Il Memorandum of Understanding (MoU) siglato lo scorso 23 Marzo fra Italia e Cina, si configura come un accordo giuridicamente non vincolante, volto a un rafforzamento delle relazioni economico-commerciali fra i due paesi ma leva dubbi e perplessità. UE e USA manifestano il proprio disaccordo.
A cura di Marta Mucci
MoU e BRI
Il Memorandum of Understanding (MoU) siglato lo scorso 23 Marzo fra Italia e Cina, si configura come un accordo giuridicamente non vincolante, volto a un rafforzamento delle relazioni economico-commerciali fra i due paesi. Il MoU infatti anticiperebbe la partecipazione dell’Italia alla Belt and Road Initiative (BRI), il progetto lanciato dal governo di Xi Jinping nel 2013, diretto alla costruzione di una grande via di comunicazione terrestre (Silk Road Economic Belt) e di una marittima (Maritime Silk Road) che collega la Cina all’Eurasia, snodandosi entro circa 65 paesi. Il Memorandum è dunque soltanto un piccolo tassello di un progetto ambizioso, mastodontico che attesta la crescita della potenza asiatica. La penetrazione cinese in Europa ha registrato un primo traguardo significativo già nel 2016, quando la COSCO (China Ocean Shipping Company) ha rilevato il 51% delle quote del porto del Pireo con un accordo per l’acquisto di un ulteriore 16% entro il 2021[1]. Il passo dalla Grecia all’Italia è stato breve, l’obiettivo adesso è assicurarsi, accanto al Mediterraneo, un accesso all’Adriatico che garantisce il flusso di merci e capitali cinesi fino ai land locked countries dell’Est Europa (Austria, Ungheria, Slovacchia ecc).
Gli interessi italiani
Per l’Italia invece, l’obiettivo è ben più pratico che strategico. La firma del MoU, stando alle dichiarazioni del Premier Conte e del suo Vice Luigi Di Maio, è stata dettata da un movente prettamente economico. Lo scopo sarebbe il riequilibrio della bilancia commerciale con la Cina: il valore delle merci importate infatti, è di 30.780 miliardi di euro, mentre per quelle esportate si riduce a circa un terzo. Inoltre, a differenza degli altri Paesi europei, che sono tornati ai livelli di investimenti in infrastrutture del 2007-2008, anni immediatamente precedenti alla crisi economica, l’Italia resta ancora sotto di circa il 40% ed è quindi alla ricerca di nuovi fondi[2]. E’ con queste premesse che l’Italia si è mossa verso un’intensificazione dei rapporti con la Cina: il MoU consentirebbe un ampliamento del mercato del Made in Italy, un potenziamento dei privilegi economici delle small and medium enterprises (SME) italiane e un aumento delle esportazioni verso i Paesi in via di sviluppo (PVS) inclusi nella stessa Belt and Road Initiative (Bri).
I 29 punti
Nello specifico il Memorandum si compone di 29 intese, 10 commerciali e 19 istituzionali per un totale di 7 miliardi di euro. Le prime costellano tutto il settore industriale italiano: trasporti, energia, credito, impianti siderurgici e cantieri navali. Per quanto riguarda le aziende interessate, figurano: Snam, principale produttore di condutture e Ansaldo, maggior produttore al mondo di centrali elettriche per ciò che concerne il settore energetico; Intesa San Paolo e CDP in materia di credito; Danieli & C. Officine Meccaniche relativamente al settore siderurgico, in particolare in relazione ad esso è prevista la realizzazione di un impianto integrato in Azerbaijan (PVS coinvolto nella Bri). Degno di menzione è inoltre l’accordo sottoscritto fra la China Communications Construction Company e le Autorità portuali di Genova e Trieste, che si riveleranno importanti snodi logistici per le rotte commerciali. Le intese istituzionali spaziano invece dal settore energetico al turismo, beni culturali, agroalimentare, cooperazione scientifica, start-up, radio, media e tv[3]. Mentre è stata lasciata fuori la questione sulle reti 5G gestiste dalla compagnia Huawei, che destava maggiori preoccupazioni per la sicurezza nazionale.
