Lo scorso 5 novembre sono state implementate le sanzioni secondarie dagli Stati Uniti verso l’Iran in seguito alla fuori uscita dall’accordo sul nucleare JCPOA, siglato nel 2015 sotto l’amministrazione Obama e, ritirato dalla presidenza Trump nel maggio scorso. Gli Stati Uniti hanno così deciso di ritirarsi dal trattato siglato dai P5+1 cioè America, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna più la Germania che, in cambio del rispetto delle misure sancite dall’accordo, volto ad impedire la creazione di armi nucleari, prevedeva la rimozione delle sanzioni.
Le sanzioni secondarie
Le sanzioni primarie sono state implementate l’agosto passato, si tratta di sanzioni dirette da Washington su Teheran. Ora è la volta di quelle di secondo livello che coinvolgono coloro che decideranno di interagire con l’Iran economicamente nel settore dell’ energia, della finanza e dei commerci marittimi1.
Questo tipo di sanzioni colpiranno in gran parte il settore energetico, ponendo ostacoli non indifferenti ai paesi che vorranno importare petrolio iraniano, chiudendo in una morsa nuovamente la Repubblica Islamica e condannandola all’isolamento. Al di là dell’impatto sull’ Iran, queste misure potrebbero condizionare significativamente le economie ed i mercati internazionali, specialmente nel settore energetico, portando molto probabilmente, all’aumento dei prezzi del petrolio, aggravato da un momento storico di alta domanda e di diminuzione di offerta.
Nonostante i maggiori paesi produttori OPEC (e non solo) abbiano ribadito la loro intenzione di colmare le quote iraniane, il dubbio sulla capacità effettiva di questi di soddisfare la domanda e di sostenerla nel tempo persiste. Tra questi vi sono principalmente l’Arabia Saudita e la Russia. A fronte di ciò la strategia di Washington sembra quella di tentare una dilatazione dei tempi per alcuni dei paesi che potrebbero risentire gravemente delle sanzioni, concedendo così delle esenzioni denominate “waivers”.2 Questa manovra intende ovviare ad un troppo brusco innalzamento dei prezzi del petrolio in un momento cruciale soprattutto dopo i risultati delle elezioni di medio termine3. Ad ogni modo, rimane chiaro che l’obiettivo è quello di falciare l’economia iraniana privandola di una delle sue risorse più redditizie. Sono otto i paesi che avrebbero questo vantaggio, stando a quanto ha dichiarato Mike Pompeo, tra questi quelli selezionati sono Grecia, India, Italia, Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Turchia.
All’interno dei waivers tra i candidati più favorevoli vi era anche l’Iraq che mesi fa aveva richiesto l’esenzione da alcune delle sanzioni. I funzionari della banca centrale irachena infatti, avevano già esplicitato ad agosto come l’economia del paese sia strettamente legata all’ Iran. Dopo il responso negativo Baghdad ha manifestato estrema preoccupazione e delusione per la sua esclusione. Il paese potrà continuare a importare gas naturale ed energia dall’ Iran per un periodo di soli 45 giorni, per quello che è un magro sollievo temporaneo che Washington ritiene sufficiente per il paese per guardare all’indipendenza energetica.4 Nonostante le preoccupazioni sull’impatto delle rinnovate sanzioni, circa una settimana dopo la decisione americana, il 17 novembre, il presidente iracheno Barham Salih si è recato in Iran per un incontro con Hassan Rouhani, che ha avuto come esito l’espressa volontà dei due leader di creare una zona di libero scambio e cooperazione realizzando anche una rete ferroviaria.5 Iran e Iraq potrebbero quindi aumentare il loro commercio bilaterale annuale fino a 20 miliardi di dollari dagli attuali 12 miliardi. «Abbiamo discusso riguardo il commercio di energia elettrica, gas, prodotti petroliferi e attività nel campo dell’esplorazione e dell’estrazione petrolifera» ha detto Rouhani.6 Baghdad, quindi non demorde e cerca nuovamente di ottenere l’approvazione degli Stati Uniti per importare gas iraniano per le sue centrali elettriche affermando che 45 giorni non sono abbastanza per trovare una fonte alternativa.7
Per la Repubblica Islamica, l’embargo e le sanzioni, specialmente da parte statunitense, non sono affatto una novità. L’ultimo ciclo riguarda quello implementato dall’amministrazione Obama nel triennio 2012-2015, dove la presidenza decise di ridurre in maniera massiccia l’importazione di oro nero, permettendo comunque all’Iran di esportare. Ad ogni modo, la manovra portò a un abbassamento del 40% delle esportazioni, dovuto anche alla recessione economica europea. Alcuni sostengono che le sanzioni di Obama fossero intenzionate a portare l’Iran a raggiungere un accordo sul nucleare e ad impedire che avesse abbastanza risorse per perseguire un relativo programma militare. Nonostante questa non sia per forza la tattica usata dal predecessore, di certo si differenzia parecchio dalle intenzioni di Trump di ridurre a zero le importazioni impendendo all’Iran di esportare non solo negli USA ma anche tra i suoi alleati, peggiorando drasticamente l’economia del paese. Infatti l’innovazione delle sanzioni secondaries è il loro obiettivo: l’isolamento dell’Iran, anche da potenze con le quali aveva continuato i commerci durante il precedente embargo come Cina e India.
