
L’immagine di due opposti approcci costituzionali esistenti rispetto al problematico rapporto tra “Stato” (inteso nella formula contemporanea più affermata, quella liberal-democratica) e “crisi” (manifestabile in una molteplicità di eventi ed in campi differenti, che si è detto può giungere ad intaccare tanto profondamente la forma del primo, da tramutarne la definizione in “Stato di crisi”), richiama una ulteriore e fortunata immagine presente in ambito costituzionale. Si tratta della nozione di “equilibrio”, in base al quale qualsiasi sistema costituzionale, in fondo sempre attento a rispondere alle influenze esterne, è chiamato ad elaborare, secondo i propri principi, soluzioni differenziate ai “conflitti immanenti” tra i contrapposti valori che (con)vivono al suo interno.
La condizione di “crisi” si manifesta come una massima espressione della contraddizione tra le diverse “esigenze” che l’ordinamento, specie se di tipo liberal-democratico, è chiamato a soddisfare.
Le scelte istituzionali infatti, benché in questi casi si diranno maggiormente orientate dalla “necessità/contingenza”, e ciò anche a discapito delle tutele liberal-democratiche, non si sottraggono dalla misura del confronto né dal carattere di perenne apertura che in un sistema c.d. “democratico” sono chiamate a preservare. Senza questo irrinunciabile presupposto funzionale, l’aggettivo “(liberal)-democratico” non potrebbe più a lungo sopravvivere accanto allo Stato, poiché si troverebbe in palese contraddizione alla conseguenziale radicalizzazione nell’ordinamento considerato delle sole istanze legate alla propria “protezione/sicurezza”, che genererebbe, per ovvia conclusione, la sua definitiva chiusura (dall’esterno, ma anche e soprattutto all’interno) entro i confini delle stesse c.d. “garanzie istituzionali”.
A riprova di questo importante assunto, è storicamente e giuridicamente dimostrato che una certa attenzione (per non dire, la vera e propria concentrazione) degli ordinamenti verso la predisposizione di quelle misure c.d. eccezionali adottabili nei casi disparati di emergenze e/o crisi interne possa condurre, in proporzione alla gravità riconosciuta del momento, da una temporanea disapplicazione di certi diritti costituzionali, allo stravolgimento effettivo dell’ordine costituito, quest’ultimo implicato dal possibile sopravvento dei fenomeni riconosciuti in ossimori quali rivoluzione legale[1] e/o paternalismo costituzionale[2].
La “pericolosità” di tali tendenze, innescabili in tutti gli ordinamenti giuridici, e quanto più questi appartengano alla suddetta categoria di sistemi che includono, direttamente nei loro testi costituzionali, norme dedicate alla qualificazione delle “emergenze” nazionali, si intravedono negli stessi strumenti tipicamente posti a sostegno dell’obiettivo di proteggere la sopravvivenza dello Stato.
Discorso a parte per quella categoria di divieti stabiliti in forma definitiva, poiché volti a segnare cesure “storiche” rispetto ad un passato autoritario, come il divieto di ricostruzione dei partiti eversivi o anti-sistema (di cui la XII disp. Trans. e finale della Costituzione italiana del 1948 e la disciplina della Berufsverbot nella RFT (art. 18 GG, 1949[3]); si tratta , più da vicino, di quelle misure connotate dal carattere della temporaneità, ma altresì volte alla sospensione e/o attenuazione di alcune libertà fondamentali, tra cui la libertà di movimento e di circolazione, nonché i diritti alla segretezza postale personale (ad esempio, art 10-11, Legge Fondamentale RFT[4]); la libertà di espressione e d’informazione, l’inviolabilità del domicilio (particolarmente l’ articolato disposto del 55-1, Costituzione spagnola[5]).
Tutte misure che, sebbene risultanti sempre inserite in un ristretto tessuto di altrettanti principi e vincoli normativi volti a limitarne la pericolosa interpretazione “estensiva”, mantengono innegabilmente viva all’interno degli stessi sistemi la permanenza di un nucleo di “auctoritas”[6], la cui applicazione infatti risulta rivolgersi proprio contro i principi di libera auto-determinazione del singolo, sia quest’ultima intesa nella sua versione “autocentrica” che nella complementare prospettiva “eterocentrica”(Spadaro, 2014).
Su questi punti, poi, le tradizioni e le culture giuridico-costituzionali tendono a distinguersi, a seconda dei fattori storico-politici e ideologici che caratterizzano ciascun ordinamento: così se nei paesi tipicamente assegnati alla categoria del civil law la più forte inclinazione verso la protezione della collettività (nella matrice solidaristico-altruista), unita in certi casi a trascorse esperienze dittatoriali, spinge verso la caratterizzazione costituzionale dei “sistemi di emergenza nazionale” (Spagna, Germania, Portogallo e in qualche misura anche la Francia); dall’altra parte si pongono gli ordinamenti common law, che in quanto connotati da una meno sentita esigenza di mantenere intatta la “rete di rapporti collettivi”, risultano più propensi a disciplinare l’assetto emergenziale attraverso norme straordinarie ed extra-costituzionali (rilevanti in questo caso gli esempi di Regno Unito e USA, tra cui può essere inscritto altresì il Belgio e la stessa Francia).
Al di là della pur sommaria suddivisione, appare necessario concentrare l’attenzione su alcuni dei particolari relativi agli ordinamenti citati, strutturandone di volta in volta il confronto sulla base dei tratti comuni che ne hanno permesso l’iscrizione all’interno delle due tendenze appena evidenziate.
Derogabilità “legale” (Francia/Spagna) o “immanente” (Germania/Portogallo) dei diritti fondamentali.
Da un primo esame sul piano della qualificazione degli “stati di crisi” negli ordinamenti citati in relazione a questo primo insieme, occorre operare una ulteriore ed utile distinzione tra fattispecie normativa e realtà amministrativa, poiché, seppur entrambe comprensibili nel novero degli stessi meccanismi di emergenza, si differenziano a causa del loro diverso rapportarsi con il principio di legalità. Così, se l’esercizio dei poteri emergenziali in riserva di legge è quantomeno giustificato dal punto di vista formale; la prassi amministrativa “speciale” in sede d’urgenza desta i dubbi più preoccupanti sul versante delle garanzie preposte a tutela della legittimità effettiva di siffatte misure.
