Nell’ultimo contributo sul tema è stata analizzata l’escalation di eventi che ha portato agli ultimi recenti bombardamenti a Gaza. Con questo secondo scritto si cercherà di ripercorrere i fatti delle ultime settimane delineando una traiettoria più generica sul dossier e sulle sorti delle comunità coinvolte.
I bombardamenti a Gaza
L’ultimo contributo sul tema[1] si chiudeva con gli eventi della giornata del 13 di Maggio 2021 in cui erano in corso i bombardamenti su Gaza ormai da alcuni giorni. L’offensiva israeliana è proseguita per un totale di undici giorni fino a quando è stato sancito il cessate il fuoco nella giornata tra il 20 e il 21 di maggio[2]. I bombardamenti hanno incluso, tra gli obiettivi, la torre ospitante la maggior parte dei centri di informazione mediatica e stampa di Gaza. I giornalisti hanno avuto meno di un’ora di tempo per evacuare l’enorme edificio raso al suolo[3] in quello che è stato definito un tentativo di silenziare la divulgazione di informazioni dalla striscia[4]. Un ulteriore obiettivo delle bombe israeliane ha riguardato una delle librerie storiche della Striscia che possedeva tra le collezioni più ampie di libri in lingua inglese[5].
Questo bombardamento è stato un evento straziante soprattutto per il valore simbolico in un luogo come Gaza altamente depauperato e problematico. Colpiti e uccisi anche medici di eccellenza oltre che civili[6].
Il bollettino finale è drammatico, 254 sono le vittime di palestinesi gazawi uccise dai raid aerei israeliani di cui 66 bambini e circa 2000 feriti.[7] Vi sono inoltre circa 74 mila sfollati interni[8], in una zona sovrappopolata (circa 2 milioni di persone vivono all’interno dei 40 chilometri quadrati della Striscia) e dove anche le strutture più basilari sono compromesse[9]. Dal migliaio di razzi lanciati da Hamas ci sono stati 12 morti israeliani di cui un bambino e circa 357 feriti[10]. La risoluzione per il cessate il fuoco è arrivata con fatica — solo al quarto tentativo— a causa del veto esercitato all’interno del Consiglio di Sicurezza dagli Stati Uniti[11], alleato incondizionato di Israele.
Israele continua indisturbato e impunito a violare diritto internazionale e umanitario. La targhettizzazione di strutture come ospedali, scuole e altri servizi fondamentali viene sempre giustificata dalla presunta presenza di militanti di Hamas – da Israele considerata un’organizzazione terroristica – raramente poi verificate o rese note nonché incluse all’interno di un necessario principio di proporzionalità.
Nel frattempo, nel West Bank continuano le espulsioni forzate a Sheikh Jarrah e Silwan[12].
Lo status quo è insostenibile, ma questa non è una novità.
Se è vero che l’escalation di violenza può essere rintracciata nell’acuirsi delle tensioni durante il mese di Ramadan 2021, è vero anche che il contesto da tracciare è necessariamente più ampio e coinvolge lo scenario politico e sociale, nonché storico della città di Gerusalemme da cui gli scontri spesso originano, e dalle condizioni di vulnerabilità a cui i palestinesi e gli arabi israeliani sono sottoposti. A questo si aggiunge il mese sacro di Ramadan, momento di profonda rilevanza per le comunità arabe della zona e al contempo contingenza molto sensibile per gli equilibri delle due componenti etniche. Non a caso anche questa volta l’accedersi degli attriti è dunque originato da Gerusalemme durante il mese del digiuno islamico.
Il conflitto e le tensioni tra comunità non sono strutturalmente cambiati, perlomeno non nelle modalità con cui si combattono e nelle ragioni che muovono dinamiche ormai note.
Ed è proprio in questo stallo che risiede la problematicità – oltreché la tristezza – di un conflitto che negli ultimi decenni si rivela essere perlopiù a bassa intensità e che di tanto in tanto si riaccende, spesso partendo proprio dalla città Santa, secondo quello che ormai sembra un copione: le tensioni prendono piede spesso nei luoghi sacri di Gerusalemme o dai suoi quartieri più problematici.
Quando si raggiunge un picco interviene poi Hamas con il lancio dei razzi su Israele e Israele risponde infierendo su un territorio già molto precario. Arriva infine una calma latente fino al prossimo incendio. L’attesa della tregua è ogni volta agognata e vissuta con intensità. Ad un certo punto, e per forza di cose, sopraggiunge (anche perché andare oltre non serve più a nessuno degli attori in gioco) un attore esterno – in questo caso come altre volte, l’Egitto. Nell’ultimo frangente le peculiarità hanno riguardato la portata della violenza, più muscolare rispetto ad esempio agli episodi del 2014, e l’espansione degli scontri anche in città israeliane tra arabi ed ebrei, cosa che non si vedeva dalla Seconda Intifada – dunque dai primi anni 2000.