L’esplicita intenzione di Trump non è quella di piegare Teheran su un nuovo accordo sul nucleare, come lo era presumibilmente per Obama, ma piuttosto di rimettere nuovamente in ginocchio la repubblica, chiedendo stavolta un cambiamento di regime.
La risposta europea
Sin dal maggio scorso, quando gli USA si sono ritirati dall’accordo, l’UE è alla ricerca di soluzioni differenti per tentare di mantenere i rapporti con l’Iran ovviando alle sanzioni.
In agosto sono state approvate due misure: l’aggiornamento del Regolamento di blocco che preclude ai soggetti europei di adeguarsi alle sanzioni del secondo round e l’estensione del mandato della Banca Europea per gli Investimenti a cui è stato dato il potere di garantire sulle attività finanziarie con Teheran per supportare gli investimenti europei nel paese, considerato che si tratta spesso di piccole e medie imprese. Nonostante questi sforzi, tali misure potrebbero risultare poco utili di fronte all’irremovibilità statunitense che non sembra lasciare spazio di manovra alcuno a coloro che vogliono continuare a fare affari con l’Iran.
A settembre l’Alto rappresentante UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, ha dichiarato l’ideazione di un sistema legale denominato “Special Purpose Vehicle” (SPV) in grado di processare, o perlomeno di facilitare, i pagamenti sulle esportazioni iraniane (greggio incluso), così come le importazioni al fine di «assistere e rassicurare gli operatori di mercato che vogliono fare business con l’Iran in modo legittimo» onde evitare la messa a rischio degli investimenti degli europei a causa dei risvolti dovuti dalla politica americana.8 Tale SPV dovrebbe utilizzare il meccanismo della permuta come mezzo per creare un sistema avanzato di baratto, simile a quello usato dall’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda, per scambiare il petrolio iraniano con i beni europei senza cambiare il denaro e, quindi, processare importazioni ed esportazioni, evitando l’uso del sistema SWIFT, incluso nelle sanzioni.9 Ad esempio per evitare le sanzioni del Tesoro degli Stati Uniti, l’Iran potrebbe spedire il greggio a un’impresa francese, accumulando crediti utilizzabili successivamente per pagare le merci ad un produttore italiano, senza che i fondi che passino per mani iraniane.10
Ci sono ancora diversi dettagli tecnici da perfezionare in questo meccanismo che tornerebbe utile anche ad altri paesi come Russia, Cina e India. Ad ogni modo questo piano presenta dei grossi limiti e potrà al massimo funzionare per piccole e medie imprese che non hanno nessi commerciali significativi con gli Stati Uniti, e difficilmente potrà sfuggire all’intransigenza di Washington. La reazione americana infatti è stata parecchio irritata, di conseguenza lo scenario più positivo vede comunque l’abbandono delle grandi imprese che avrebbero potuto aiutare l’ormai massacrata economia iraniana. Il 2 novembre 2018 durante un briefing dedicato alle sanzioni iraniane, il Segretario del Tesoro degli Stati Uniti ha espresso le sue perplessità riguardo alla possibilità del SPV di essere efficace per transazioni rilevanti, aggiungendo che le conseguenze per chi tenterà di eludere le sanzioni saranno pesanti.
