del saggio “Il volo dell’Aquila”, il cui tentativo di fotografare l’epopea di Napoleone in 50 istantanee ha contribuito a restituire l’immagine di uno dei personaggi più caratterizzanti della storia del continente europeo in un’atmosfera carica di passione, ambizione ed immane coraggio fisico.

 Com’è nata l’idea del volume? Quali benefici comporta raccontare “fotograficamente” l’imperatore?

“Con Piero Visani abbiamo sempre condiviso una grande passione per l’epopea napoleonica ed è stato naturale immaginare di dare una concretezza a questo percorso. La prematura scomparsa del mio co-autore ha fatto di queste pagine anche un tributo alla sua memoria e alla nostra amicizia. La modalità di rappresentazione che avevamo scelto, rimanda all’approccio cinematografico, visivo, delle nostre scritture ed è pensato anche per avvicinare un pubblico più giovane, abituato a questo tipo di rappresentazioni.”

“Studiare Napoleone significa anche esplorare angoli oscuri e problematici della nostra contemporaneità”. Sotto quali aspetti è possibile affermare che l’Imperatore rimane una figura di estrema attualità anche ai giorni nostri?

“Basti pensare solo al rapporto tra il capo e le masse: Napoleone ha inaugurato un vero e propria “sistema”, per certi versi molto simile al Cesarismo ma contaminato dalla modernità. In questo senso, sia a Napoleone che a Cesare è applicabile la categoria, coniata da Luciano Canfora, di “Dittatore democratico”. Bonaparte ha potuto contare sui primi mezzi di comunicazione di massa, sui primi quotidiani e sui primissimi strumenti di sondaggio e controllo dell’opinione pubblica; tutto ciò ha amplificato questa dinamica, cioè il rapporto dis-intermediato tra il capo e le masse, rendendo questo modello di un’incredibile attualità.”

Nel 1806 la Prussia post-federiciana dichiarò guerra alla Francia napoleonica, in forte difficoltà economiche a causa della precedente campagna militare che, nel 1805, incise pesantemente sulle casse dello Stato. In che modo Napoleone fu in grado di trasformare tale debolezza in pretesto per riprendere la propria politica espansionistica in Europa Centrale? Per quale ragione è possibile considerare la vittoriosa campagna francese il “germe della nuova Prussia” e della futura Germania?

“Nella Campagna del 1806 si scontrarono due universi mentali, la tradizione (incarnata dall’Esercito prussiano) e la rivoluzione (la Grande Armata). Nel primo scontro tra questi mondi (come già accaduto sul campo di Valmy nel 1792) i vecchi eserciti dell’Ancient Regime – fossili della Guerra dei 7 anni – vennero travolti dalla Nazione in armi.”

La disfatta di Jena ha giocato un ruolo fondamentale nella riflessione di Clausewitz sulla guerra come scontro di forze morali. In che misura hanno influito le rispettive conformazioni dell’esercito prussiano e della Grande Armée francese sull’esito della battaglia? E per quale ragione è importante considerare la dimensione di “scontro di volontà” anche nei conflitti attuali, combattuti sempre più spesso da eserciti professionali che dispongono di competenze e tecnologie di altissimo livello sebbene gli esiti politici e strategici non risultino altrettanto convincenti?

Rileggo spesso Carl von Clausewitz, di cui adoro la capacità – tipicamente germanica – di dare ai concetti la forma di espressività astratta, ma al tempo stesso assai concreta, che il tedesco consente ai madrelingua. Sul tema della sconfitta – in grado di impartire fondamentali lezioni a chi sa coglierle con la dovuta umiltà – lasciamo la parola direttamente al grande teorico della guerra che scrive alcuni passaggi fondamentali su cui tutti dovrebbero riflettere (in particolare noi italiani che nella nostra storia nazionale abbiamo una vicenda controversa e drammatica come quella che si è consumata l’8 settembre 1943): ci si può riprendere dalla più drammatica e cocente delle sconfitte, ma se un popolo (o meglio la sua classe dirigente) scende dal palcoscenico della storia, difficilmente tornerà a calcarlo. Come a dire che proprio riflettendo senza paraocchi, brutalmente, sulle ragioni del proprio (temporaneo) soccombere si possono gettare le basi di futuri trionfi.” 

Nel 1807, la battaglia di Eylau in cui la Grande Armata si scontrò con russi e prussiani anticipò quella tragedia che, pochi anni dopo, Napoleone avrebbe vissuto nella Campagna di Russia. Quali furono i fattori che determinarono la ritirata dell’esercito francese e la sua disastrosa sconfitta nel 1812?

 “Quella che potremmo definire la “profondità strategica” dell’Eurasia generata da immense distanze che neanche Hitler con il motore a scoppio è riuscita a domare; una missione praticamente impossibile per un esercito – come quello napoleonico – che si muoveva a piedi o al massimo a dorso di muli e cavalli.”


Potrebbe interessarti:


Foto: copertina libro