Queste dinamiche ormai cicliche hanno creato una graduale rassegnazione rispetto a una risoluzione, tautologicamente impossibile finché i nodi cruciali non troveranno risposte chiare né tantomeno l’inizio di un processo di pacificazione reale. Questo schema, che abbiamo visto riprodursi lo scorso mese, non presenta dunque novità ma resta come sempre tragico.
Siamo quindi rientrati ex novo nello stesso quadro senza via d’uscita, di nuovo nella fase di stabile tensione, dove per un po’ dei palestinesi ce ne si dimenticherà fino a quando poi per ragioni che riaccendono gli animi, la comunità in questione non ci ricorderà disperatamente della sua esistenza e del destino irrisolto chiuso in piccole gabbie che permettono il consumarsi di soprusi e violazioni di diritti umani note.
Quo vadis?
Che fare dunque? Da un lato lo status quo è, ormai da decenni, insostenibile. D’altro canto la questione dei due stati sul terreno è impraticabile, poiché mentre la comunità internazionale ignorava i palestinesi e le loro sorti, gli israeliani avanzavano violando gli accordi e restringendo sempre più gli spazi dei palestinesi ormai in balia di una leadership fallimentare, corrotta e impopolare nemica stessa delle persone che dovrebbe tentare di proteggere. Da un lato Fatah, nonostante resti l’autorità con la quale qualsiasi attore preferisca dialogare, è considerato servile al sistema israeliano, inerme, incapace di iniziativa e di mobilitazione per la difesa del suo popolo. L’ultimo episodio a riprova di ciò è il rinvio delle elezioni palestinesi che già non si tenevano da 15 anni[13]. Dall’altra parte Hamas che gioca sulla pelle dei gazawi a fare la guerra con una delle forze più forti del medioriente e più avanzate dal punto di visto tecnologico e militare. Hamas è ben consapevole che i suoi missili attivino una procedura che andrà a provocare morte e distruzione in una delle più grandi prigioni a cielo aperto in cui c’è bisogno di ben altro.
Benché le procedure militari che il governo israeliano attiva si verifichino spesso tra il limite scricchiolante e la piena violazione dello ius in bello da parte di Israele, Hamas è consapevole sia dell’impunità di cui gode Israele sia della certezza con cui la sua superiorità militare si manifesterà a discapito delle persone che Gaza la vivono senza poterlo scegliere. I palestinesi come popolo, ancora una volta, restano sospesi e gridano ad un ascolto più vero e risolutivo contro la mediocrità e la viltà della loro leadership e contro gli interessi ingordi di Israele di espropriare di ogni pezzettino di diritto le loro vite.
Tracciare un’oggettività del conflitto basata sulle parti – va ribadito – è inutile.
La polarizzazione non ha aiutato a comprendere una grossa enorme questione, ovvero i diritti e le sorti dei Palestinesi che costituiscono la questione più sospesa quanto umanamente cruciale per le sorti di quella Terra. Nonostante l’annessione della Valle del Giordano sia congelata, l’espansione è fuori controllo. Da anni sta crescendo ad un ritmo assai preoccupante il numero e il peso dei coloni ultraortodossi, usciti rafforzati anche in Parlamento dalle ultime elezioni. Si tratta ormai di 667 mila persone e 145 insediamenti[14] formalmente illegali quanto irremovibili.
Alla luce dei fatti, uno stato palestinese omogeneo non risulta una via percorribile, quantomeno non in un futuro prossimo. I territori Palestinesi infatti sono letteralmente frammentati in atolli tempestati da check-point e militarizzazioni che contribuiscono da decenni al logoramento del tessuto economico e sociale di quella che dovrebbe essere la Palestina non solo sul piano geografico ma anche su quello politico.
Gli accordi di Oslo risultano dunque un processo ormai superato, nonostante l’Unione Europea continui in modo obsoleto a parlare della soluzione dei due Stati – senza peraltro fornire alcun contributo decisivo ad una realizzazione nel merito. L’alternativa di uno Stato per due popoli è comunque peggiore anche e soprattutto dal punto di vista israeliano poiché due sarebbero gli scenari. Nel primo, Israele dovrebbe rimettere in discussione la propria identità e dovrebbe decidere di ristrutturare il proprio modello fondato e motivato fin dalle sue origini dall’esclusività etnica ebraica verso un modello laico equo senza distinzione di sesso, razza e religione – come diremmo noi.
