La legislazione d’emergenza in Italia, dagli “anni di piombo” al Covid-19.


La sospensione dei termini processuali ai tempi del Coronavirus. Il propagarsi della epidemia da Virus Sars Covid-19 ha determinato nel nostro Paese degli scenari inediti, anche dal punto di vista giuridico, paragonabili per certi versi soltanto all’epoca dei cosiddetti “anni di piombo”.


 

L’ansia del governo nell’affrontare e nel rincorrere gli effetti impronosticati della pandemia, ha dato luogo ad una estrema schizofrenia dell’azione amministrativa, con la conseguente emanazione di una sequela di provvedimenti, anche concernenti la giurisdizione penale ed i termini processuali, che si palesano contraddittori, disomogenei e dai pericolosi risvolti futuribili in tema di rispetto dei principi costituzionali. Basti pensare ai provvedimenti limitativi delle libertà individuali quali libertà di movimento, libertà di religione e di culto, libertà di iniziativa economica; provvedimenti di tal guisa paragonabili, per certi versi, a quelli adottati durante l’emergenza terrorismo degli anni settanta quali, ad esempio, il fermo di polizia, le perquisizioni in blocco, le intercettazioni telefoniche.

Oggi, come allora, lo strumento legislativo cui si fa ricorso è quello del Decreto Legge che se da un lato appare prima facie il più idoneo ad affrontare la situazione d’urgenza, dall’altro relega l’aula parlamentare ad un ruolo supplente e comprimario rispetto al potere esecutivo.

Com’è noto, il primo provvedimento adottato dal Governo concernente, tra l’altro, lo svolgimento delle attività giudiziarie, è il decreto legge n. 9 datato 2 marzo 2020[1].

Il testo di tale decreto, nel disciplinare le misure urgenti da intraprendere a tutela delle sole zone dei primi focolai del virus, prevede all’art. 10 comma 7, che a decorrere dall’entrata in vigore del decreto, tutte le udienze già fissate (ad eccezione di quelli di cui si dirà) vengano rinviate a data successiva al 31 marzo 2020, con relativa sospensione di tutti i termini processuali fino alla medesima data.

Da tale previsione sono escluse esplicitamente, al susseguente comma 11, le udienze di convalida dell’arresto e del fermo, quelle relative ai procedimenti a carico di persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare e quelle a carico di imputati minorenni, per la cui celebrazione al successivo comma 12 viene disposto lo svolgimento dell’udienza a porte chiuse e, ove possibile, la video conferenza o il collegamento da remoto, individuate e regolate con provvedimenti cui viene deputato il Direttore Generale dei sistemi informativi ed automatizzati del Ministero della Giustizia.

Al successivo comma 13 viene disposta la sospensione del corso della prescrizione per tutto il tempo in cui il processo è rinviato.

Successivamente, al fine di armonizzare la situazione a livello nazionale, il Governo emette il nuovo decreto legge n. 11 del dì 8 marzo 2020[2] che introduce un regime differenziato, a seconda di due diversi archi temporali che vengono individuati nel medesimo decreto, ma valevole per tutto il territorio nazionale.

Difatti, si stabilisce all’art. 1 il rinvio d’ufficio di tutte le udienze già fissate (salvo le eccezioni previste dall’elenco dell’art. 2 co. 2 lett. g) a data successiva al 22 marzo, così come la sospensione di tutti i termini processuali, di prescrizione di decadenza e dei termini di durata massima della custodia cautelare, della procedura di riesame delle misure cautelari personali o reali e della confisca di prevenzione. Si fa rinvio, in tale ipotesi, alla legge che disciplina la sospensione feriale dei termini.

Per il periodo, invece, che va dal 23 marzo al 31 maggio 2020 vengono stabilite delle linee guida, per fronteggiare l’epidemia, che prevedono la possibilità del dirigente dell’ufficio giudiziario di stabilire se celebrare le udienze o rinviarle a data successiva al 31 maggio 2020 (tranne le eccezioni di cui alla previsione normativa già indicata) con la conseguente sospensione di tutti i termini processuali, di prescrizione, di durata massima della custodia cautelare, del riesame delle misure cautelari, e la possibilità che le udienze penali si svolgano a porte chiuse.

Tuttavia, non si prevede l’applicazione della sospensione feriale dei termini, diversamente da quanto previsto per il primo arco temporale, stabilendosi soltanto che i termini restino sospesi per tutta la durata del rinvio, ma comunque non oltre il 31 maggio 2020.

In seguito, con il decreto n. 18 del 17 marzo 2020[3] all’art. 83 il Governo introduce una nuova finestra temporale, indicando esplicitamente che tutte le udienze già fissate dal 9 marzo al 15 aprile vengano rinviate a data successiva al 15 aprile.

Si prevede, anche in questo caso, la sospensione di tutti i termini processuali non solo con riferimento ai procedimenti pendenti con udienza già fissata nel predetto arco temporale, ma con esplicito richiamo a tutti i procedimenti penali ovvero quelli pendenti in fase di indagine ed ai relativi termini, quelli in cui vi sia stata la fase già conclusa con conseguente sospensione dei termini per il deposito della motivazione del provvedimento decisorio e dei relativi termini di impugnazione, e quelli dei procedimenti esecutivi.

Sono sospesi, inoltre, i termini di prescrizione e di durata massima della custodia cautelare.

Vengono fatte salve le eccezioni di cui al comma terzo, del predetto articolo 83. Per il nuovo arco temporale, invece, che viene nuovamente individuato dal 16 aprile al 30 giugno, vengono confermati i poteri già riconosciuti in capo a dirigenti degli uffici giudiziari.