E per di più l’aspetto merita approfondimento se riguarda dispositivi emergenziali posti nei sistemi costituzionali (quali, appunto, in questa sede quelli francese, spagnolo e tedesco) ove il principio di legalità risulta maggiormente stigmatizzato in virtù di precise disposizioni costituzionali, più che sostanzialmente e implicitamente operante nel sistema (il che si riferisce alla caratteristica di “immanenza” della rule of law operante invece nei corrispondenti ordinamenti common).
In particolare, può stupire il fatto per cui l’ordinamento francese preveda non uno, ma ben tre dispositivi (nella fattispecie, due di natura costituzionale, uno di origine legislativa)[7] dedicati alla salvaguardia dell’ordine pubblico, ritenendo quest’ultimo un obiettivo di carattere “fondamentale”[8] per l’ordinamento ed attribuendone l’assoluta competenza alle autorità governative-centrali e/o alle amministrazioni locali, nonostante l’art. 16 della Dichiarazione del 1789 (annessa all’attuale Costituzione della V Repubblica) faccia riferimento esplicito alla “garanzia dei diritti”, sacralizzando[9] per così dire il principio di legalità quale condizione primigenia per l’esistenza stessa della Costituzione.
Allo stesso modo, nell’ordinamento spagnolo, collidono apparentemente le deroghe alla Costituzione concesse su iniziativa governativa in virtù degli “stati” di allerta, di eccezione e di emergenza (così come classificati dall’art 116 CE), rispetto a quanto contenuto dagli artt. 9 c3, 97 e 103 c1 (relativi al presidio di “legalità” della Pubblica Amministrazione)[10], validi altresì a sancire, dal punto di vista storico, il definitivo allontanamento del testo del 1978 dalla precedente esperienza franchista.
Se poi ci si sposta sul piano operativo, ossia relativo all’attivazione dei vari dispositivi “d’urgenza” previsti nei due sistemi, assumono particolare rilevanza quei provvedimenti adottati (soprattutto a livello decentrato) in forza di vere e proprie “deroghe alla legalità”, peraltro legittimate, ora dalle stesse leggi di esecuzione dei regimi emergenziali (nel caso della legislazione spagnola[11]), ora in virtù di principi enucleati dalla giurisprudenza amministrativa (come dimostra, in Francia, l’elaborazione di una “teoria delle circostanze eccezionali”[12] da parte del Conseil d’Etat).
Molte di queste misure, tra cui vengono ricomprese, su un medesimo livello, singole disposizioni di polizia “sindacale”[13], regolamenti di pubblica sicurezza e persino provvedimenti di natura privata, pongono potenzialmente in crisi le garanzie di legge operanti nello “Stato di diritto”, poiché tendono a sfuggire allo stesso dettato costituzionale/legislativo, e anzi , giustificandosi sulla base di previsioni ex ante derivanti proprio da tali fonti, sono atte a stabilire speciali regimi “d’eccezione nell’eccezione”.
Ciò, vale a dire, si rivolge alla possibilità di configurare differenti ipotesi di “stati d’emergenza”, non formalmente dichiarati.
Nonostante la concreta imprevedibilità degli eventi a carattere eccezionale possa condurre a riconoscere da un lato l’utilità di clausole normative tendenti ad allargare il campo d’azione reale dei poteri amministrativi o, dall’altra parte, l’elaborazione di vere e proprie teorie (dottrinarie e/o giurisprudenziali) circa la sussistenza di una legalità sui generis, ovvero di un principio di legalità “propria dei periodi eccezionali”[14], è conseguenzialmente chiaro che si stia trattando in ogni caso di circostanze che pongono “a rischio” l’efficacia dell’intero ordinamento.
Laddove infatti il giusto discrimen tra ciò che è “essenziale” e ciò che è “accidentale”, o tra il sentito bisogno di stabilità e certezza “nel diritto” e la corrispondente necessità di mantenervi pur sempre aperto il paradigma d’ inclusività rispetto ai fattori di mutamento[15] risulti affievolito, la legittimazione legislativo/giurisprudenziale dei controversi iter “d’urgenza” che potranno perciò svilupparsi, non ne elimina, in concreto, l’aspetto alquanto problematico: la possibilità così data alla compressione di diritti fondamentali tramite misure risultanti formalmente al di sotto del (minimum) legislativo e sostanzialmente dal tenore anti-democratico.
Diverso è a tal proposito l’approccio del sistema tedesco, che solo con la revisione costituzionale del 1968, ha formulato, inserendo apposito titolo nella LF (il Xa), l’assetto della Verteidigungsfall (letteralmente, “caso di difesa”), che risulta invece perfettamente innestata sul preesistente impianto garantista.
In quanto espressione degli immanenti principi di “supremazia della legge”, (Vorrang des Gesetzes); e di “riserva di legge”(Vorbehalt des Gesetzes ), di fatto spetta al Parlamento (Bundestag) il potersi accertare “che il territorio federale è aggredito con la forza delle armi o che una tale aggressione viene immediatamente minacciata” (art.115a GG)[16], pertanto tutti i provvedimenti (anche temporanei) riguardo le limitazioni di diritti e libertà ammesse dalla Costituzione sono e rimangono di natura legislativa.
D’altra parte, seppure letta alla luce del marcato rapporto di subordinazione che lega esecutivo e pubblica amministrazione alla legge (e, solo tramite questa, alla Costituzione)[17], nonché in ragione dei precedenti scaturiti dall’art. 48 della Costituzione di Weimar (disciplinante il regime di emergenza nazionale attraverso una formula “presidenziale”[18]), la creazione di un vero e proprio “codice della difesa” a livello costituzionale non va ad impedire che sul piano locale (dei singoli Lander o anche dei più piccoli Comuni) si affermino discipline normative “particolari” e sulla base di queste vengano adottati conseguenti provvedimenti “speciali” limitativi di determinate condotte ritenute “lesive” per l’ ordine pubblico[19].
Esse, tuttavia, a differenza dei già visti casi francese (ove vige il completo accentramento di poteri nell’esecutivo) e soprattutto spagnolo (laddove l’esistenza dei reglementos de necessidad danno conferma di un potere amministrativo “contra legem”), utilizzando quale base comune il principio di “proporzionalità” stabilito dalle stesse leggi, non si pongono mai al di là del rigido limite legale, quanto piuttosto ne traducono uno specifico “grado” di applicazione.