Gli analisti hanno sottolineato che il sistema SPV potrebbe però rappresentare un’alternativa al sistema dominante di pagamenti in dollari americani al di là dell’utilità per il caso iraniano. Jean-Claude Junker ha proprio ricordato la necessità di rinforzare il ruolo internazionale dell’euro, la seconda moneta più usata al mondo. Inoltre Cina e Russia hanno già preso in considerazione la possibile messa in discussione del domino del dollaro e espresso interesse per l’SPV ma concepito solo con la partecipazione europea.11
Nonostante non sia ancora chiaro quanto il meccanismo “SPV” potrà essere efficiente, il 23 Novembre a Mosca l’ambasciatore iraniano in Russia Mehdi Sanaei ha incontrato l’ambasciatore dell’UE in Russia Markus Ederer, per discutere circa la cooperazione concernente la questione JCPOA.12 L’Unione europea ha ripetutamente enfatizzato l’illegalità di cui gli USA si sono macchiati ritirandosi dall’accordo ribadendo che le misure per creare un meccanismo finanziario saranno fruttuose.13
L’Italia, alleato storico degli Stati Uniti, è tra gli otto stati selezionati per l’esenzione temporanea che, come affermato da segretario di stato Mike Pompeo, resterà all’interno di un periodo limitato di massimo sei mesi. L’Eni non è più coinvolta in affari con l’Iran, dove i contratti commerciali sono scaduti puntualmente a novembre rispettando completamente la manovra Trump sulle sanzioni. L’Italia è il primo paese in Europa a fare affari con l’Iran, ma l’instabile sorte che il paese attraversa non aiuta ad un mantenimento costante degli scambi. Un anno fa il volume di affari stimato era tra i 18 e i 30 miliardi, e già allora alcune aziende italiane si erano allontanate dal partenariato commerciale respirando la promessa del secondo round.
Potrebbe essere la Cina il salvatore dell’Accordo sul nucleare?
Data la difficoltà dell’UE in questa arena, potrebbe essere la Cina l’attore emergente salvatore del JCPOA?
La Cina è il principale partner commerciale dell’Iran. Il sistema centralizzato di Pechino e la mancanza di legami con gli USA la rendono potenzialmente meno suscettibile alla pressione di Washington.
Inoltre il rafforzamento dei legami economici tra Iran e Cina è cresciuto significativamente: nel 2005 il commercio bilaterale tra Iran e Cina era di circa 8,5 miliardi di dollari – oggi, quella cifra è di 31,6 miliardi di dollari, quasi il quadruplo.14 Solo tra il 2016 e il 2017 il commercio tra i due partner è cresciuto del 19% circa, il tutto nonostante l’incertezza sulle sanzioni statunitensi.15 Al contrario di molte aziende europee, che hanno vacillato di fronte alla minaccia delle sanzioni secondarie la Cina ha più volte sottolineato che manterrà i suoi legami economici con l’Iran, nonostante la pressione degli Stati Uniti.
Nonostante le dichiarazioni positive del 9 Maggio del portavoce degli Affari Esteri, Sheng Shuang16 e la possibilità quindi per la Cina di assumere un ruolo guida nel salvare l’accordo ci sono ancora molti dubbi e scetticismo a riguardo. Di fatto gli Stati Uniti sono il principale partner commerciale della Cina, gli scambi annuali stimati sono di quasi 650 miliardi di dollari. Se si dovesse trattare di una scelta, è improbabile che la Cina, o le compagnie cinesi, rischierebbero il partenariato americano per salvare l’accordo nucleare. A questo si aggiunge l’approccio cinese che è principalmente rivolto al Medio Oriente per interessi economici piuttosto che strategici o politici.