Diverse sono le problematiche evidenti ad una prima lettura dei decreti emergenziali. Il citato comma 8 dell’articolo 83 prevede che è sospesa la decorrenza dei termini di prescrizione e di decadenza dei diritti che possano essere esercitati esclusivamente mediante il compimento delle attività precluse dai provvedimenti medesimi; in particolare, il successivo comma 9 statuisce che «nei procedimenti penali il corso della prescrizione e i termini di cui agli artt. 303, 308, 309, comma 9, 311, commi 5 e 5 bis, e 324, comma 7, del codice di procedura penale e agli artt. 24, comma 2,e 27, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n.159, rimangono sospesi per il tempo il tempo in cui il procedimento è rinviato ai sensi del comma 7, lett. g) e, in ogni caso, non oltre il 30 giugno 2020».
Il comma 10 prosegue disponendo che «ai fini del computo di cui all’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, nei procedimenti rinviati a norma del presente articolo non si tiene conto del periodo compreso tra l’8 marzo e il 30 giugno». Le norme in questione appaiono di dubbia legittimità costituzionale, in quanto non sono dettate da motivazioni di ordine sanitario, come le precedenti norme riferite alle udienze per le quali vi è il rinvio d’ufficio, e incidono pesantemente sullo status dell’imputato, prevedendo una ingiustificata sospensione della prescrizione. Ma ben più pericolose sono le conseguenze in tema di rispetto dei principi costituzionali in materia di diritto di difesa e giusto processo. In primo luogo appaiono pericolosi i poteri attribuiti dal Governo ai dirigenti degli uffici giudiziari. Ed invero, la scelta dei tipi di processi da celebrare, le modalità della celebrazione degli stessi, così come la partecipazione degli imputati viene rilasciata al dirigente dell’ufficio giudiziario e, ciò, senza delle indicazioni precise o delle regole preordinate.
Ciò determinerà, inevitabilmente, un funzionamento della Giustizia a macchia di leopardo su tutto il territorio nazionale. La scelta del dirigente si baserà su pareri medico scientifici relativi allo stato sanitario del circondario dove opera l’ufficio giudiziario, il cui responso appare sempre mutevole da zona a zona. Pertanto, i dirigenti degli uffici giudiziari sono stati lasciati senza delle regole chiare e precise ma con un notevole spazio discrezionale attribuito alla sensibilità di ogni individuo, ed alla situazione sanitaria del circondario in cui egli opera.          I criteri di urgenza cui dovrebbe rifarsi il dirigente dell’ufficio giudiziario, non sono tipizzati dal legislatore o ancorati ad elementi tassativi, ma delegati totalmente alla magistratura e ciò con il rischio costante di violazione del principio di legalità sostanziale e processuale.
Ulteriore criticità è il ricorso al metodo della celebrazione delle udienze a porte chiuse, della videoconferenza per gli imputati detenuti internati o in stato di custodia cautelare, dello svolgimento delle udienze con collegamenti da remoto nelle ipotesi di udienze di convalida del fermo o dell’arresto o degli interrogatori di garanzia.
L’organizzazione e la disciplina di tali attività è stata assegnata a fonti normative di rango secondario, deputando all’uopo il Dirigente dei servizi informatici del Ministero. L’assenza di un provvedimento legislativo con indicazioni oggettive e specifiche ha già dato luogo, allo stato, alla formazione di procedure diverse contenute nei protocolli già siglati, ad esempio, presso il Tribunale di Milano, Tribunale di Roma e Tribunale di Napoli, per lo svolgimento delle udienze con le predette modalità. Ma, al di là delle differenze che possano esservi tra i diversi distretti giudiziari per la celebrazioni di tali udienze da remoto e in “stanze virtuali” (senza la partecipazione materiale delle parti nella stessa aula di giustizia), con tali modalità operative si pongono ineluttabilmente a rischio i principi costituzionali propri del giusto processo, determinando un grave pericolo di compromissione dei diritti di difesa della persona indagata/imputata e dell’esercizio del diritto di difesa da parte del difensore.
Come già accaduto in passato, lo Stato per difendere sé stesso da un attacco violento reagisce rinunciando alle proprie conquiste liberali e democratiche. Anche negli anni cosiddetti “di piombo” erano state adottate misure emergenziali che ponevano a rischio la lesione dei diritti fondamentali. È, infatti, con le leggi emesse per fronteggiare la emergenza del terrorismo che viene per la prima volta previsto l’esame a distanza dei collaboratori di giustizia e dei soggetti di cui all’art. 210 c.p.p., e la possibilità di disporre la partecipazione a distanza dell’imputato detenuto, tutto ciò con evidente temperamento dei principi di immediatezza ed oralità del procedimento penale, e con le correlate difficoltà nell’esercizio pratico del diritto di difesa. È sempre negli stessi anni, che in tema di carcerazione preventiva la Corte Costituzionale salvò la norma che incrementava i termini di carcerazione preventiva per gli imputati di reati con finalità di terrorismo[4].
Il risultato, oggi come allora, è la deriva verso un processo penale con meno garanzie rispetto a quello ordinario, con tempi contratti per la difesa e maggiori difficoltà per l’esercizio dell’attività difensiva e del diritto di difesa da parte dell’imputato.
L’auspicio è che in sede di conversione dei decreti vengano apportate le necessarie modifiche e si adottino le garanzie idonee atte a scongiurare rischi di compromissione di ineludibili diritti costituzionali, che appartengono a ciascun individuo.


Note

[1] Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19. (GU Serie Generale n.53 del 02-03-2020)

[2] Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attivita’ giudiziaria. (GU Serie Generale n.60 del 08-03-2020)

[3] Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19. (GU Serie Generale n.70 del 17-03-2020)

[4] Corte Costituzionale, sent. n. 15/1982.


Foto copertina:ANDREAS SOLARO VIA GETTY IMAGES, Parlamento Italiano.

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