Vicina all’esempio tedesco è infine la disciplina emergenziale prevista nella Costituzione portoghese (1976), ove le formulazioni degli artt. 18 (sulla “Forza giuridica” dei diritti fondamentali e relative limitazioni) e 19 (delineante la relativa procedura di “Sospensione dell’esercizio dei diritti”) disegnano lo schema metodico unitario entro cui qualsiasi restrizione di diritti/libertà (peraltro anche qui ammessa solo in via legislativa in forza della relativa previsione costituzionale) dovrà andare ad inserirsi[20]. Ciò determina, in modo evidente, che il fondamento delle “speciali” relazioni di potere tra Stato e cittadino (inerenti agli specifici momenti di urgenza/necessità) sia dato totalmente dalla Costituzione e che pertanto gli stessi provvedimenti di legge, quantunque restrittivi di diritti fondamentali, non potranno che ricondursi a sue espresse previsioni.
Tuttavia, sebbene l’incontestabilità dei precetti costituzionali avrebbe dovuto del tutto annientare in questo caso qualsiasi tentativo di adottare misure straordinarie “speciali” (ovvero extra-ordinem), diverse teorie, accolte dalla stessa giurisprudenza costituzionale portoghese, basano sulla presunta esistenza di limiti “immanenti” o “originari” attribuiti agli stessi diritti fondamentali l’ammissibilità di determinate fattispecie di “restrizioni” legislative, stavolta disposte senza alcuna esplicita previsione della CRP[21].
Ultimi cenni. Quali tutele contro la normalità dell’emergenza?
A conclusione di questo primo quadro tutto “europeo”, doverosa risulta la citazione di altri esempi di “discipline costituzionali” per l’emergenza, tra cui potrebbero citarsi quali simili i casi dell’Austria (che raccoglie le discipline in materia di situazioni straordinarie (Notstandsrecht) delle costituzioni anteguerra nell’art 18 B-VG al c 3) e della Svizzera (con le discipline dell’art 185 sulla “sicurezza interna ed esterna”; e 173 della Costituzione federale).
Unica nota “anomala” rimane invece tutt’oggi l’ordinamento italiano, visto che non prevede alcuna disciplina equiparabile alle altre per lo “stato di crisi”: mentre in Costituzione si fa riferimento al solo “stato di guerra”, (art 78), cui si aggiunge uno “specifico” intervento del Capo dello Stato (art 87) e ai poteri “sostitutivi” dello Stato centrale sulle Regioni (art 120, c 2-3) , le soli reali tracce di “potere d’urgenza” in ambito interno risiedono probabilmente nell’ art 77 Cost, (sul il potere di decretazione d’urgenza del Governo)[22]. A ciò può aggiungersi, guardando al piano legislativo, la ricca produzione normativa riguardante le funzioni degli organi di protezione civile: dalla prima legge del 1992 all’ultimo intervento, con il nuovo “Codice della Protezione civile” (dlgs n.1/2018), è definito un complesso meccanismo “d’urgenza” a cui sono collegati, tra gli altri, poteri d’intervento coinvolgenti tutti i livelli territoriali (governativo, regionale, comunale e metropolitano).
Ad ogni modo, benché sia lecito che un sistema sia “premunito” contro le possibili minacce alla sua integrità, prevedendo per di più in anticipo le soluzioni corrispondenti, è opportuno considerare il rischio connesso all’eccessiva pretesa di “razionalizzare” le suddette ipotesi , (che per definizione sono e restano “imprevedibili” ), potendo incorrere, per questo, in una degenerante “normalizzazione dell’emergenza”, (ciò che per certi versi è accaduto in Francia per far fronte alle minacce del terrorismo islamico, allorché si è visto prorogato lo stato di emergenza per ben quattro volte consecutive,) [23].
Nonostante insomma in tutti i casi visti precisi limiti (legislativi e giudiziari) si preoccupano di arginare possibili “effetti dilaganti” di tali poteri, prevedendo una serie minuziosa di presupposti per la dichiarazione dello stato di crisi (art 19 Cost. Portoghese[24]), o delle singole misure adottabili in tali occasioni (ancora esempi, al di fuori dell’Europa, le Costituzioni di Brasile[25] e India[26]), il principale nodo irrisolto di tali discipline risulta essere proprio la paradossale dinamica da esse potenzialmente implicata, per cui può arrivarsi “costituzionalmente”, ovvero “liberamente” alla rinuncia di importanti spazi di libertà, in quanto le garanzie del rispetto di mere procedure formali e/o dell’attivazione di controlli giurisdizionali, non bastano evidentemente ad assicurare la sopravvivenza di una (liberal-) democrazia altresì nello “Stato di crisi”.
Note
[1] F.RIMOLI , “Stato di eccezione e trasformazioni costituzionali: l’enigma costituente” , Riv AIC 30 aprile 2017, cita a proposito del paradosso contenuto nella definizione di “rivoluzione legale”(termine coniato a proprosito da C. Schmitt), la Ermächtigungsgesetz del 24 marzo 1933, con cui Hitler riuscì ad assumere i pieni poteri, nonché la inarrestabile ascesa di potere del regime fascista, che, pur collocati entrambi gli eventi nell’ambito dei rispettivi ordini costituzionali (rispettivamente, Costituzione di Weimar e Statuto albertino), sono, secondo l’autore «un’ulteriore riprova della concreta possibilità dei sistemi liberali – e ancor più, potrebbe aggiungersi per quanto si dirà, di quelli democratici – di scegliere, con decisione almeno in apparenza libera e formalmente legittimata dal rispetto di procedure preordinate, il proprio “suicidio” politico-istituzionale». E ciò che ancora più “inquieta” l’autore è il modo in cui tale specie di rivoluzione tende a manifestarsi nei sistemi istituzionali, data cioè dalla «Non più la tranquillizzante contrapposizione tra una razionalità ordinante (il sistema giuridico, il meccanismo democratico) da un lato, e una magmatica tendenza al rivolgimento improvviso ed anomico dall’altro, non più una “logica” antitesi tra l’ordine e il caos, ma una sovrapposizione “innaturale” delle due dimensioni, un trascolorare continuo dell’una nell’altra, un interscambio di ruoli funzionali che disorienta e mette in gioco le categorie etico-politiche, e perfino, forse, quelle epistemiche, fino a velare di ambiguità e di incertezza le stesse coordinate del sistema iniziale».
