Dopo la bocciatura del referendum costituzionale ed il “no” degli italiani alla riforma elettorale proposta dal governo Renzi, il Parlamento italiano, dopo un lungo iter, ha approvato definitivamente la nuova legge elettorale, il Rosatellum bis.
Ai fini di una migliore comprensione del sistema elettorale da ultimo introdotto, occorre analizzare attentamente i sistemi elettorali che l’hanno preceduto.
Decreto legislativo luogotenenziale n. 74 del 10 marzo 1946
Tale decreto avrebbe dovuto disciplinare solo le prime elezioni dell’Assemblea Costituente, tuttavia, quello da esso introdotto, venne recepito come il sistema elettorale per la Camera dei Deputati con la legge n. 6 del 20 gennaio 1948[1]. Per l’elezione del Senato vennero adottati diversi criteri direttivi di scelta con la legge n. 29 del 6 febbraio 1948.
Il d.l.l. in questione prevedeva la divisione del territorio italiano in 32 circoscrizioni plurinominali (si elegge più di un membro del collegio), alle quali veniva assegnato un numero di seggi variabili a seconda della popolazione, ed ogni circoscrizione prevedeva una o più province. L’assegnazione dei seggi alle liste circoscrizionali avveniva con un sistema proporzionale, suddividendoli fra le varie liste in proporzione ai voti ottenuti, con il meccanismo dei quozienti imperiali[2].
I seggi e i voti residuati in questa fase venivano poi raggruppati nel collegio unico nazionale, all’interno del quale gli scranni venivano assegnati sempre con il metodo dei divisori, ma utilizzando il metodo del quoziente Hare[3] naturale ed esaurendo il calcolo con il metodo dei più alti resti[4].
Per l’elezione del Senato era prevista invece la divisione delle Regioni in collegi uninominali (si elegge un solo membro del collegio) quanti erano i seggi ad essa assegnati; in ogni collegio veniva eletto il candidato che avesse ottenuto il 65% delle preferenze. Nel caso in cui nessun candidato avesse conseguito l’elezione, i voti di tutti i candidati venivano raggruppati in liste di partito a livello regionale, dove i seggi venivano riempiti con il metodo D’Hondt[5] delle maggiori medie statistiche, e quindi in ogni lista venivano dichiarati eletti i candidati con le migliori percentuali di preferenza.
Questo sistema è rimasto in vigore in Italia fino al 18 aprile 1993, giorno del referendum che lo abolì.
La legge 4 agosto 1993, n. 276 recante “Norme per l’elezione del Senato della Repubblica[6]” e la legge 4 agosto 1993, n. 277 recante “Nuove norme per l’elezione della Camera dei deputati[7]”.
Meglio nota come Mattarellum, dal nome del proponente (Sergio Mattarella, attuale presidente della Repubblica), nota anche come “Minotauro”, il mostro a tre teste della mitologia greca. A tre teste, come le tre diverse modalità di ripartizione dei seggi. Questa legge ha regolato le elezioni politiche italiane del 1994, 1996 e del 2001.
Il sistema elettorale così prefigurato dalla norma era un maggioritario misto, “corretto” da una cospicua quota proporzionale, pari ad un quarto dei seggi di ogni camera.
Questo sistema, in vigore fino al 2005, prevedeva la divisione del territorio italiano in 475 collegi uninominali per la Camera dei Deputati e 232 per il Senato; questo primo gruppo di seggi veniva attribuito in base ad un sistema maggioritario a turno unico plurality[8]. Naturalmente, nessuno dei candidati poteva presentarsi in più di un collegio, e i restanti seggi venivano assegnati con metodo proporzionale, con meccanismi differenziati per le due assemblee. L’elettore della Camera dei Deputati aveva una scheda elettorale separata per l’attribuzione dei 155 restanti seggi, cui accedevano i soli partiti che avessero superato la soglia di sbarramento nazionale del 4%.
Il calcolo dei seggi spettanti a ciascuna lista veniva effettuato nel collegio unico nazionale con il metodo Hare dei quozienti naturali e dei più alti resti; questi seggi venivano poi ripartiti, in base alle percentuali delle singole liste a livello locale, fra le 26 circoscrizioni plurinominali in cui era diviso il territorio nazionale. In queste circoscrizioni i candidati venivano proposti nel cosiddetto sistema di liste bloccate senza alcuna possibilità di preferenza; ciò vuol dire che i candidati sono decisi dai partiti.
