Il presidente azerbaigiano Ilham Aliyev in una telefonata con il segretario di Stato americano Antony Blinken, ha affermato che: “Baku metterà fine alle sue attività antiterroristiche nel Nagorno-Karabakh se i combattenti armeni deporranno le armi”. Gli Stati Uniti hanno chiesto di fermare le ostilità e Mosca ha esortato entrambe le parti a fermare lo spargimento di sangue nella regione contesa. A Yerevan Pashinyan rischia grosso mentre i cittadini armeni protestano. L’autorità di Stepanakert grida al genocidio. Parigi chiede una riunione “d’emergenza” del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ankara sorride.
Dopo mesi di crescenti tensioni nel Nagorno-Karabakh nel Caucaso meridionale, controllato dagli armeni, questa settimana l’Azerbaigian ha inviato truppe sostenute da attacchi di artiglieria nella regione nel tentativo di mettere in ginocchio la regione separatista.
Le misure militari “continuano con successo”, con armi e attrezzature militari distrutte, ha affermato il ministero della Difesa dell’Azerbaigian in una dichiarazione sulla piattaforma di messaggistica Telegram.
Il Karabakh è riconosciuto a livello internazionale come territorio dell’Azerbaigian, ma una parte di esso è gestita dalle autorità armene separatiste che affermano che è la loro patria ancestrale.
Le posizioni delle parti
Yerevan al bivio
Pashinyan è sempre più sulla graticola. Il primo ministro armeno dopo aver dichiarato di non aver intenzione di intervenire militarmente in sostegno degli armeni del Karabakh, ha dovuto fronteggiare le pesanti manifestazioni di protesta che si sono verificate all’esterno del parlamento. I cittadini lo accusano di “non aver fatto nulla” nel contesto delle ostilità nel Nagorno-Karabakh e chiedono le sue dimissioni.
Pashinyan sa di non avere la forza di contrastare l’esercito di Baku e di non poter fare più affidamento su Mosca per la propria sicurezza. Ricordiamo che nell’ambito dei colloqui a Washington, Bruxelles e Mosca, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha fatto una serie di concessioni senza precedenti, arrivando addirittura a riconoscere il Nagorno-Karabakh come territorio dell’Azerbaigian.
Tuttavia, il suo governo sostiene di non poter firmare un accordo di pace che non includa diritti garantiti a livello internazionale per gli armeni del Karabakh.
Nel disperato tentativo di cercare almeno un garante per l’integrità territoriale armena, Pashinyan si è lasciato corteggiare dalle sirene americane che gli hanno proposto una soluzione che toglie il sonno al pericolante Primo Ministro.
Mollare la Russia (e le pretese sul Karabakh) ed entrare nell’orbita occidentale in cambio della garanzia dell’integrità dei confini armeni.
Pashinyan ci sta pensando, ma sa che rischia grosso.
La reazione violenta della piazza potrebbe tramutarsi rapidamente in qualcosa di più serio. Un colpo di Stato per defenestrarlo non è solo una lontana ipotesi.
Pur riconoscendo la necessità di allentare la dipendenza dal vecchio alleato russo, non sono ancora maturi i tempi per un passaggio di campo definitivo.
Baku: “I combattenti armeni depongano le armi”
Il Ministero della Difesa azerbaigiano ha ampiamente diffuso immagini di attacchi “chirurgici” su stazioni radar, depositi di munizioni e sistemi antiaerei delle forze armate separatiste del Nagorno-Karabakh. In un videomessaggio trasmesso sul social network si legge che “le forze di pace russe sono temporaneamente stazionate lì”. Baku afferma di aver “informato in precedenza il comando del contingente di mantenimento della pace della Federazione Russa e la leadership dell’Osservatorio turco-russo delle attività in corso”.
Il presidente azerbaigiano Ilham Aliyev in una telefonata con il segretario di Stato americano Antony Blinken, ha affermato che: “Baku metterà fine alle sue attività antiterroristiche nel Nagorno-Karabakh se i combattenti armeni deporranno le armi”.