Ad ogni modo Beijing potrebbe aggirare le sanzioni USA quotando il petrolio in Yuan anziché in USD eliminando il predominio del dollaro USA il che consentirebbe al petrolio iraniano sanzionato di continuare a essere scambiato senza interruzione per la Cina e altri importanti importatori. A questo si aggiunge anche lo stratagemma delle cripto valute come potenziale mezzo per evitare le sanzioni quanto allontanarsi dal dollaro USA. Le sanzioni statunitensi sulle importazioni di petrolio dall’Iran devono infatti anche essere analizzate nel contesto della crescente guerra commerciale Beijing-Washington. Il 15 giugno, Beijing ha infatti annunciato delle tariffe di ritorsione in risposta quelle statunitensi compresa una tassa del 25% sul petrolio americano implementata a settembre.17 Con molta probabilità il paese si rivolgerà verso altri mercati, incluso l’Iran, per sostituire tale riduzione. È infatti inverosimile l’interruzione di Beijing dei traffici commerciali con Teheran per ottemperare alle richieste di Washington.
L’avanzata della Cina nella questione è interessante anche dal punto di vista geostrategico, infatti il ritiro degli Stati Uniti dal JCPOA e le conseguenti perturbazioni negli scambi europei con l’Iran hanno spinto l’UE verso la collaborazione con Cina e Russia sulle questioni iraniane. Questa svolta verso l’Est si traduce in una minore leva per le potenze occidentali in eventuali futuri negoziati con l’Iran sul suo programma nucleare e sulle politiche regionali.
Che ne sarà dell’Iran?
Senza alcun dubbio, l’obiettivo di indebolire drasticamente l’economia della Repubblica Islamica verrà raggiunto, ma ciò non significa che esso coinciderà con la riuscita di Trump nel piegare le Guardie della Rivoluzione (IRGC). La volontà di imporre un cambiamento di regime oramai è sempre più chiara, il rial ha già perso il 70% del suo valore il che ha provocato reazioni a catena quali, l’ abbassamento delle vendite di petrolio e il mancato accesso al dollaro statunitense.18 L’intenzione della manovra sanzionatoria è quella di fomentare proteste dal basso, in un paese dove l’economia è già debilitata da anni senza consistenti riprese, vedendo un aumento dell’inflazione e la conseguente svalutazione del Rial, ciononostante pare che comunque Washington non sia in grado di piegare Teheran.
Le sanzioni non andranno a colpire le Guardie delle Rivoluzione, prese di mira insieme alle entità economiche ad esse legate. Già l’anno scorso malgrado il dimezzamento del budget per la difesa e la sicurezza nazionale l’Iran è riuscito ad impiegare le sue risorse nella regione, sostenendo Assad in Siria, finanziando le milizie in Iraq e portando avanti i legami con gli Houthi in Yemen, senza contare il costante rapporto con Hezbollah. La capacità di intervento dell’Iran è dovuta più alla caotica situazione regionale che alle sue copiose risorse. Ad ogni modo l’IRGC è stato già abile in passato nel creare forme di economia illegale con cui foraggiare le sue operazioni. Le sanzioni quindi, difficilmente bloccheranno questi meccanismi che avvantaggiano proprio le Guardie della Rivoluzione.
Piuttosto chi ne pagherà le amare conseguenze sarà la popolazione, infatti è previsto un ulteriore aumento del costo dei beni e un consequenziale peggioramento degli standard di vita. Sono già stati segnalati inoltre alcuni impedimenti per il mantenimento dei canali umanitari.
Nonostante la minacciosa rispostata del presidente iraniano Hassan Rouhani al ritiro statunitense dal JCPOA – il quale aveva avvertito che la violazione dell’accordo gli avrebbe permesso ricostruire la sua capacità nucleare – oggi a Teheran c’è un nuovo senso di ottimismo. Il sostegno ricevuto dall’Europa e da altre potenze, unito alla resilienza a cui il paese è stato sottoposto nei decenni danno l’idea che il JCPOA sia più forte di quanto si credesse. Al contrario, gli Stati Uniti si sono invece trovati più isolati e hanno visto molti dei loro alleati e altre potenze opporsi alla sua politica sanzionatoria. Questa realtà ha rivelato che l’Iran è più audace e resistente di quanto non si creda a Washington.