[2] Anche qui, come osservato nel precedente caso della definizione di “crisi”, ci si imbatte, secondo V.MURA, Paternalismo e democrazia liberale, Meridiana, n.79 47 ss in un termine : «onnicapiente, adoperato per coprire, sul piano semantico, un campo estensionale praticamente illimitato, come se sotto la sua generica etichetta possano essere indifferentemente catalogate manifestazioni del potere pubblico assai diverse per ispirazione e/o motivazione », con l’opportuna precisazione per cui i connotati di tali manifestazioni si riproducono nella serie di obblighi/divieti previsti necessariamente da tutti gli ordinamenti, e che per questo conservano una ratio «che, in molti casi, non è necessariamente paternalistica […] perché potrebbe essere, semplicemente, una ratio ispirata a pratiche di buon governo, che nulla hanno a che vedere con il paternalismo.». Dunque, nello stabilire se un provvedimento appartenente a tale specifico genere contenga o meno i sintomi del fenomeno “paternalistico”, è quantomai necessario, come conclude lo stesso autore, : «Precisare il significato del termine, […] esigenza ineludibile non solo per evitarne l’abuso, ma per poi arrivare in conclusione a mostrare come il paternalismo, lungi dall’essere compatibile, si collochi in realtà agli antipodi del liberalismo e della democrazia», da cui traspare, in ultimo, l’essenziale “nocività” del fenomeno paternalistico sotto l’aspetto del suo rapporto con la forma “democratica” di Stato. Riguardo al carattere c.d. “ossimorico” del fenomeno, più incisivo è invece A.SPADARO, I due volti del costituzionalismo di fronte al principio di autodeterminazione, POLITICA DEL DIRITTO / a. XLV, n. 3, settembre 2014 p. 430 , per il quale : «In ogni caso, sia il libertarismo costituzionale che il paternalismo costituzionale sono due rischi che tutti gli ordinamenti liberaldemocratici e personalisti corrono “di continuo” : ora è maggiore l’uno, ora l’altro. Ed entrambi – anche se i giuristi usano i due termini talora come forma di accusa reciproca – sono, a ben vedere, degli “ossimori giuridici”. Infatti, è proprio l’aggettivo “costituzionale” – il quale implicitamente rinvia a un “sistema di limiti” – che stona accanto ai ricordati due “ismi”(libertarismo e paternalismo) con pretese assolutistiche. Insomma, se fossero veramente “costituzionali”, non dovrebbero essere possibili né libertarismo, né il paternalismo. Infatti, nel momento stesso in cui l’uno o altro prevalgono, non c’è più, o comunque viene alterato, appunto l’equilibrio costituzionale come “sistema di limiti”»
[3] v. nota successiva
[4] In dettaglio, l’art 10 GG, dopo che al primo comma stabilisce: “Il segreto della corrispondenza e così pure il segreto postale e delle telecomunicazioni sono inviolabili”; così dispone al secondo capoverso: Limitazioni possono essere poste solo dalla legge. Se la limitazione serve alla difesa dell’ordinamento costituzionale liberale e democratico o dell’esistenza o della sicurezza della Federazione o di un Land, la legge può stabilire che la misura restrittiva non venga comunicata all’interessato e che il ricorso giurisdizionale sia sostituito dal controllo di organi anche ausiliari, istituiti dal Parlamento.
Mentre, riguardo la libertà di circolazione, ripete la stessa struttura l’art 11 GG: “(1)Tutti i tedeschi possono liberamente circolare nell’intero territorio federale”. “(2)Tale diritto può essere limitato soltanto con legge o in base ad una legge e solo nei casi nei quali la mancanza di sufficienti mezzi di sostentamento comporterebbe particolari oneri per la collettività, o nei casi nei quali ciò sia necessario per allontanare un incombente pericolo per l’esistenza o per l’ordinamento costituzionale liberale e democratico della Federazione o di un Land o per combattere contro i pericoli derivanti da epidemie, da catastrofi naturali o da disastri particolarmente gravi, o per proteggere la gioventù dalla mancanza di assistenza o al fine di prevenire azioni penalmente perseguibili”
D’altronde, la ratio delle due disposizioni si ricollega più ampiamente a quanto stabilito dall’art. 18 GG, nel quale è contemplata una peculiare disciplina riguardante la “Perdita dei diritti fondamentali”: (1) Chiunque, per combattere l’ordinamento costituzionale democratico e liberale, abusa della libertà di espressione del pensiero, in particolare della libertà di stampa (articolo 5, primo comma), della libertà di insegnamento (articolo 5, terzo comma), della libertà di riunione (articolo 8), della libertà di associazione (articolo 9), del segreto epistolare, postale e delle telecomunicazioni (articolo 10), del diritto di proprietà (articolo 14) o del diritto di asilo (articolo 16a) perde tali diritti fondamentali. La decadenza e la sua estensione sono pronunciate dal Tribunale costituzionale federale”, nonché ai successivi artt 20, comma 1 e 21 comma 2 (il primo sui “Fondamenti dell’ordinamento statale”, cui di conseguenza tutte le libertà si trovano assoggettate; il secondo sulla possibile limitazione della libertà di associazione politica). Tale rigida attenzione per la tutela dell’integrità di Stato (democratico e sociale) nel testo di Bonn va necessariamente ricondotta alla volontà di tutelare per quanto possibile il nuovo ordinamento dal fallimentare precedente weimariano (sulla questione, v. E.FRAENKEL, Democrazia collettiva, 1929, in Arrigo, Vardaro (edd) Laboratorio Weimar, , Roma , 1982).
[5] Così il disposto : “I diritti riconosciuti negli articoli 17, 18 comma 2 e 3, articoli 19, 20 comma 1 a. e d. e 5, articoli 21, 28 comma 2 e articolo 37 comma 2, potranno essere sospesi quando venga accordata la dichiarazione dello stato di eccezione o di assedio nei termini previsti nella Costituzione. Resta escluso da quanto sopra stabilito il comma 3 dell’articolo 17 nel caso di dichiarazione dello stato di eccezione”, quest’ultimo relativo al diritto di essere informati e al diritto di difesa durante lo stato di carcerazione preventiva, la quale misura rientra invece a pieno titolo tra le possibili “compressioni” alla libertà precedentemente elencate.