Una delle novità di questa riforma era sicuramente l’introduzione del cosiddetto scorporo[9], che mirava a dare compensazione ai partiti minori che erano stati danneggiati dal collegio uninominale; praticamente, dopo la determinazione della soglia di sbarramento, ma prima del riparto dei seggi, alle singole liste venivano decurtati tanti voti quanti ne erano serviti per la vittoria dei candidati nell’uninominale, e quindi lo scarto tra il primo e il secondo candidato, i quali erano tenuti a collegarsi ad una lista circoscrizionale.
Al Senato, stando al dettato costituzionale, gli 83 seggi proporzionali venivano assegnati su base regionale, sommando per ogni regione i voti di tutti i candidati uninominali perdenti collegati in un unico gruppo regionale, e i seggi assegnati secondo il metodo d’Hondt delle migliori medie; pertanto, ai candidati perdenti con le migliori percentuali elettorali venivano assegnati gli scranni così ottenuti. Era come se lo scorporo, al Senato, fosse totale. Si venne dunque a creare un sistema elettorale basato su coalizioni, facendo quindi dipendere l’assegnazione di un seggio da poche manciate di voti.
La legge 21 dicembre 2005 n.270 recante “Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica“.
Meglio nota come “Legge Calderoli” o “Porcellum”,[10]ha regolato le elezioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica in Italia nel 2006, nel 2008 e nel 2013, prima che la Corte Costituzionale, con sentenza n.1/2014, ne dichiarasse l’illegittimità parziale.
Tra i punti salienti della riforma va sicuramente menzionata l’introduzione delle cd. liste bloccate, con il quale l’elettore si limitava a votare per delle liste di candidati senza poter indicare preferenze.
La riforma abolì anche i collegi uninominali, e per quanto riguarda i premi di maggioranza, la riforma prevedeva ambiti territoriali diversi: l’intero territorio nazionale (Valle d’Aosta esclusa) per la Camera dei Deputati, e la singola circoscrizione, che coincide col territorio di una Regione, per il Senato della Repubblica[11].
Per quanto riguarda le soglie di sbarramento della legge, ogni partito o lista concorrente per la Camera dei Deputati deve ottenere almeno il 4% dei voti nazionali, mentre le coalizioni almeno il 10%, mentre al Senato ogni partito o lista deve ottenere l’8% e le coalizioni il 20%.
La legge Calderoli è stata dichiarata incostituzionale dalla Consulta, nella parte in cui la legge 270/2005 prevede “l’assegnazione di un premio di maggioranza (sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica) alla lista o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione. La Corte ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono la presentazione di liste elettorali ‘bloccate’, nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza”[12].
Pertanto, la sentenza in questione ha lasciato un proporzionale privo del premio di maggioranza e integrata in modo da consentire un voto di preferenza; il risultato è il Consultellum, così denominato dalla stampa.
La legge 6 maggio 2015 n. 52 recante “Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati“
Prima dell’attuale riforma elettorale, era in vigore l’Italicum (la legge 6 maggio 2015 n. 52) alla Camera dei Deputati e il Porcellum al Senato.
L’Italicum (legge 52 del 2015 – frutto del Patto del Nazareno) prevedeva un sistema proporzionale a correzione maggioritaria. La soglia di sbarramento nazionale per tutti i partiti (liste) è pari al 3%, le circoscrizioni uninominali sono 20 (20 regioni) e 100 sono i collegi plurinominali (al di sotto delle circoscrizioni) che hanno una pluralità di liste con capilista (bloccati) e vari candidati scelti dal partito politico.
Ci sono le quote rosa (è possibile esprimere 2 preferenze, la seconda deve ricadere su un candidato di sesso diverso rispetto alla prima). Il partito (non più la coalizione) che supera il 40 % dei voti riceve il premio di maggioranza del 54 % dei seggi (ovvero 340 deputati). Se nessun partito raggiunge il 40 % dei voti, si va al ballottaggio senza possibilità di apparentamento tra liste.