D’altro canto l’aggravarsi della situazione economica, unita al parziale fallimento dell’accordo hanno creato sommovimenti politici. Quello che si prospetta per la Repubblica Islamica è una riduzione graduale piuttosto che un rapido collasso dell’economia, a seconda di come Teheran eserciterà le sue leve politiche e di quanto sarà in grado di assorbire lo shock delle sanzioni nel tempo. L’amministrazione Rouhani è comunque già stata indebolita attraverso gli attacchi di diverse frange ultra-radicali, e de facto, è poco auspicabile che riuscirà a procedere con le riforme promesse data la mancanza di fondi. L’opposizione, per contro, accusa l’amministrazione attuale del peggioramento economico fomentando la rinascita di una retorica astiosa volta a rinforzare l’IRGC.19
Note
1Per approfondimenti: Francesco Pucci: Trump via dall’accordo sul nucleare iraniano: le ragioni e lo stato dell’arte http://www.opiniojuris.it/trump-accordo-nucleare/
2 “U.S. allows eight importers to keep buying Iran oil for now”, Reuters, 2 Novembre 2018. https://www.reuters.com/article/us-usa-iran-sanctions/us-grants-eight-countries-iran-sanctions-waivers-bloomberg-idUSKCN1N70OZ
3Per approfondimenti: Francesco Gaudiosi Elezioni di Midterm: quale futuro per gli Stati Uniti?http://www.opiniojuris.it/elezioni-di-midterm-quale-futuro-per-gli-stati-uniti/
4 US grants Iraq 45-day waiver over Iran sanctions to import gas, electricity -US Embassy, Channel News Asia, 10 Novembre 2018. https://www.channelnewsasia.com/news/world/us-grants-iraq-45-day-waiver-over-iran-sanctions-to-import-gas–electricity–us-embassy-10916418
5 “Rouhani sees Iran, Iraq expanding trade despite U.S. sanctions”, Reuters, 17 Novembre 2018.
6 Ibidem.
7 “Rouhani sees Iran, Iraq expanding trade despite U.S. sanctions”, Reuters, 17 Novembre 2018.
8 “Special Purpose Vehicle for Iran-EU Trade Before November”, Financial Tribune, 28 Settembre 2018. https://financialtribune.com/articles/economy-domestic-economy/94099/special-purpose-vehicle-for-iran-eu-trade-before-november
9 “Iran, la Ue crea canale di pagamento per dribblare le sanzioni Usa”, Il Sole 24 ore, 25 Settembre 2018. https://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2018-09-25/iran-ue-crea-canale-pagamento-dribblare-sanzioni-usa-091114.shtml?uuid=AEyIoW7F
10Patrick Wintour, “EU, China and Russia in move to sidestep US sanctions on Iran, The Guardian”, 26 Settembre 2018. https://www.theguardian.com/world/2018/sep/26/eu-china-and-russia-in-move-to-sidestep-us-sanctions-on-iran
11“Special purpose vehicle for trade with Iran”, European Parliament, 13 Novembre 2018. http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/ATAG/2018/630273/EPRS_ATA(2018)630273_EN.pdf
12Lachin Rezaian “Iran, Russia envoys discuss JCPOA, SPV, US sanctions”, Mehr News Agency, 23 Novembre 2018.
https://en.mehrnews.com/news/139848/Iran-Russia-envoys-discuss-JCPOA-SPV-US-sanctions
13 Ibidem.
14Mahsa Rouhi, “Can China save the Iran nuclear deal?”, IISS, 9 Luglio 2018. https://www.iiss.org/blogs/analysis/2018/07/china-save-iran-nuclear-deal
15 Ibidem.
16 “Foreign Ministry Spokesperson Geng Shuang’s Regular Press Conference on May 9, 2018”, Ministry of Foreign Affairs of the People’s Republic of China, 9 Maggio 2018. https://www.fmprc.gov.cn/mfa_eng/xwfw_665399/s2510_665401/t1558096.shtml
17“China Can Substitute US Crude With Iranian Oil”, Financial Tribune, 19 Giugno 2018. https://financialtribune.com/articles/energy/88309/china-can-substitute-us-crude-with-iranian-oil
18Mahsa Rouhi, “Will Iran’s patience on nuclear deal pay off?”, IISS, 23 Novembre 2018 https://www.iiss.org/blogs/analysis/2018/11/iran-patience
19 Annalisa Perteghella, “Iran: tornano le sanzioni sul petrolio, quali conseguenze?”, ISPI, 2 Novembre 2018. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/iran-tornano-le-sanzioni-sul-petrolio-quali-conseguenze-21548
Copertina: http://www.president.ir/en/104282
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