[6] F.RIMOLI, op.cit., si rifà alla «sfuggente dimensione dell’auctoritas patrum, » riprendendone l’analisi da G.AGAMBEN (cit. in corsivo: Stato di eccezione, Bollati, Borlinghieri, 2003, 101 ss), la quale appare dunque: «ben distinta dalla potestas e dall’imperium dei magistrati, e affidata piuttosto al senato, agiva “come una forza che sospende la potestas dove essa aveva luogo e la riattiva dove essa non era più in vigore”, ossia come “potere che sospende o riattiva il diritto, ma non vige formalmente come diritto”; la stessa auctoritas che, assunta da Augusto come optimi status auctor, si innesta sulla sua persona e la costituisce come entità stessa del potere, fondendosi nel medesimo soggetto con la potestas e generando ciò che sarebbe servito, in tempi assai più recenti, a fondare la dimensione carismatica del Führertum. Dalla fusione di due fattori in origine contrapposti seppur “funzionalmente connessi” – auctoritas e potestas, normativo il primo, anomico il secondo – sarebbe cioè sorta la dualità strutturale del sistema giuridico occidentale: in questo quadro, lo stato di eccezione sarebbe dunque “il dispositivo che deve, in ultima istanza, articolare e tenere insieme i due aspetti della macchina giuridico-politica, istituendo una soglia di indecidibilità fra anomia e nomos, fra vita e diritto, fra auctoritas e potestas”: finché i due elementi rimangono in correlazione tra loro, ma separati, il sistema può funzionare; se essi però tendono a coincidere in una sola persona, e “quando lo stato di eccezione, in cui essi si indeterminano, diventa la regola, allora il sistema giuridico-politico si trasforma in una macchina letale”». Di qui, l’intenzione dell’autore resta comunque quella di mantenere la distinzione tra la formula di auctoritas predeterminata (corrispondente, attualmente proprio ai regimi di emergenza costituzionali, giustificabile in virtù della sua funzione di “tutela estrema” dell’ordine violato); dagli effetti “catastrofici” che l’auto-assunzione di potere da parte del “decisore” incaricato (che sia il Senato dell’antica Roma o il Presidente della Repubblica nella Costituzione francese del 1958) possono sortire sull’intero ordinamento.
[7] Per quanto riguarda i dispositivi costituzionali, questi si articolano nella previsione di cui all’art.16, inerente generalizzata facoltà di “concentrazione di poteri” (legislativo, amministrativo e regolamentare) in capo al Presidente della Repubblica, pur nelle circostanze “anormali” definite nello stesso testo (ossia , la prima: “quando le istituzioni della Repubblica, l’indipendenza della nazione, l’integrità del territorio o l’esecuzione degli impegni internazionali sono minacciati in maniera grave ed immediata”, la seconda si verifica qualora: “il regolare funzionamento dei poteri pubblici costituzionali è interrotto”); e all’art 36, relativo invece al vero e proprio “stato d’assedio”, la cui dichiarazione, di competenza ministeriale, è suscettibile di controllo parlamentare soltanto in caso di proroga oltre i 12 giorni.
A chiusura del sistema emergenziale francese, emergono le discipline legislative, di cui la principale loi n 55-385, 3 avril 1955 (Etat d’urgence), emanata in occasione dei disordini in Algeria e a Parigi (poi successivamente applicata, nel 1985 e nel 2005 per reprimere i contrasti in Nuova Caledonia; nel 2015, con proroghe fino al 2017, per contrastare la minaccia del terrorismo islamico); nonché la recente loi n 2017-1510 du 30 octobre 2017(“Renforçant la sécurité intérieure et la lutte contre le terrorisme), modificativa ed in parte integrativa della precedente, la quale era stata più volte contestata per l’eccessiva discrezionalità attribuita alle autorità amministrative nel poter disporre di misure limitative della libertà (perquisizione, requisizione di beni, assegnazione di residenza) particolarmente stringenti. Per un esame della rinnovata disciplina, v. J. DE VIVO, Dallo stato d’emergenza alla nuova legge antiterrorismo, Quaderni costituzionali, 19 gennaio 2018.
[8] Così ritenuto dal Conseil Constitutionnel nella Décision n° 82-141 DC du 27 juillet 1982.
[9] C. BONTEMPS DI STURCO, Poteri emergenziali e deroghe al principio di legalità, P.PASSAGLIA, (a cura di), contributi di C. BONTEMPS DI STURCO, C. GUERRERO PICÒ, M.T. RORIG, Studi della Corte Costituzionale, Marzo 2011, p 5: «Secondo l’art 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri stabilita, non ha una costituzione. La “sacralizzazione” della legge avvenuta nel periodo rivoluzionario ha posto le basi del principio di legalità come condizione dell’attività dell’amministrazione. L’urgenza e i poteri di crisi mettono in dubbio questa concezione»
[10] Riguardo il principio di legalità nella Costituzione del 1978, esso è sancito in via generale dall’ Art.9 , c3 CE : “La Costituzione garantisce il principio di legalità,[…]”; mentre i restanti Art. 97 CE: “Il Governo […] Esercita la funzione esecutiva e la potestà regolamentare conformemente alla Costituzione e alle leggi”. e Art. 103 c1 CE: “La Pubblica Amministrazione serve con obiettività gli interessi generali e agisce in conformità ai principi di efficienza, gerarchia, decentramento, deconcentrazione e coordinazione, con piena sottomissione alla legge e al Diritto”, ne specificano la portata nei confronti della PA. D’altra parte, la disciplina emergenziale prevista dall’art. 116 (sugli stati di allarme, eccezione ed assedio) non esclude la partecipazione della Camera bassa del Parlamento, regolata di volta in volta a seconda dell’intensità della crisi. Tuttavia, i veri e propri “casi” di emergenza vengono affidati alla formulazione di una “ley orgànica” (ovvero l’attuale LODES, approvata il 1 giugno 1981), che di fatto stabilisce, per ognuna delle tre situazioni eccezionali, un diverso grado di condizionamento e/o restrizioni governative dei diritti fondamentali, pur dovendo queste attenersi ai limiti dell’art 55-a CE.