Al Senato il Porcellum, che prevede un sistema proporzionale con premio di maggioranza e liste bloccate. Con la sentenza 1/14, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale il premio di maggioranza e l’impossibilità di fornire preferenze. Allo stato attuale, quindi, al Senato ci sarebbe un Porcellum corretto, detto Consultellum (senza premio e con preferenze). La soglia di sbarramento è dell’8% per i singoli partiti e del 20% per le coalizioni (per la Camera erano rispettivamente 4% e 10%). Viene eletto su base regionale. Non c’è ballottaggio.
La legge 3 novembre 2017 n. 165 recante “Modifiche al sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali uninominali e plurinominali“
Il sistema elettorale con il quale gli italiani saranno chiamati a votare alle prossime elezioni, è quello introdotto, mediante modiche al precedente sistema, dalla legge n. 165/2017, nota anche come Rosatellum bis, dal nome del suo ideatore, Ettore Rosato, capogruppo del PD alla Camera dei Deputati.
Al precedente sistema, l’Italicum, aveva già apportato modifiche il primo Rosatellum, che prevedeva una proporzione differente fra la quota maggioritaria e proporzionale e la soglia di sbarramento: in particolare, suddivisione dei seggi per il 50% assegnati con i collegi uninominali e il restante 50% con il metodo proporzionale con sbarramento al 5%.
Tuttavia, questo primo Rosatellum non ha ricevuto un adeguato sostegno parlamentare per l’approvazione.
L’ultima modifica, approvata il 26 ottobre 2017, è sicuramente quella che vede in sostanza la rideterminazione dei collegi uninominali e plurinominali, e la risultante di questo lavoro di modifica è sicuramente la creazione di un sistema caratterizzato da coalizioni.
Le modifiche sono sostanzialmente identiche per la Camera e per il Senato. Questo sistema si presenta come misto, ovvero proporzionale con correzione maggioritaria.
In particolare, 232 seggi alla Camera e 116 al Senato, quindi il 37% di quelli complessivi, sono assegnati con un sistema maggioritario a turno unico, con altrettanti collegi uninominali. È il cosiddetto sistema di stampo anglosassone first past the post, letteralmente“il primo che ottiene il maggior numero di voti vince”.
Il 61% dei seggi, quindi 386 alla Camera e 193 al Senato, ripartiti su base proporzionale tra le coalizioni e le singole liste che superano le soglie di sbarramento, con listini bloccati sempre all’interno di piccoli collegi uninominali; va ricordato che il riparto dei seggi è a livello nazionale per la Camera dei Deputati e a livello regionale per il Senato.
Il restante 2% dei seggi, 12 deputati e 6 senatori, è per il voto degli italiani residenti all’estero.
Un’importante caratteristica di questo nuovo sistema elettorale è sicuramente la presenza di una pluralità di soglie di sbarramento, finalizzate a ridurre l’inevitabile frammentazione dovuta al sistema proporzionale. In particolare, il 3% dei voti ottenuti a livello nazionale, per le liste singole; il 10% dei voti ottenuti a livello nazionale per le coalizioni, che comprendano almeno una lista che abbia superato una delle tre soglie previste.
Per quanto riguarda i voti ottenuti a livello regionale, 20% dei voti, valida alternativamente al Senato e per le liste singole, e il 20% dei voti a livello regionale, o elezione di due candidati nei collegi uninominali, valida, alternativamente, per le liste rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, presentate esclusivamente nelle regioni a statuto speciale nelle quali è prevista una tutela apposita. Tuttavia, nel caso in cui le liste collegate in una coalizione che non abbia raggiunto il 10% della soglia prevista, sono comunque ammesse al riparto dei seggi, qualora abbiano superato almeno una delle tre soglie previste.
I collegi sono in fase di determinazione, che avverrà entro 30 giorni dalla pubblicazione di questa legge. In particolare, la divisione del territorio in circoscrizioni, 20 per il Senato della Repubblica e 28 per la Camera dei Deputati, e tale divisione avverrà sulla base di criteri fissi.
Ogni circoscrizione è suddivisa in collegi plurinominali e uninominali: per il Senato della Repubblica, ripartiti nelle venti circoscrizioni (coincidenti con le Regioni), in misura proporzionale alla popolazione di ciascuna, sulla base dell’ultimo censimento generale, sono previsi 116 collegi uninominali, di cui 1 per la Valle D’Aosta e 6 per il Trentino-Alto Adige: il resto sono collegi plurinominali, costituiti aggiungendo i collegi uninominali contigui, in modo da raggiungere un numero di seggi non inferiore nel minimo a due e non superiore ad otto candidati eletti con il proporzionale.