Gioco a somma positiva o gioco a somma zero?
L’Italia spera in questo modo di avere un accesso privilegiato a nuove opportunità economiche, ma non sembra tenere conto dei rischi derivanti da una simile cooperazione che potrebbe dare luogo a vantaggi asimmetrici. I più allarmisti richiamano al rischio della trappola del debito[4], sorte toccata a Sri Lanka, Montenegro, Laos ormai consolidati recipient degli investimenti cinesi. Restano, inoltre, ancora dubbi in merito al rispetto della controparte delle regole di competitività e concorrenza. Non è infine da sottovalutare l’impatto della politica estera e commerciale cinese sugli interessi nazionali, nonché gli intenti strategici che si celerebbero dietro: contratti e investimenti potrebbero essere solo il primo passo verso una dipendenza sempre più forte.
Le posizioni europee
I maggior timori si sono levati da parte dell’Unione Europea, che nel mese di marzo ha presentato un outlook strategico sull’atteggiamento comune da adottare dei confronti della Cina, bollata come “rivale sistemico” e “competitor economico”, nella convinzione che sia opportuno procedere sulla base di comunione di intenti. Tuttavia alcuni Paesi come Grecia ed Ungheria, hanno assunto, in merito alle condanne per violazione dei diritti umani pronunciate contro la Cina, posizioni favorevoli al loro partner commerciale, svincolandosi e ostacolando le decisioni dell’UE. La stessa Italia insieme al Regno Unito si era astenuta sul voto dello screening mechanism rispetto agli investimenti stranieri in Europa, fortemente voluto dall’asse franco-tedesca per difendersi dai predators cinesi. In questo contesto, il MoU è stato percepito come un ulteriore smarcamento dell’Italia, per quanto concluso nel quadro dei principi europei sulla cooperazione economica e sulla connettività euro-asiatica. Il punto su cui fa leva l’UE è il rischio latente di cadere sotto la sfera di influenza del colosso cinese, un rischio che soggiace al mancato perseguimento di una strategia coordinata a livello europeo. Inoltre un’Europa scissa e indebolita non converrà nemmeno alla stessa Cina che ricercherà piuttosto una forza coesa per fare da contro altare agli USA.
USA-Europa-Cina
Quanto agli States il MoU non è stato ben gradito tanto da essere giudicato come un “progetto vanitoso”. Non c’è da sorprendersi di tale reazione, dati i rapporti conflittuali che intercorrono fra le due potenze impegnate ad accaparrarsi la leadership mondiale in settori chiave come l’high-tech. In questo contesto tuttavia, l’Unione Europea potrebbe giocare un ruolo fondamentale per ridare slancio alle relazioni transatlantiche, facendo da mediatrice con la Cina.
Note
[1] Il Sole 24 Ore, “Via della Seta: così al Pireo emerge la «testa del Dragone»” – Il Sole 24 Ore
[2] Il Sole 24 Ore, “Perché l’Italia vuole l’accordo con la Cina spiegato in 4 grafici” – Il Sole 24 Ore
[3] Il Sole 24 Ore, “Italia-Cina, i contenuti del Memorandum e i 29 accordi per (almeno) sette miliardi di euro” – Il Sole 24 Ore
[4] Trappola del debito: si verifica quando un paese dotato finanziariamente fa credito a un paese meno ricco che, incapace di ripagare il debito, finisce nell’orbita del paese creditore rischiando di subire ritorsioni e imposizioni da parte di quest’ultimo. (Il format.info, “Belt and Road Initiative, l’Italia rischia di cadere nella trappola del debito cinese?” – Il format.info)
Foto Copertina: Firma del MOU.