Col numero di fedi tra cristiani e musulmani presenti, tutto questo prevederebbe un vantaggio numerico che si ripercuoterebbe nei meccanismi di potere e istituzionali, inaccettabile ad oggi per Israele. Nella seconda opzione, Israele continuerebbe a procedere come sta facendo, rinnegando definitivamente la natura democratica del proprio paese e procedendo con una definiva espulsione e pulizia etnica del popolo palestinese portando a compimento una soluzione finale della propria continua espansione, cancellando dalla faccia della terra la Palestina in modalità che non possono non prevedere ulteriori bagni di sangue, massacri e guerre civili.
Oltre che assumersi definitivamente agli occhi del mondo e della storia, con cui dovrà fare i conti, l’immagine e la memoria di uno stato prevaricatore nei confronti di un altro popolo. La retorica dei due stati dunque serve a salvare la democrazia israeliana: finché non esisterà uno stato palestinese anche Israele non esisterà in senso compiuto perché avrà dei confini labili e misti, e resterà incerto sul suo futuro.
Ad oggi, lo status quo è chiaramente insostenibile, l’edilizia vorace dei coloni e l’espansionismo su più fronti concertato con il silenzio e la viltà della comunità internazionale di fronte ai crimini di apartheid e pulizia etnica hanno portato a una domanda molto meno ambiziosa: come gestire i diritti dei palestinesi? Un processo di riscrittura così importante deve passare dalle soluzioni che le comunità troveranno e da una partecipazione attenta della comunità internazionale.
Note
[1] G. Macario. “Israele e Palestina: perché non si può ridurre ad un conflitto né ad uno scontro tra le parti”. Opinio Juris, Giugno 2021. Link: https://www.opiniojuris.it/israele-e-palestina-perche-non-si-puo-ridurre-ad-un-conflitto-ne-ad-uno-scontro-tra-le-parti/
[2]N. Al-mughrabi, J. Saul, R. Ayyub. “Israel and Hamas both claim victory as ceasefire holds” Reuters. 21 Maggio 2021 Link: https://www.reuters.com/world/middle-east/gaza-truce-between-israel-hamas-begins-mediated-by-egypt-2021-05-20/
[3] F. Akram. ‘No safe place’: Associated Press reporter describes Gaza office attack. The Guardian. 16 Maggio 2021. Link: https://www.theguardian.com/world/2021/may/16/no-safe-place-associated-press-reporter-describes-gaza-office-attack
[4] Al-Jazeera. “‘Silence the story’: Israeli bombing of media offices condemned” 15 Maggio 2021. Link: https://www.aljazeera.com/news/2021/5/15/silence-the-story-israeli-strike-on-media-offices-gaza-condemned
[5] N. Mohanna. “We will rebuild: Gaza’s largest bookshop destroyed by Israeli air strikes”. The National News. 19 Maggio 2021. Link: https://www.thenationalnews.com/mena/we-will-rebuild-gaza-s-largest-bookshop-destroyed-by-israeli-air-strikes-1.1226046
[6] B. Trew. “Israeli airstrikes wiped out the family of Gaza’s leading doctor. Only his teenage son survived”. The Independent. Link: https://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/gaza-doctor-family-airstrike-israel-b1851894.html
[7] France24 “UN human rights body orders probe of ‘systematic’ abuses in Israel, Palestinian territories”. 27 Maggio 2021. Link: https://www.france24.com/en/middle-east/20210527-un-human-rights-body-orders-probe-of-systematic-abuses-in-israel-palestinian-territories
[8] UN News. “Ceasefire can’t hide scale of destruction in Gaza, UN warns, as rights experts call for ICC probe” 21 Maggio 2021. Link: https://news.un.org/en/story/2021/05/1092482
[10] France24 “UN human rights body orders probe of ‘systematic’ abuses in Israel, Palestinian territories”. 27 Maggio 2021. Link: https://www.france24.com/en/middle-east/20210527-un-human-rights-body-orders-probe-of-systematic-abuses-in-israel-palestinian-territories
[11] J. Magid. “For 3rd time, US blocking joint Security Council statement urging ceasefire”. The Times of Israel. 17 Maggio 2021. Link: https://www.timesofisrael.com/for-3rd-time-us-blocking-joint-security-council-statement-urging-ceasefire/
[12] A. Boxermann. “Palestinians protest as Jerusalem court mulls possible Silwan evictions”. Times of Israel. 26 Maggio 2021. Link: https://www.timesofisrael.com/palestinians-protest-as-jerusalem-court-mulls-possible-silwan-evictions/
[13] N. Al-mughrabi, A. Sawafta, R. Ayyub. “Palestinian leader delays parliamentary and presidential elections, blaming Israel”. Reuters. 30 Maggio 2021. Link: https://www.reuters.com/world/middle-east/palestinian-elections-delayed-says-president-mahmoud-abbas-2021-04-29/
[14] Dall’intervento di Claudia de Martino durante il webinar del Ce.S.I “Gerusalemme e gli orizzonti di una nuova Intifada” 20 Maggio 2021.
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