Per quanto riguarda la Camera dei Deputati, sono previsti 232 collegi uninominali, in egual misura come per il Senato, 1 per la Valle D’Aosta e 6 per il Trentino-Alto Adige, ripartiti nelle 28 circoscrizioni di cui la Camera è composta, in misura proporzionale alla popolazione di ciascuna di essa, sulla base dell’ultimo censimento generale; il resto sono collegi plurinominali, mentre per il Molise sono previsti tre collegi plurinominali, di cui 2 alla Camera e 1 per il Senato.
Come alla Camera così al Senato, i partiti politici possono presentarsi alle elezioni o in lista singola o in coalizione, quest’ultima peraltro unica a livello nazionale.
I partiti che concorrono in coalizione presentano candidati unitari nei collegi uninominali, e per i collegi plurinominali ogni lista prevede un numero di candidati in misura compresa fra la metà, arrotondato all’unità superiore, dei seggi assegnati al collegio plurinominale e il limite massimo di seggi assegnati al collegio plurinominale[13].
Sostanzialmente viene lasciato il sistema delle liste bloccate, stavolta però “corte”, in quanto, stando al disposto della sentenza della Corte Costituzionale sul Porcellumdell’On. Calderoli, deve essere previsto un numero di candidati per ciascuna lista compreso fra due e quattro. Non è quindi possibile determinare la scelta dei candidati da parte dell’elettore in quanto questi sono già prestabiliti dalle liste presentate alle elezioni, ecco perché liste “corte bloccate”.
A pena di inammissibilità, ogni lista deve presentare candidature in almeno due terzi dei collegi plurinominali della circoscrizione, specificando tutti i candidati nei collegi uninominali compresi nel collegio plurinominale. Inoltre, ogni lista deve presentare candidature in tutti i collegi uninominali del collegio plurinominale, e deve essere sottoscritta, sia alla Camera sia al Senato, da un numero di elettori compreso tra 1500 e 2000 iscritti nelle liste elettorali di Comuni compresi nello stesso collegio plurinominale, o nel caso in cui sia compreso in un unico Comune, elettori iscritti nelle sezioni elettorali del collegio plurinominale.
Ogni partito o gruppo politico organizzato che intenda concorrere alle elezioni sia alla Camera sia al Senato, deve depositare nei termini previsti, il proprio statuto e simbolo, con la propria denominazione presso il Ministero dell’Interno, e contestualmente, depositare anche il proprio programma elettorale, con l’indicazione del capo della forza politica, rectius, il legale rappresentante del partito o gruppo politico organizzato[14]. Il tutto dunque, finalizzato ad una ridefinizione del sistema elettorale caratterizzato dalla più completa trasparenza.
Altra importante novità di questa norma è sicuramente la possibilità di candidarsi in più collegi plurinominali, cinque per la precisione, e congiuntamente alla candidatura nel collegio uninominale.
Il candidato che viene eletto nel collegio uninominale e in uno o più collegi plurinominali, viene eletto nel collegio uninominale, mentre quello eletto in più collegi plurinominali, viene eletto nel collegio nel quale la lista cui appartiene ha ottenuto la minore percentuale di voti validi, rispetto a quelli del collegio.
Nei collegi plurinominali, per favorire la rappresentanza di genere, nella successione interna delle liste dei candidati dei collegi plurinominali, i candidati devono essere collocati secondo un preciso ordine di genere alternato, e nel complesso dei collegi uninominali e nelle posizioni di capolista nei collegi plurinominali i candidati di ciascun genere devono essere pari ad un numero non inferiore al 40% e non superiore al 60% del totale, a livello nazionale per la Camera dei Deputati e a livello regionale per il Senato[15].
Sono previste tre differenti modalità per esprimere il voto: in primis, con un segno sul simbolo di una lista,estendendo così il voto al candidato nel collegio uninominale sostenuto dalla lista scelta; oppure, scegliendo il simbolo di una lista e il nome del candidato del candidato del collegio uninominale supportato da questa. La terza alternativa è barrare il segno sul nome del candidato del collegio uninominale, non indicando alcuna lista: così il voto è valido per il candidato nel collegio, esteso in automatico alla sua lista; nel caso in cui il candidato risulti collegato a più liste il voto è proporzionalmente diviso tra queste, sulla base dei voti che ognuna ha ottenuto nel singolo collegio[16].