[11] Non sono pochi, infatti, i casi in cui il legislatore spagnolo preveda, insieme alle misure “ordinarie” adottabili dall’Esecutivo in casi di necessità ed urgenza, clausole che autorizzano la prassi dei c.d. “reglementos de necessitad”. Essi, secondo J.A. SANTAMARÌA PASTOR, Principios de Derecho administrativo, vol.1, Centro de Estùdio Ramòn Areces, 2002, Madrid, p.329 : «l’emanazione, senza base costituzionale, di disposizioni su materie riservate alla legge, o in violazione di norme legali, per fronteggiare situazioni di anormalità quali sono le alterazioni dell’ordine pubblico interno, stati di emergenza provocati da cause economiche o da catastrofi, periodi dominati da regimi politici provvisori e, soprattutto, situazioni di guerra». Esemplificazioni di clausole di questo tipo sono contenute già nella ley 4/81, (art 8); ma altresì in diverse leggi “settoriali” dedicate alle situazioni di crisi relative a specifiche materie: l.n 14/1986 (art.26), sulla sanità; dlgs n.1 /2001 (art.58) sulle acque pubbliche; l. n.7/1985 (art.21), ovvero Reguladora de Las Bases del Regìmen Local, ove si legge chiaramente che il sindaco “può adottare personalmente, e sotto la sua responsabilità, in caso di catastrofe o di calamità pubblica, o di gravi rischi delle stesse, le misure necessarie adeguate, rendendo conto immediatamente al consiglio municipale”. Peraltro, l’utilizzo della parola “reglementos” appare qui realmente fuorviante in quanto riferita ad atti amministrativi più che a disposizioni dal contenuto regolamentare, per cui il carattere “normativo” sia da escludere in ogni caso. Tuttavia, resta fermo che essi siano sottoposti alla sola Costituzione, ossia che, in breve, discendano direttamente dai “principi fondanti dell’ordinamento” e siano perciò rivolti alla loro tutela.
[12] La teoria, in realtà derivante dal contesto storico della prima guerra mondiale (prime pronunce del CE in tal senso risalgono al 28 giugno 1918, caso Heyriès; 28febbraio 1919, Ddmes Dol et Laurent, cfr GAJA inerenti appunto ai “poteri di guerra”), risulta tutt’oggi applicata in funzione di estendere i poteri “emergenziali” dell’amministrazione al di là dei casi previsti dalla Costituzione o dalla legge. Per via della stessa, sono stati considerate ammissibili non solo deroghe “temporanee” al principio di legalità, ma altresì eccezioni sul piano della competenza, forma e merito degli stessi atti amministrativi. Sulle singole decisioni che hanno orientato tale teoria, v. M. LONG, P. WEIL, G.BRAIBANT, P.DELVOVÉ, B.GENEVOIS, Les grands arrêts de la jurisprudence administrative – 22e ed., (GAJA), 28 aout 2019, Dalloz.
[13] Derivante dal potere di “polizia” generale esercitabile da tutte le autorità pubbliche distribuite sul territorio francese, il potere di “polizia municipale” che il Code Général des collectivitées territoriales (CGCT) affida ai sindaci è piuttosto ampio. Secondo l’art L 2212-2-5° dello stesso infatti, spetta al sindaco “prevenire, attraverso adeguate precauzioni, e di far cessare, con il dispiegamento dei soccorsi necessari, gli incidenti e le calamità locali, […] il potere di adottare d’urgenza tutte le misure di assistenza e di soccorso e, se necessario, di richiedere l’intervento dell’autorità superiore”. A supporto della progressiva estensione delle reali possibilità di azione di sindaci e/o prefetti, si è mossa anche in questo caso la giurisprudenza amministrativa, che ha ammesso, in certi casi, il sorgere di una responsabilità del comune per mancato intervento (CE, 23 ottobre 1959, Doublet), mentre ha, d’altra parte, sanzionato la misura precauzionalmente adottata allorché non sia stata tradotta nell’evento calamitoso che la giustificava (CE, 31 agosto 2009, Comune di Cregols). C. BONTEMPS DI STURCO, op.cit., p.5, ricollega al testo normativo del CGCT quella che definisce «“trilogia tradizionale” che compone l’ordine pubblico, (sicurezza salubrità e tranquillità pubblica)», a cui, sostiene, «può essere aggiunta una quarta componente, quella della “moralità pubblica”, che incide indubbiamente sulla concezione di libertà». Come infatti fa notare successivamente, (cfr, op.cit ,…nei casi in cui la funzione di polizia generale si compenetra con quella di polizia speciale: l’esempio della moralità pubblica, pp 17 ss) , non ne mancano esempi pratici, né le stesse conferme giurisprudenziali.
[14]La tesi, in realtà dibattuta nel contesto dottrinario francese, è sostenuta in J.RIVIERO J.WALINE, Droit administratif, Dalloz, Paris, 2004 pp.273 e 278, e si oppone a quanti invece paventano, tramite lo stesso riconoscimento, la formalizzazione celata di dittature (A.M. LE POURRHIET, Droit Constitutionnel, Economica, Paris, 2008, p.349)
[15] Pertanto, secondo F.RIMOLI , “Stato di eccezione e trasformazioni costituzionali: l’enigma costituente” op.cit. : «Il problema, dal punto di vista giuridico, resta essenzialmente quello del limite: se l’autotrasformazione del sistema non può procedere, realisticamente, solo tramite l’autopoiesi, dovendo invece tenere conto di spinte esogene, rispetto alle quali il diritto non sempre riesce a operare efficacemente quale fattore di stabilizzazione di aspettative comportamentali, allora è evidente che il procedimento deputato a tale trasformazione, inteso come fattore endogeno, deve sapersi porre come il momento della massima inclusività possibile, ossia come il frutto immediato del discrimine tra ciò che nel sistema è ritenuto ontologicamente essenziale e necessario e ciò che, invece, in quel medesimo sistema appare come elemento inessenziale e accidentale. E questa, se considerata da un punto di vista diacronico, è decisione alquanto ardua, se non addirittura impossibile, tale da indurre a diatribe tanto complesse quanto irrisolte». Si torna, insomma all’immagine di equilibrio e bilanciamento tra opposte esigenze annunciato qui in precedenza, e in tal modo esplicato dallo stesso autore: « […]In altri termini, se il paradigma della stabilità non cede, in certe condizioni, a quello del mutamento, il sistema si rivela incapace di assorbire e integrare (ovvero controllare e limitare) il mutamento stesso; se, d’altra parte, il secondo assume una completa prevalenza sul primo, rischia di venir meno la stessa funzione sociale primaria del diritto (e della costituzione in particolare), di stabilizzazione e certezza dei rapporti intersoggettivi, rendendosi l’intero ordinamento inefficace e inefficiente, ovvero, in un periodo più lungo, ineffettivo».