Stepanakert: “È in atto un genocidio”
In una nota rilasciata dal Ministero degli Esteri del Nagorno-Karabakh (Artsakh) si legge: “L’aggressione militare, scatenata dall’Azerbaigian durante l’assedio illegale in corso della Repubblica dell’Artsakh, è un palese atto di genocidio e una forma estrema di negazione dei diritti fondamentali del popolo dell’Artsakh. Il Ministero della Difesa dell’Azerbaigian ha già dichiarato apertamente la sua intenzione di effettuare lo sfollamento forzato di 120mila abitanti dell’Artsakh, il che equivale alla distruzione del popolo dell’Artsakh in quanto tale e della sua integrità (…) l’aggressione militare azera contro l’Artsakh è il risultato diretto dell’incapacità di agire della comunità internazionale, che è diventata un metodo accettabile nell’arsenale dell’Azerbaigian a causa della mancanza di misure collettive da parte della comunità internazionale volte a cessare le azioni genocide dell’Azerbaigian e il blocco illegale dell’Artsakh che dura da più di 9 mesi”.
Mosca in attesa che la situazione degeneri
Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa russa Tass, Mosca invita le parti a tornare a rispettare gli accordi trilaterali di Russia, Azerbaigian e Armenia sul Nagorno-Karabakh. In una nota il ministero degli Esteri russo ha affermato: “La cosa più importante ora è tornare immediatamente al rispetto degli accordi trilaterali firmati al massimo livello nel 2020-2022, che stabiliscono tutte le misure per una soluzione pacifica alla questione del Nagorno-Karabakh”, esortando inoltre le parti “a fermare le ostilità armate e a fare tutto il possibile per proteggere la popolazione del Nagorno-Karabakh e difenderne gli interessi”.
Mosca temporeggia, i rapporti con Yerevan non sono più solidi come un tempo e il “peso” russo nella regione sta progressivamente calando. L’impressione è che Mosca stia in attesa che il precipitare degli eventi possano portare alla caduta di Pashinyan, reo di essersi allontanato dall’orbita russa e di guardare a Washington come garante della sicurezza.
Parigi chiede una riunione “d’emergenza” del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
La Francia, storica protettrice della causa armena, ha chiesto una riunione “d’emergenza” del Consiglio di Sicurezza per prendere atto di un’offensiva “illegale” e “ingiustificabile” guidata da Baku nel Nagorno-Karabakh.
La Francia ospita la più grande diaspora armena nell’Unione Europea e la terza più grande al mondo, dopo Russia e Stati Uniti. La grande comunità francese di origine armena, insediatasi principalmente all’inizio degli anni ’20 e ingrossata da varie ondate di migranti provenienti dal Medio Oriente e dall’Armenia, forma un insieme eterogeneo stimato in oltre 600.000 persone che vivono principalmente lungo l’asse Marsiglia-Lione-Parigi. Costituisce un esempio di integrazione repubblicana riuscita, pur mantenendo forti legami emotivi con la terra e la cultura ancestrali.
Per questo motivo Parigi è diventata la storica protettrice della causa armena. Ricordiamo che la Francia è stata tra le prime nazioni a stabilire relazioni diplomatiche con l’Armenia il 24 febbraio 1992. Nel 2001 è diventata il primo paese europeo a riconoscere ufficialmente il genocidio armeno. Nel febbraio 2019, il presidente Emmanuel Macron ha proclamato il 24 aprile la Giornata nazionale di commemorazione del genocidio armeno.
La Francia resta tra i pochi, se non l’unico paese europeo a sostenere Yerevan dopo che l’UE si è rivolta all’Azerbaigian per contribuire a sostituire la Russia come fornitore di energia. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in un visita ufficiale nella capitale Baku nel tentativo di garantire un aumento delle esportazioni di gas naturale, ha definito il paese come un “partner affidabile e degno di fiducia”.
Ankara: una nazione, due stati
La famosa frase sui legami turco-azerbaigiani “Una nazione, due stati” non è solo uno slogan ma “la realtà”. Ankara si considera la “sorella maggiore” di Baku e ne asseconda (o si avvantaggia) degli obiettivi azerbaigiani.
Le relazioni tra la Turchia e l’Azerbaigian sono importanti anche per le repubbliche turche dell’Asia centrale. Se dovesse realizzarsi il corridoio Zangezur, che dovrebbe collegare l’Azerbaigian con la sua exclave di Naxçıvan, sarebbe di vitale importanza per la Turchia, poiché collegherà via terra il paese con l’Azerbaigian e le repubbliche turche dell’Asia centrale.
Foto copertina: Karabakh, la posizione delle parti