Non è dunque previsto il voto disgiunto.
L’assegnazione dei seggi è differente per i collegi uninominali e plurinominali: nel primo caso, il seggio è assegnato al candidato che ottiene il maggior numero di voti validi, e a parità, viene eletto quello più giovane[17]. Nel secondo caso invece, il quoziente elettorale viene determinato suddividendo il totale delle cifre elettorali per il numero dei seggi da assegnare: il risultato così ottenuto è pari al numero dei seggi da assegnare alla coalizione o alla singola lista che non è collegata.
I rimanenti seggi vengono attribuiti alle coalizioni o singole liste con i maggiori resti, con l’ordine decrescente degli stessi. Nel caso in cui risultino seggi da assegnare per un numero maggiore ai nominativi compresi nella lista, vengono presi tra i candidati che sono stati presentati nelle altre circoscrizioni plurinominali. Si procede al sorteggio, in caso di parità di cifra elettorale[18].
Ci sono inoltre importanti disposizioni circa l’assegnazione del voto all’estero: in particolare, non è più richiesto il requisito della residenza nella ripartizione della circoscrizione Estero per chi intende candidarsi, e gli elettori residenti in Italia possono candidarsi in una sola ripartizione della circoscrizione estero, e gli elettori residenti all’estero possono, a loro volta, essere candidati solo nella ripartizione di residenza della circoscrizione Estero.
Solo per la circoscrizione estero[19] permane il voto di preferenza; inoltre, non possono essere candidati nella circoscrizione estero gli elettori che nei 5 anni precedenti la data delle elezioni ricoprano o abbiano ricoperto cariche di governo o cariche politiche elettive a qualsiasi livello o incarichi in magistratura o cariche nelle Forze Armate in un paese della circoscrizione estero[20].
[1] La proposta di Alcide De Gasperi di introdurre per la prima volta il premio di maggioranza alla coalizione che avesse eventualmente raggiunto la maggioranza assoluta dei consensi venne bocciata definitivamente, definita dai suoi oppositori Legge Truffa, e questo perché le forze politiche non riuscirono a raggiungere il quorum previsto; per la norma, cfr. www.normattiva.it.
[2] Dividendo il totale dei voti validi per il numero dei seggi da assegnare nella circoscrizione più due
[3] Dividendo il totale dei voti validi per il numero dei seggi da assegnare nella circoscrizione
[4] Se ne fa menzione in due articoli della Costituzione, il 56 e il 57.
[5] Si dividono i totali di voti delle liste per 1,2,3… fino al numero di seggi da assegnare nel collegio.
[7]ibidem
[8] Viene eletto il candidato con la maggioranza relativa
[9] Si sottraeva dal conteggio dei voti totali di una lista nella parte proporzionale i voti dei candidati collegati alla stessa lista che erano eletti nei collegi uninominali con il sistema maggioritario; fu l’inizio dell’utilizzo delle liste civetta, fittizie liste cui venivano collegati i candidati nei collegi uninominali. A queste liste non corrispondeva alcuna entità politica reale e non ottenevano neanche il 4% dei voti, la soglia di sbarramento prevista per la quota proporzionale (al di sotto della quale non si ottengono seggi). In pratica, il candidato di una lista evita di collegarsi con un’altra lista (rappresentativa di partiti “reali”), e si collega alla suddetta lista civetta, a cui viene sottratto la differenza di voti tra il primo candidato e il secondo; in questo modo restava intatta la rappresentanza proporzionale dei partiti.
[10] Così definita dall’illustre politologo Giovanni Sartori, dopo che lo stesso relatore della legge, Calderoli, pochi mesi dopo l’entrata in vigore, l’aveva definita una “porcata”
[11] www.normattiva.it
[12] Corte Costituzionale, sentenza n.1/2014
[13]Luca Borsi, Riforma elettorale. Note sull’A.S. n. 2941, Servizio Studi del Senato, 2017.
[14] Ivi, p. 15
[15] Ibidem, p. 16, 17
[16] Ibidem, p. 17-18
[17] Ibidem, p.19
[18] Ibidem, p.20
[19] Ivi, p.23
[20] Ibidem,
Immagine in evidenza: Giorgio de Chirico, Piazza d’Italia, 1955, https://chechar.wordpress.com/2012/09/03/piazza-ditalia/