Ancora oggi, in molti Paesi nel mondo le persone omosessuali, bisessuali e transessuali (che vengono generalmente indicate con l’acronimo “LGBT”) sono perseguitate legalmente sulla base del codice penale del proprio paese d’origine, in alcuni casi rischiando la vita per il solo fatto di rappresentare un orientamento sessuale ed identitario diverso da quello maggioritario.
Ogni anno, migliaia di richiedenti asilo appartenenti alla categoria LGBT presentano domanda di protezione internazionale negli Stati membri dell’Unione Europea – definita come “land of rights”, la terra dei diritti – perché vittime di discriminazioni[1]. Negli ultimi decenni il numero di persone LGBT rifugiate e richiedenti asilo nell’Unione Europea è notevolmente aumentato; alla maggior parte di esse viene accordato lo status di rifugiato in quanto “appartenenti ad un determinato gruppo sociale”, sulla base di quanto disposto dall’articolo 1(A) della Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951[2].
Ciononostante, stando all’analisi compiuta dal report “Fleeing Homophobia [3], alcuni Stati membri dell’Unione, come Belgio e Irlanda, negano la protezione internazionale ai richiedenti asilo LGBT provenienti da Paesi in cui l’omosessualità costituisce reato, nell’ipotesi in cui tali leggi che criminalizzano un determinato orientamento sessuale non vengano mai applicate in concreto nello Stato d’origine. In altri Paesi europei, in particolare la Francia e il Belgio, le autorità nazionali negano la protezione internazionale a chi, tornando nel proprio Paese d’origine, potrebbe evitare la persecuzione adottando comportamenti “discreti” e tentare di nascondere forzatamente la propria personale identità sessuale.
Tali Stati adottano, quindi, il cosiddetto requisito della discrezione nella valutazione delle richieste di protezione internazionale basate sull’orientamento sessuale[4]. Sulla base di questo paradossale requisito, il timore fondato di persecuzione ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato sussisterebbe esclusivamente nel caso in cui il richiedente asilo abbia rivelato il proprio orientamento sessuale nel proprio Paese, facendo coming out; diversamente, il requisito della discrezione pretende che le autorità competenti escludano l’esistenza di un valido ed effettivo pericolo per l’individuo LGBT[5].
Il panorama odierno, soprattutto in ambito europeo, si presenta così frastagliato da lasciare privi di protezione numerosi richiedenti asilo sulla base dell’orientamento sessuale, a causa di una confusione generalizzata sul tema in esame, la quale sempre più spesso spinge autorità e organi decisionali ad incongruenze ed errori nella gestione di simili casi.
Negli anni recenti, risulta evidente il ruolo fondamentale rivestito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nell’ambito del dialogo europeo sull’argomento in esame, la cui giurisprudenza ha fornito importanti indicazioni riguardo la corretta esaminazione delle richieste d’asilo basate sull’orientamento sessuale.
A tal riguardo, nel 2014, con riferimento al caso “A, B and C v. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie“[6], la Corte di ha dichiarato che le autorità nazionali degli Stati Membri, nell’esaminare le richieste di asilo basate sull’orientamento sessuale, debbano necessariamente utilizzare delle modalità di verificazione della credibilità del richiedente che siano pienamente conformi al rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo e della sua dignità, sanciti e tutelati dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, quali il diritto al rispetto della vita privata e familiare[7].
In aggiunta, in una pronuncia risalente al 2018[8], la Corte di Lussemburgo ha bandito l’uso di determinati test e perizie psicologiche volte a verificare ed accertare l’effettivo orientamento sessuale del richiedente asilo, quando questi si vengano a configurare come chiaramente discriminatori.
La Corte ha constatato, anzitutto, che la Direttiva Qualifiche consente alle autorità̀ nazionali di disporre una perizia nell’ambito dell’esame di una domanda di asilo, al fine di meglio stabilire le reali esigenze di protezione internazionale del richiedente; anche in questo caso, però, le modalità̀ di un eventuale ricorso a una perizia devono essere conformi ai diritti garantiti dalla Carta di Nizza.
Nello stesso tempo, il diritto dell’Unione Europea ha compiuto, negli anni, notevoli passi in avanti finalizzati alla protezione dei richiedenti asilo sulla base dell’orientamento sessuale. A tal riguardo, rilevano nello specifico gli articoli 9 e 10 della Direttiva 2011/95/UE, nota come Direttiva Qualifiche[9].