[16] L’intera disciplina “della difesa” nell’ordinamento tedesco si compone in realtà in maniera molto più articolata. Oltre al principale, c.d. “Stato di difesa esterno” (Verteidigungsfall) di cui l’art.115a, c1 GG : “Il Bundestag, con l’approvazione del Bundesrat, accerta che il territorio federale è aggredito con la forza delle armi o che una tale aggressione viene immediatamente minacciata. L’accertamento consegue a istanza del Governo federale e necessita di una maggioranza di due terzi dei voti espressi, pari almeno alla maggioranza dei membri del Bundestag”; si trovano disciplinati dalla Legge Fondamentale altri “casi”, anteriori peraltro al 1968: lo “stato di tensione”(Spannungsfall), di cui l’art. 80 GG; lo “stato di catastrofe” (Katastrophennotstand), dell’art. 35, c 2-3 GG; lo “stato di emergenza interno”, di cui gli artt. 11, 91 e 87a c4 GG (integrati dalla modifica del ’68); inoltre discipline specifiche dispongono in merito alla segretezza epistolare/telecomunicazioni (art 10 GG); all’obbligo impositivo, per esigenze difensive, del servizio militare obbligatorio (art 12a GG). A chiusura del complesso sistema, si trovano le garanzie di cui all’art 9 c3, al.3 GG (Arbeitsschutzklausel, clausola di garanzia nei rapporti di lavoro, volta ad assicurare, nei periodi di emergenza, la permanenza della libertà sindacale) e il diritto di resistenza della popolazione, (Widerstandsrecht art. 29 c4 GG).
[17] Espressione del già menzionato “primato della legge” (Vorrang des Gesets), l’art 20, c3 GG così disponendo: “Il potere legislativo è vincolato all’ordinamento costituzionale, il potere esecutivo ed il potere giurisdizionale alla legge e al diritto”, lascia intuire, in realtà che l’esecutivo sia direttamente subordinato alla legge, e solo tramite questa (indirettamente) si sottoponga ai principi costituzionali, eccetto, chiaramente, i diritti fondamentali, ai quali sono parimenti vincolati tutti e tre i poteri dello Stato (art 1 GG). Seguendo questa interpretazione, dunque, residuerebbero spazi di “assoluta autonomia” per la PA solo laddove non sussista disciplina legislativa, oppure ove sorgano contrasti tra questa e la Costituzione stessa (fattispecie, quest’ultima, per cui l’art 100, ult.capoverso, GG ritiene comunque necessario l’intervento del Tribunale Costituzionale Federale)
[18] Art. 48 Cost. Weimar: “Il Presidente può prendere le misure necessarie al ristabilimento dell’ordine e della sicurezza pubblica, quando essi siano turbati o minacciati in modo rilevante, e, se necessario, intervenire con la forza armata. A tale scopo può sospendere in tutto o in parte la efficacia dei diritti fondamentali stabiliti dagli artt […]”. Il potere pressochè illimitato di intervenire sui diritti fondamentali e soprattutto la mancanza di argini temporali fecero sì che nel 1933 avvenisse quella che è stata definita da C. SCHMITT la “rivoluzione legale” di Hitler.
[v. nota 1]
. Nel suo saggio “La Rivoluzione legale mondiale” (1978), afferma infatti come : «Hitler aveva saputo chiudere dietro di sé la porta della legalità attraverso cui era entrato e cacciare nell’illegalità, per vie legali, suoi nemici politici»
[19] Sebbene infatti, il principio di “supremazia della legge” trovi applicazione in tutte le fattispecie di emergenza discipline in Costituzione, ciò non esclude che le stesse leggi (o in certi casi, norme costituzionali) consentano margini di deroga ai “successivi” legislatori, ovvero alle singole normative federali, (in realtà molto ricche al livello dei 16 Lander), nelle quali, in ultima analisi, possono trovare luogo quegli interventi esecutivi “praeter legem” del tutto impediti nei precedenti gradi. Gli stessi, per contro, risulteranno comunque rispettosi delle garanzie di legge, almeno nella misura in cui si diranno “proporzionali”, secondo i principi vincolanti dell’attività amministrativa. Particolarmente incisiva, ad esempio, l’influenza di tale principio nei riguardi dei provvedimenti emanati in base alle c.d. “clausole generali di polizia”, stabilite in quei Lander non aventi una normativa specifica dell’emergenza per i propri corpi amministrativi e di polizia.
[20] In merito alla funzione e alla funzione “partecipativa” che la proceduralizzazione costituzionale dell’emergenza in Portogallo produce , E.IMPARATO, Il Portogallo al banco di prova dell’emergenza sanitaria mondiale, DPCE online, Saggi, 2020/2, 1616-1617: «Lo stato eccezionale di emergenza,[…] è proclamabile in virtù di una procedura alquanto complessa. Il dettato costituzionale rivela infatti una “alta positivizzazione” [cfr B.Gouveia, 1998] delle fasi procedurali, accentuata soprattutto nelle successive revisioni costituzionali. […] una procedura che comporta la partecipazione di tutti gli organi istituzionali costituzionali, con forte condivisione delle scelte. L’obiettivo è quello di voler garantire il mantenimento del normale funzionamento delle istituzioni – intesa come la distribuzione delle competenze generalmente determinata – e soprattutto una produzione normativa, almeno nella procedura di proclamazione dell’emergenza, per quanto possibile democratica perché condivisa con l’organo parlamentare. La procedura, in quest’ottica, è comprensiva di ben sei fasi[..]»
