In questa calda estate in cui la nazionale di calcio ci regala qualche soddisfazione, tiene banco la polemica sull’inginocchiamento contro ogni forma di razzismo. Tra i favorevoli e i contrari, tra i razzisti e gli anti razzisti, Federico Rampini spariglia le carte e va oltre le etichette.


 

In questa calda e strana estate, tra voglia di ripartenza e timore della variante Delta, ci pensa la nazionale di calcio a darci qualche soddisfazione.
Gli “azzurri” trascinati da Mister Mancini, hanno superato agevolmente il girone eliminatorio con qualche patema, l’Austria agli ottavi di finale e con una grande prestazione i temutissimi “Diables Rouges” del Belgio.
Ma l’opinione pubblica nostrana più che alla prestazione sportiva, si attanagliava intorno al dilemma “ma s’inginocchieranno come simbolo contro il razzismo?”

Inghilterra, Belgio e Galles lo hanno fatto fin dalla prima partita, metà “azzurri” contro l’Austria e tutti contro il Belgio.
La Figc, qualche giorno prima del match contro il Belgio, aveva preso le parti dei calciatori della nazionale spiegando la posizione della Federazione in merito a questo delicato e attualissimo tema: “Come ha spiegato Chiellini, la squadra si inginocchierà per solidarietà con gli avversari, non per la campagna in sé, che non condividiamo. I giocatori austriaci non si sono inginocchiati e i nostri sono rimasti in piedi. Se quelli del Belgio lo faranno, anche i nostri saranno solidali con loro”. Quindi per solidarietà ma non per condivisione.

E giù polemiche tra le parti politiche.

Le etichette applicate al pensiero, dividono la questione in due campi: chi s’inginocchia è dalla parte dei progressisti, in difesa dei diritti civili e umani, dell’integrazione e contro ogni forma di razzismo, viceversa chi non lo fa appartiene alla “destra” reazionaria, illiberale, retrograda e razzista…

Mentre questa dicotomia rende sterile la discussione quasi fino alla banalità, ci pensa Federico Rampini penna storica della Repubblica, intellettuale, cosmopolita considerato da molti maître-à-penser della sinistra a scompigliare le carte.

In un’intervista al Giornale[1], Rampini si è definito “molto perplesso” in merito alla questione, affermando che “Quando le celebrity milionarie dello sport o del cinema o della pop-music abbracciano le cause progressiste, fanno più male che bene. I media adorano questi pronunciamenti, il popolo diffida di chi pretende di difenderlo ma vive nella stratosfera. E smettiamola di dire che sono gesti coraggiosi quando l’establishment li sostiene: di quando in qua è coraggioso il conformismo?”.

Sarebbe quindi ridotto ad un gesto di puro conformismo, nulla a che vedere con altri messaggi che il mondo dello sport ha lanciato per sensibilizzare il mondo sui diritti civili. In questo numero parleremo di Jesse Owens e la sua vittoria davanti agli occhi di Hitler alle Olimpiadi di Berlino nel 1936 o come il 17 ottobre 1968: ai Giochi olimpici di città del Messico, le Pantere Nere, dopo i 200m, alzano il pugno nel guanto nero in difesa dei diritti degli afroamericani e prima ancora il 6 luglio 1957con il bacio dell’americana Darlene Hard alla compagna Athea Gibson, prima tennista di colore a vincere Wimbledon.

Take a knee

Da dove nasce il gesto di inginocchiarsi?
Tutto era cominciato nel 2016, nel football americano, quando nelle strade era montata la protesta per il caso di un ragazzo afroamericano disarmato ucciso dalla Polizia, mentre si era denunciato da più parti il grilletto facile contro gli afroamericani.

Alcuni giocatori, per protesta contro il razzismo strisciante, avevano cominciato ad ascoltare inginocchiati l’inno americano eseguito in occasione delle partite. Di qui il nome della protesta “take a knee”, “inginocchiati”.

Il primo fu il quarterback dei San Francisco 49ers Colin Kaepernick per denunciare la violenza della polizia verso gli afroamericani ed esprimere solidarietà al movimento ‘Black Lives Matter’ (“Le vite nere valgono”).

Significato nobile, il razzismo nella polizia americana è una piaga reale.
La vicenda di George Floyd è un pugno nello stomaco e l’agente che ne ha provocato la morte Derek Chauvin, pagherà giustamente con 22 anni di carcere. E non è l’unico caso.

Rampini però mette in guardia da ciò che è diventato Black Lives Matter “Un movimento ultra-radicale che interpreta tutta la storia americana sotto l’unica lente del razzismo. Si è alleato con le forze del politically correct che comandano nelle università, nei media, nell’editoria”.

Che ha avuto come conseguenza “In molte città americane lo slogan dissennato ‘tagliare fondi alla polizia’ Il risultato è un’escalation di crimini violenti, un’impennata di omicidi.”

Rampini ne ha anche per i politici nostrani “I politici che inseguono la visibilità sui media fraintendono il ruolo delle celebrity. Cristiano Ronaldo avrà mille volte più seguaci su Twitter del sottoscritto, ma questo non ne fa un maestro di valori. Enrico Berlinguer non affidava ai calciatori la costruzione di un consenso tra le masse, e arrivò al 35%”, certo altri tempi quelli di Berlinguer. Oggi non comprendere la forza devastante dei social vuol dire non comprendere come funziona la comunicazione.

Tornando alla questione, ma allora chi esprime dei dubbi sul reale significato del gesto è un razzista? Assolutamente no. Non la lotta al razzismo il tema, su quello siamo (spero) tutti d’accordo, ma è su come raggiungere l’obiettivo e il vero punto.

Il gesto che va sicuramente oltre la questione specifica della polizia americana, riguarda più in generale la lotta alle diverse forme di razzismo.
Si potrebbe ripartire dalle basi come riconoscere i crimini commessi dagli Stati europei in Africa (e non solo) durante il periodo coloniale. Recentemente la Germania ha riconosciuto il genocidio perpetrato in Namibia[2] all’inizio del ‘900. Lo dovrebbe fare l’Italia, la Francia, la Gran Bretagna, il Portogallo, la Spagna, la nazionale belga potrebbe chiedere, magari inginocchiandosi davanti al parlamento, di riconoscere i crimini e il genocidio comandato da Re Leopoldo I nell’allora Congo Belga…il razzismo ha radici profondissime e non basterà inginocchiarsi per combatterlo concretamente.


Note

[1]https://www.ilgiornale.it/news/cronache/inginocchiarsibasta-dire-che-coraggio-vi-dico-chi-sostiene-1958838.html
[2] https://www.opiniojuris.it/la-germania-riconosce-il-genocidio-in-namibia/

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Domenico Nocerino
Domenico Nocerino, esperto di geopolitica e dottore in Relazioni Internazionali e Studi Diplomatici. Si è laureato con tesi in geopolitica economica presso l’Università degli studi di Napoli Federico II. Fondatore e direttore della rivista di informazione politica e giuridica Opinio Juris – law and politics review. Autore di diversi articoli accademici, ha all'attivo numerose partecipazioni a Convegni, Corsi di formazione e Seminari tecnici come relatore e ospite in diverse trasmissioni televisive e radiofoniche principalmente occupandosi di geopolitica ed in particolare di Medio Oriente. Coordinatore del comitato “Europa e Politiche internazionali” dell’associazione Omnia. Di recente è stato in Russia per seguire da vicino le elezioni alla Duma.