Più precisamente, l’articolo 9 configura come “atti persecutori” i “provvedimenti legislativi, amministrativi, di polizia e/o giudiziari, discriminatori per loro stessa natura o attuati in modo discriminatorio e le sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie”. All’interno di tale definizione sono logicamente ricomprese le norme penali che configurano l’omosessualità, la bisessualità o la transessualità come reati e tutti gli atti che, anche in mancanza di una formale criminalizzazione dell’orientamento sessuale, risultano di fatto in una evidente persecuzione degli individui LGBT, tale da costringere questi ultimi a chiedere protezione internazionale negli Stati Membri dell’Unione.
L’articolo 10(1)(d) della Direttiva Qualifiche prevede che, a seconda delle circostanze del Paese d’origine, il concetto di determinato gruppo sociale possa applicarsi anche a un gruppo fondato sulla caratteristica comune dell’orientamento sessuale.
Di conseguenza, attraverso tale importante strumento normativo, i richiedenti asilo LGBT nell’UE vengono ufficialmente riconosciuti come aventi potenzialmente titolo a beneficiare della protezione internazionale.
Tuttavia, nonostante queste premesse incoraggianti, da un punto di vista generale del diritto dell’UE, gli Stati Membri sono di fatto liberi di adottare le misure ritenute necessarie a raggiungere gli obiettivi prospettati dalla direttiva: è quindi lasciata alla discrezionalità delle autorità nazionali competenti decidere se accogliere o meno la richiesta d’asilo basata sull’orientamento sessuale, al fine dell’attribuzione dello status di rifugiato, secondo quanto disposto dall’atto di diritto europeo.
Conseguentemente, se oggi un richiedente asilo LGBT presentasse più domande di protezione internazionale in più Stati dell’Unione Europea, potrebbe ottenere esiti completamente differenti.
É interessante sottolineare che l’Italia è stata spesso indicata come uno degli Stati Membri più garantisti nei confronti dei migranti e dei richiedenti asilo LGBT: infatti, la Corte di Cassazione ha, in svariate occasioni, sottolineato come la criminalizzazione dell’orientamento sessuale, in particolar modo dell’omosessualità, debba essere considerata persecutoria per se.
La Corte di Cassazione si è pronunciata per la prima volta sul riconoscimento delle richieste d’asilo basate sull’orientamento sessuale con l’ordinanza numero 15981 del 2012[10]. In tale decisione, la Cassazione ha stabilito che l’esistenza di leggi che configurano gli atti omosessuali come reati rappresenta di per sé una chiara e grave violazione del diritto individuale di vivere liberamente la propria vita privata, sessuale ed affettiva, un diritto sancito dall’articolo 8 della nostra Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, vincolante nella materia in esame. In tal modo, aggiunge la Corte di Cassazione, il ricorrente omosessuale si troverebbe in una posizione di persecuzione oggettiva ed effettiva, senza alcuna necessità di dimostrare che la legislazione in questione sia o meno applicata in concreto del Paese d’origine del richiedente asilo. Pertanto, dopo un’attenta e precisa valutazione delle circostanze personali e individuali del singolo ricorrente, lo status di rifugiato dovrà necessariamente essere accordato ad opera delle autorità competenti[11].
La Corte ha altresì anticipato di circa un anno la discussione sul riconoscimento dello status di rifugiato LGBT a livello europeo: tuttavia, nel 2013 la Corte di Lussemburgo ha assunto al riguardo una posizione non del tutto allineata alla prospettiva a dir poco innovativa fornita dalla Cassazione, affermando che “il semplice qualificare come reato l’omosessualità o gli atti omosessuali in un paese non giustifica senz’altro la conclusione che un omosessuale di tale paese sia un rifugiato[12]“, ma “spetta, in particolare, alle autorità̀ determinare se, nel paese d’origine del richiedente, la pena detentiva prevista da una siffatta legislazione trovi applicazione nella prassi.”[13].
Inoltre, adottando un punto di vista squisitamente garantista, in una recente sentenza del 2019[14], la Cassazione ha per di più stabilito che il fatto che l’omosessualità (o comunque un orientamento sessuale percepito dal resto della società come “diverso”) non sia criminalizzato in un determinato Paese, non esclude a priori il rischio di persecuzione nei confronti dei richiedenti asilo LGBT, i quali avranno diritto a ricevere la protezione internazionale qualora il clima di odio che li circonda renda la loro vita insostenibile e, di conseguenza, li obblighi a cercare rifugio altrove.