[21] Riguardo l’esistenza concreta di questi casi nell’ intero ambito ordinamentale portoghese, G.SANTORO, La Costituzione portoghese, 3.2.c restrizioni ai diritti fondamentali non espressamente autorizzate dalla CRP, ADIR, 2006, : «Oltre a queste autorizzazioni espresse, esistono altre ipotesi di relazioni speciali di potere dove avvengono restrizioni dei diritti fondamentali senza la legittimazione della Legge Fondamentale; seguendo il procedimento metodico, può affermarsi che dette restrizioni sono in contrasto con l’art. 18, n.2, CRP. Si pensi ai funzionari pubblici (in particolare ai magistrati), gli studenti, gli internati in case di cura. In queste ipotesi lo statuto speciale della relazione stato/cittadino trova la sua fonte soltanto in leggi o regolamenti emanati dalle autorità competenti, senza che la Legge Fondamentale autorizzi in tal senso. […] Una parte della dottrina sostiene una “interpretazione della natura di queste alterazioni come meramente dichiarative o concretizzatorie di una limitazione già preesistente nella Costituzione, precisamente un limite immanente o implicito dei diritti fondamentali, fondato nell’esistenza di relazioni speciali di potere”[cfr Novais, 2003] » Dunque, citando un altro sostenitore della tesi dei “limiti immanenti”, G. Canotilho, : «”Il riconoscimento di limiti immanenti è molto problematico, ma la sua ammissibilità è giustificata, nel contesto sistematico della CRP, in nome della salvaguardia di altri diritti o beni. Così, seppure la CRP non ammette limiti al diritto di sciopero, i limiti costituzionali non scritti sarebbero giustificati dalla finalità di salvaguardare altri diritti o beni costituzionalmente garantiti (esigenza di garanzia di servizi minimi in ospedali, servizi di sicurezza, etc)“». Peraltro, dello stesso avviso sono diverse pronunce della Corte Costituzionale portoghese, che ha accolto in diverse pronunce la limitazione legislativa di alcuni diritti (tra cui, al diritto di proprietà, sent.. 7/87; allo ius edificandi, sent. 194/99; alla libertà matrimoniale, sent. 192/2010) in quanto discendenti da queste dottrine e altresì derivanti dal vincolo interpretativo stabilito nell’art. 16 CRP (che impone, in tema di diritti fondamentali, il rinvio alla DUDU del 1948).
[22] In ordine, in particolare, i disposti relativi alle emergenze nazionali nel testo del 1948:Art 78: “Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari”
Art. 77 : “Quando, in casi straordinari di necessità e d’urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere”
Art 87, c 9 (sulla funzione in merito attribuita al Presidente della Repubblica) : “Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere” .
Art 120 c 2-3 : “Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di […]pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione.” Notevole, riguardo a quest’ultima ipotesi subentrata in Costituzione con la riforma del 2003, appare l’attenzione prestata al mantenimento dell’ “unità sociale” e alle garanzie dei diritti cui l’intervento sostitutivo (seppur in sede “emergenziale”) viene ammesso, a conferma ancora una volta della certa “riluttanza” per il tema emergenziale presente nel panorama italiano. L’esempio contrario a questo proposito è fornito invece dal richiamo al caso tedesco: gli artt. 115-c (Competenza legislativa allargata della Federazione); e 115-f (Attribuzioni del Governo Federale), sui poteri “sostitutivi” tra Federazione e Lander nello “stato di difesa” appaiono piuttosto perentori rispetto all’omologo testo italiano nel sancire l’assoluta prevalenza, in tali circostanze, del potere legislativo ed esecutivo centrale.
[23] In realtà il numero complessivo di proroghe è salito a cinque,(per la durata complessiva di due anni), dal 2015 fino al 2017, quando il nuovo Presidente eletto Macron ha sostituito l’ètat d’urgence con la nuova legge antiterrorismo (l.1510, entrata in vigore il 1 novembre 2017), che ha in parte innovato la precedente disciplina, mitigandone il regime e accogliendo le numerose critiche alla l. 385/ 1955 , sollevate sia in ambito nazionale (alle quali il Conseil Constitutionnel, più volte chiamato in questione, ha sempre ribadito la compatibilità della norma con la tutela dei diritti offerta dall’impianto costituzionale, arrivando solo nel gennaio 2018 a dichiararne l’incompatibilità dell’art. 5 al c2, in tema di istituzione di zone di sicurezza, in quanto il legislatore “n’a pas assuré une conciliation équilibrée entre, d’une part, l’objectif de valeur constitutionnelle de sauvegarde de l’ordre public et, d’autre part, la liberté d’aller et de venir”); sia anche in ambito internazionale (Amnesty International si era già pronunciata in negativo pubblicando un rapporto il 4 gennaio 2016). V. J.De Vivo, Francia, dallo stato di emergenza alla nuova legge antiterrorismo, Quaderni Costituzionali, forumcostituzionale.it, 19 gennaio 2018.
[24] Tornando al già citato esempio portoghese, riguardo la strutturata procedura di cui all’art 19 della CRP E.IMPARATO, op.cit, 1617 : «La procedura, in quest’ottica, è comprensiva di ben sei fasi: 1) iniziativa del Presidente della Repubblica o proposta del Governo; 2) audizione non vincolante del Governo qualora l’iniziativa non provenga da esso; 3) messaggio del Presidente all’Assemblea della Repubblica; 4) deliberazione dell’Assemblea (o -quando questa non è riunita né è possibile la sua immediata riunione – della sua Commissione Permanente, comunque da confermare dal Plenum non appena sia possibile riunirlo); 5) decreto del Presidente; 6) referendum eventuale del governo. La ripartizione del potere dichiarativo – di tipo deliberativo e non meramente consultivo – tra più organi, vede il Presidente della Repubblica non già operare autonomamente di fronte al binomio Parlamento-Governo. »
[25] Nella Costituzione della Repubblica Federativa del Brasile (1988), il Titolo V disciplina , rispettivamente uno “stato di difesa” (Cap I, sez.I), ed uno “stato d’assedio” (Cap. II, sez.I), in cui sono menzionate, singolarmente, le deroghe straordinarie ai diritti della persona.
[26] La lunghissima Costituzione Indiana del 1949 prevede l’apposita disciplina dello “stato di emergenza” all’art. 352. Questi, potenzialmente generato da “aggressione esterna” o “insurrezione interna”, pur aderendo nella sua dettagliata formulazione alla tradizione civilian presente nel paese, lascia sostanzialmente “libero” il legislatore federale nella decisione di intervenire in materie riservate ai singoli Stati e di sospendere diritti e libertà costituzionali (ciò che avvicina questo regime, all’area common law). Ciò ha generato, in concreto, complesse questioni istituzionali, compresa la modifica “illiberale” concessa nel 1977 al Primo Ministro Indira Gandhi, che riuscì a detenere il potere proprio grazie alla proroga per due anni consecutivi del regime emergenziale. Ad oggi, però, le sue modifiche sono state di fatto annullate, (44th Amendment Act) e pertanto il ricorso all’istituto dell’emergenza è ristretto al solo caso di “ribellione armata” (armed rebellion).
Foto copertina: A general view shows the hemicycle of the French National Assembly before its opening session in Paris, France June 27, 2017. REUTERS/Charles Platiau – RTS18T12