Conclusioni
Sebbene in passato l’Italia sia stata ripetutamente additata come un Paese poco sensibile agli interessi della comunità “arcobaleno”, la giurisprudenza della Corte di Cassazione, nell’ambito della tutela offerta ai richiedenti asilo LGBT, sembra aver ampiamente superato la posizione sostenuta dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, dimostrando, pertanto, di rappresentare per gli altri Stati membri un giusto modello da seguire e altresì un punto di partenza importante per lo sviluppo futuro della giurisprudenza della stessa Corte di Lussemburgo, volta a raggiungere la protezione piena ed efficace dei richiedenti asilo sulla base dell’orientamento sessuale.
In verità, il contributo fornito dalla giurisprudenza italiana rappresenta una piccola ma importante vittoria per tutti gli individui omosessuali, transessuali, bisessuali che ancora oggi risultano vittime innocenti di atti persecutori perpetuati ad opera di autorità statali e non.
Note
[1] Secondo l’UNHCR (United Nations High Commissioner for Refugees) oggi sono circa 73 i Paesi del mondo che criminalizzano l’omosessualità. Si veda a tal proposito UNHCR Italia, “L’omofobia e i rifugiati Lgbti”, disponibile qui: https://www.unhcr.org/it/risorse/carta-di-roma/fact-checking/lomofobia-rifugiati-lgbti/
[2] La traduzione italiana non ufficiale della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato è disponibile qui: https://www.unhcr.org/it/wp-content/uploads/sites/97/2016/01/Convenzione_Ginevra_1951.pdf. In particolare, l’articolo 1(A) stabilisce che il termine rifugiato è applicabile “ a chiunque, per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951 e nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi.”
[3] S. Jansen e T. Spijkerboer, “In fuga dall’omofobia: domande di protezione internazionale per orientamento sessuale e identità di genere in Europa”, 2011. Il report è disponibile in lingua italianaqui: https://www.rechten.vu.nl/en/Images/web_FH_IT_tcm248-240971.pdf
[4] Sul tema della “discrezione”, preso in considerazione per la valutazione delle richieste di protezione internazionale, si veda anche Corte Europea Dei Diritti dell’Uomo, ricorso n. 71398/12, 26 giugno 2014, caso M.E. v. Sweden, disponibile qui: https://www.asylumlawdatabase.eu/sites/default/files/aldfiles/CASE%20OF%20M.E.%20v.%20SWEDEN.pdf
[5] S. Jansen e T. Spijkerboer “In fuga dall’omofobia: domande di protezione internazionale per orientamento sessuale e identità di genere in Europa”, p. 35
[6] Corte di Giustizia UE, cause riunite da C‑148/13 a C‑150/13,”A, B and C v. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie”, 2 dicembre 2014, Il testo in italiano della sentenza è qui disponibile: http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?docid=160244&doclang=IT
[7] In particolare, l’articolo 7 della Carta di Nizza stabilisce: “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni.” La Corte di Giustizia, nella sentenza menzionata, al punto 66 aggiunge ” considerata la delicatezza delle questioni relative alla sfera personale di un individuo e, segnatamente, alla sua sessualità, non si può concludere che quest’ultimo manchi di credibilità per il solo fatto che, a causa della sua reticenza a rivelare aspetti intimi della propria vita, egli non abbia dichiarato immediatamente la propria omosessualità.”
[8] Corte di Giustizia UE, causa C‑473/16,”F. v. Bevándorlási és Állampolgársági Hivatal”, 25 gennaio 2018, Il testo in italiano della sentenza è qui disponibile: http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=198766&doclang=IT
[9] Direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta. Il testo in lingua italiana della Direttiva è qui disponibile: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32011L0095&from=IT
[10] Cass. Civile Sez. VI, ordinanza n. 15981, 20 settembre 2012. Il testo completo dell’ordinanza è disponibile qui: https://www.asgi.it/banca-dati/corte-di-cassazione-sez-vi-civile-ordinanza-20-settembre-2012-n-15981/
[11] Punto 6 dell’ordinanza
[12] Corte di Giustizia UE, cause riunite da C-199/12 a C-201/12, “ X and Y and Z v Minister voor Immigratie en Asiel“, 7 novembre 2013, cfr. punto 22. Il testo in italiano della sentenza è qui disponibile: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:62012CJ0199&from=EN
[13] Cfr. Corte di Giustizia UE, cause riunite da C-199/12 a C-201/12, ” X and Y and Z v Minister voor Immigratie en Asiel”,7 novembre 2013, punto 59
[14] Cass. Civile Sez. I, sentenza n. 11176, 27 febbraio 2019. Il testo della sentenza è qui disponibile: https://www.altalex.com/documents/news/2019/05/03/protezione-internazionale-va-riconosciuta-al-migrante-omosessuale-che-rischia-nel-paese-d-origine
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